Il Presepe
(*) di Pietro Ratto
Okay, lasciamo da parte atei, ebrei, protestanti, musulmani… Per difendere i loro diritti in una scuola pubblica ci ho rimesso la salute. E dopotutto, mi sembra di capire che se ne freghino, che si siano rassegnati. Della serie: tanto in Italia va così, punto e basta. Lasciamoli tutti al loro destino, allora, e parliamo un po’ delle mie figlie.
Decidi di non battezzarle per evitare ogni condizionamento. Perché pensi che la via che prenderanno, qualunque essa sia, dovrà esser davvero scelta, in alcun modo imposta. Dovrà trattarsi di una questione nata da una passione, da un amore autentico. Decidi di non condizionarle, tutto lì. Esattamente come eviteresti di sceglier loro la persona che ameranno, esattamente come ti riproponi di non interferire sulla loro coscienza politica o sull’educazione dei loro futuri figli, se decideranno di averne. Quindi non le battezzi, ma subito ricevi la telefonata del prete del paese: “Ha per caso intenzione di battezzare sua figlia?”. Lasci perdere la privacy, le domande del tipo: “ma chi gli ha dato il nostro numero?”, “ma chi autorizza costui ad effettuare questo genere di solleciti?”. No, grazie. Devo dare delle spiegazioni? Non ci credo! Devo scusarmi perché vorrei delle figlie libere?
Vabbè, lasciamo perdere anche questo. Arrivano gli anni dell’asilo e scopri che, anche lì, ai bambini di tre anni, fanno Religione. Prima di tutto il resto, prima di insegnare a disegnare, a leggere, a scrivere, a contare. Prima della Storia, della Geografia e di tutto il resto, si fa Religione. Cattolica, naturalmente. Allora chiedi di “non avvalertene” e ottieni faticosamente, tra mille sguardi imbarazzati, l’Attività alternativa. Il tutto, chiaramente, tra mille scrupoli. “E se poi sarà l’unica? E se si sentirà discriminata?” Perché è questa la leva più forte, quella che la Chiesa adotta proficuamente tra i più piccoli: il subdolo ricatto della “discriminazione”. Tutti gli altri fanno un’altra cosa: lei non potrà! Non importa! Ti ostini e procedi; ma scopri molto presto che l’Attività alternativa non comincia mai, insisti, rompi le scatole. Alla fine parte, incredibilmente. Magari a metà anno, ma parte.
Lasciamo perdere, poi, le volte in cui arrivi a prendere la tua bimba un po’ prima e scopri che sta facendo Religione con tutti gli altri. Lo scopri perché, incredibilmente, assisti a rapidissimi e furtivi movimenti della maestra, che al tuo arrivo si fa beccare a trascinarla di corsa dall’aula di Religione a quella di Alternativa, accampando le scuse più ridicole mentre la tua piccola ti guarda sbigottita.
Poi arriva il Natale. Tu cerchi, come sempre, di mantenerti sul vago, ti chiedi se fare il Presepe e che motivazioni addurre. Ne parli a lungo con tua moglie… Sempre la solita questione del non condizionamento, insomma. Ma quella ti torna a casa dicendoti che il presepe l’hanno appena finito, a scuola. Le chiedi di cosa si tratti, tanto per capire. E scopri che la piccola ha le idee chiarissime e ti spiega che nella capanna c’è Gesù bambino, che diventerà grande, sarà buonissimo ma “i cattivi” lo uccideranno. Naturalmente sa anche come andrà a finire: Gesù, alla fine, tornerà, dopo esser morto. Ti rifugi in corner: “Non tutti, però, credono che le cose siano andate così”. La risposta non si fa attendere, sospettosamente lapidaria: “Ma tu non le sai, queste cose: le sanno le maestre!”
E allora facciamo il presepe anche a casa, no? A cosa servirebbe, a questo punto, negare a lei ed alla sorellina questa felicità? Le lucine colorate, le pecorelle, asini, buoi e… il bambinello, no? Che – c’è giurarci – sicuramente risorgerà.
