Il Nicaragua e la prossima Apocalisse
Sergio Ramírez, figura storica del sandinismo, nel mirino dell’orteguismo.
di Bái Qiú’ēn
Todo procesado tiene derecho, en igualdad de condiciones, a las siguientes garantías mínimas: A que se presuma su inocencia mientras no se pruebe su culpabilidad conforme la ley (Costituzione politica del Nicaragua, articolo 34).
Solo poche settimane fa, per fuggire dall’afa che imperava, avevamo riletto la monografia di Erwin Panofsky su Albrecht Dürer. Se le macerie che l’artista tedesco mostra nella famosa incisione Melancholia II ci portarono a pensare al triste panorama attuale del Nicaragua e della sua rivoluzione tradita, il comunicato del Ministerio Público n. 75/2021 dell’8 settembre, la locale Procura Generale della Repubblica, ci ha sbattuto in faccia la novità più recente che ci fa pensare alla xilografia con i quattro cavalieri dell’Apocalisse (1498). Recita testualmente: «Nella giornata di ieri è stata presentata l’accusa nei confronti di Sergio Ramírez Mercado per aver realizzato azioni che fomentano e incitano all’odio ecc. ecc.» Per cui ha ordinato la perquisizione del suo domicilio, immediatamente eseguita, e il suo arresto.
Chissà cosa hanno trovato nell’abitazione di uno scrittore? Pistole, mitra, bombe a mano, lanciafiamme, RPG7, missili terra-aria… o solo libri? Armi improprie che spesso danno parecchio fastidio. La storia è piena di roghi di carta, ma non riporta alcun rogo di strumenti bellici.
Fra la cinquantina di suoi libri che abbiamo letto, alcuni valgono la pena, altri meno. In tutti, però, traspare il suo fortissimo amore per il proprio Paese, con la sua storia e le sue tradizioni. I critici parlano della sua visione del Nicaragua in quanto «territorio letterario». Possiamo aggiungere che lo scenario nel quale si svolge la maggior parte delle storie è quello del potere: «Quando Voltaire fallì nella sua chimera di riformare il potere monarchico, affinché la ragione potesse risplendere con tutte le sue luci – non per niente quello fu il secolo delle luci e quella doveva essere l’era della ragione – si dedicò con fervore alla causa della difesa dei cittadini, scrivendo ben 18.000 lettere, molte pubblicate dopo la sua morte in 89 volumi. In esse ha combattuto le ingiustizie, i soprusi, ha denunciato le sentenze giudiziarie prezzolate, la corruzione dei funzionari; fu quello che oggi chiameremmo un difensore civico. Se fosse un nostro contemporaneo, Voltaire avrebbe un blog» (La pasión crítica. Los intelectuales ante el espejo de su tiempo, lezione alla Università Centoamericana, 12 marzo 2008).
Secondo la versione ufficiale è stato pagato dai gringos per trasformarsi da intellettuale-scrittore in cospiratore-terrorista. Per interposta persona, poiché la Fondazione Violeta Chamorro ha finanziato la Fondazione Luisa Mercado (madre dello scrittore). Da qui a ipotizzare reati come il lavaggio di denaro e il terrorismo, ce ne passa. Comunque, tutto è possibile e se esistono prove reali e inconfutabili, ci arrenderemo all’evidenza. Per il momento, essendo garantisti, qualche dubbio l’abbiamo.
Finora, nelle udienze iniziali di una buona parte degli arrestati di tre mesi fa, le prove elencate nella documentazione consegnata agli avvocati difensori si limitano a elencare e citare svariati messaggi sui social (spesso solamente diffusi, ma non scritti dagli accusati) e a dichiarazioni pubbliche rilasciate a mezzi di comunicazione nazionali o stranieri. Con il contorno di una ventina di testimoni che avvallano l’intenzione da parte loro di compiere azioni terroristiche. Tutti poliziotti in servizio, agli ordini di Francisco Paco Díaz, consuocero della famiglia Ortega.
«Sono fiducioso per il futuro del Nicaragua. Più buia è la situazione, prima sorgerà l’alba, come dice il Popol Vuh. Essendo realista, però, non c’è motivo di sperare: le carceri sono piene di prigionieri politici, ci sono processi incivili contro di loro per tradimento… decine di giornalisti stanno emigrando clandestinamente. I mezzi d’informazione del Paese si stanno spopolando. Non è la migliore delle situazioni», aveva dichiarato una decina di giorni prima del mandato di cattura.
Scriveva Panofsky nel 1943: «L’andatura […] dei Quattro cavalieri è differenziata in modo da creare l’illusione di una velocità crescente. […] Il cavaliere con la bilancia cerca di affiancarsi al cavaliere con la spada, e questi a sua volta a quello che “ha un arco”. Nella loro avanzata essi mietono vittime come grano, e la morte, dotata di una forca invece della falce abituale – per raccogliere anziché uccidere – rimane molto indietro su un emaciato ronzino il cui passo stentato non è tuttavia meno fatale del fulmineo galoppo degli altri tre cavalieri».
L’ormai ottantenne Sergio Ramírez, laureato in Giurisprudenza nel 1964, dall’inizio di giugno si trova all’estero. El doctor, come è comunemente denominato, è uno dei tanti che sono usciti dal Paese per evitare appunto di finire nelle patrie galere. Del resto è un recidivo incallito, come si dice di coloro che commettono reati a ripetizione. Nel lontano 1977 fu infatti accusato da Tachito Somoza, attraverso la Fiscalía, di fare parte di una associazione per delinquere che aveva l’obiettivo di attentare contro l’ordine e la pace nel Paese e, naturalmente, di compiere azioni terroristiche per destabilizzarlo. L’associazione per delinquere era il Grupo de los Doce, dodici intellettuali, sacerdoti, uomini d’affari e semplici personaggi della società civile che avevano dichiarato il loro sostegno al Frente Sandinista de Liberación Nacional. Ne era addirittura il portavoce, per non dire il capo.
Nel corso dei nostri soggiorni in Nicaragua, abbiamo avuto una sola occasione di incontrarlo. Forse perché non abbiamo mai sofferto di culto della personalità. Era un De cara al pueblo, incontri che si svolgevano una volta alla settimana in varie località per discutere dei problemi del luogo. Trasmessi in diretta televisiva negli anni 80, in genere il giovedì, dopo la classica e immancabile telenovela. A quell’incontro con gli internazionalisti di vari Paesi del mondo erano presenti tutti i nove comandanti della Rivoluzione, l’allora denominata Dirección Nacional, e il vicepresidente della Repubblica. Appunto Sergio Ramírez. A tutte le domande rispose Daniel. A una sola, sui problemi economici che la Rivoluzione stava affrontando con la guerra di aggressione e il blocco economico-commerciale, fece rispondere… allo scrittore di romanzi e novelas.
Secondo le interpretazioni più accreditate, nel testo attribuito all’evangelista Giovanni, i cavalli sono variamente colorati e i cavalieri simboleggiano altrettante allegorie. Quello con la bilancia, su un cavallo nero, identifica il potere economico, che porta alla carestia e alla fame; il secondo, con la spada e su un cavallo rosso, è la violenza politica; quello con l’arco, su un cavallo bianco, impugna un’arma in grado di raggiungere un bersaglio distante.
Lungi da noi il voler identificare i quattro personaggi con altrettante figure o istituzioni del Nicaragua. Sarebbe fin troppo facile reperire un’immagine con Daniel a cavallo, ma se etimologicamente il termine «apocalisse» significa rivelazione o profezia, abbiamo la vaga sensazione che l’auto-disastro della fine del piccolo mondo cortigiano e servile, costruito assassinando una rivoluzione, lo si stia realizzando con le proprie mani all’interno delle mura super-protette di El Carmen. Una prigione dorata, ma pur sempre una prigione, nella quale gli inquilini stanno rinchiusi per timore del proprio popolo, nel quale vive sempre quella «chispa rebelde» cantata da Carlos Mejía Godoy.
Sicuramente ci saranno megafoni locali e nostrani pronti a giustificare pure questa mossa essenzialmente politica nei confronti di Ramírez, ma la conseguenza sul piano internazionale potrebbe essere un ulteriore aumento dell’isolamento di un Paese che non può sopravvivere con le sole sue forze senza il resto del mondo. È una facile previsione e non servono sfere di cristallo o tarocchi per ipotizzarlo. E i resti di ciò che era l’Alba (Alternativa bolivariana para las Américas) non sono di certo in grado di sopperire a ciò che verrà a mancare: il Venezuela ha i suoi bei problemi e Cuba altrettanto.
Correggere il titolo: Ramírez è all’estero (come scritto nell’articolo), non sono riusciti ad arrestarlo.
Corretto.