Nel frattempo, è già arrivata l’ora della Recita natalizia, l’ultimo giorno prima delle vacanze invernali. Recita che, puntualmente, si conclude con l’accattivante irrompere sulla scena di un improbabile Babbo Natale dall’accento ben poco lappone, il quale non manca, gioiosamente, di esortare tutti i bimbi, a gran voce, esclamando: “Dite tutti insieme: Viva Gesù!“. Segue, obbediente, il cantilenato coretto. Ma grazie, grazie a tutti davvero. E buone feste!
E quando arrivi all’ultimo anno d’asilo, vieni a sapere che tua figlia è invitata alla festa di Natale (da non confondersi con la Recita, per carità!) che si tiene rigorosamente in chiesa e che coinvolge i bimbi delle elementari e delle medie. Ergo? Altri otto anni di scrupoli e di discorsi del tipo: “ma se poi è l’unica che non partecipa?” “Ci rimarrebbe così male…”, eccetera, eccetera…
Nulla da fare: questa Chiesa adotta la stessa tattica del pedofilo: “La vedi la caramella, bel bambino? Vieni a prenderla a casa mia”. Ci vanno giù pesante, coi bimbi. E lo fanno senza alcun rispetto, con una violenza raccapricciante. Hanno imparato a menadito la lezione di Freud, sanno perfettamente che i primi anni di vita sono quelli determinanti, quelli nel corso dei quali puoi lasciare un’impronta indelebile sulla gente. E lo sapevano ancor prima di Freud, a ben pensarci. Lo hanno scoperto loro, lo hanno messo in pratica, da secoli, i loro implacabili gesuiti. Di conseguenza, eccoli tutti lì, pronti ad avventarsi sul tuo pargoletto, per evitare che poi sia troppo tardi per prevenire l’epoca della riflessione, per anticipare, e magari uccidere sul nascere, una loro capacità critica. Te lo manipolano, intrecciano le loro verità alle fibre del suo inconscio, magari te lo battezzano pure, a tradimento, mentre lo portano in bagno a fare pipì.
In quale scuola devo iscriverle, le mie figlie? Quanto devo pagare affinché ricevano un’istruzione libera da condizionamenti tanto politici quanto religiosi? Affinché, insomma, ricevano un’autentica educazione? Ditemelo, ditemelo soltanto e io mi adeguo, accidenti!
Io avrei voluto che le mie figlie vivessero una vita d’amore. Avrei voluto che provassero quella sete di verità che, invece, questa sacra istituzione non lascia maturare spontaneamente, dando a tutti da bere molto prima che ne avvertano una qualche esigenza. Avrei voluto vederle cattoliche, o musulmane, o atee, alla fine (o, perché no?, a metà) di un loro percorso di ricerca personale. Non per abitudine, non per tradizione o per educazione. Vederle convinte, insomma.
Quelli, invece, me le vogliono far diventare indifferenti, amorfe, piene di pregiudizi come tutti gli altri, me le vogliono trasformare in marionette che non comprendono nulla, ma che non esitano a combattere per un crocifisso che non hanno nemmeno capito cosa significhi davvero. Pronte ad incassare tutti quei privilegi di cui, dalle nostre parti, gode chiunque si dica cattolico.
Quando ero alle medie, il mio insegnante di Religione – materia, all’epoca, considerata obbligatoria come le altre – rimase sbigottito dal risultato di un suo “sondaggio”, effettuato nella nostra classe. Aveva chiesto a tutti noi di mettere in ordine di priorità le dieci cose più importanti della nostra vita. Poi aveva ritirato i foglietti restando inchiodato a guardare il mio: una lista delle priorità di un dodicenne su cui compariva, scritta in cima a tutte, la parola “Dio”.
Da questa mia posizione, a quanto pare, non mi sono mai spostato.
Nemmeno di un millimetro.
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(*) Tratto da: P. Ratto, Il Presepe, BoscoCeduo.it, 2014. Cfr. anche P. Ratto, Santa Romana Scuola, o P. Ratto, L’indifferenza voluta, o ancora P. Ratto, Il girone dei credenti, qui in Bottega
Pietro Ratto è su Facebook e su Twitter. Qui, tutti i suoi scritti “in Bottega” ed una sua biografia.