Il primo massacro mondiale: 100 anni dopo ancora bugie
Due libri come antidoto all’orrore “ripulito” dai nuovi guerrafondai (*)
Dove sono i morti, i mutilati, i milioni di corpi irriconoscibili (il Milite Ignoto li riassume tutti, un unico soldato senza identità) perché ridotti a coriandoli? Dove v vediamo i bordelli di Stato a ridosso delle trincee, i tribunali speciali e le decimazioni? Dove i pescecani che rubarono su divise, scarpe, armi? E dove i prigionieri lasciati morire dal governo italiano perché erano “vigliacchi”? Dove sono i vigliacchi veri cioè i generali, i primi a scappare, mai in prima linea? E dov’è l’inutilità di quella guerra? Dov’è la minoranza – comunque tante persone – che si oppose, disertò, sabotò, si ribellò?
Nulla di tutto ciò, neppure 100 anni dopo.
Io seguo poco (quasi zero) l’informazione di regime ma ho fatto un’eccezione a ridosso del 24 maggio per vedere come partivano queste “celebrazioni”: se, passato un secolo di bugie, qualche piccola verità sarebbe stata detta ricordando dunque i poveri cristi ammazzati dagli Stati. Invece di esaltare, come sempre, chi volle i massacri. E di tacere i nomi di chi si arricchì sulla carne macellata… anche perché parlare di Ilva fa scattare “cattivi pensieri”.
Lo schifo assoluto. Ho visto perfino su Rainews-24 una ministra fare l’ultimo miglio (gli ultimi 100 metri?) di una corsa da tutt’Italia per ricordare quelli che partirono – perlopiù costretti ma lei ovviamente finge di non saperlo – per il fronte cioè “per il re e per la patria”. Un giornalista strisciante chiede alla ministra se oggi dobbiamo ritrovare quel coraggio per combattere contro l’Isis (cazzo c’entra?) e lei subito parte in uno spot pro nuove guerre.
Pochissime eccezioni: siore e siori ammirate qui in gabbia un Panda cicciottissimo che dice la verità; purtroppo tutti gli altri li abbiamo ammazzati ma guardate questo quant’è bellino e dimenticate il resto. Al solito. Anche più. Se qualche Panda, intorno al 24 maggio, ha provato a parlar male del militarismo o (sia mai) a collegare i massacri di 100 anni fa con quelli di oggi, a suggerire che le industrie di armi provocano le guerre, ecco i generali – ops, i giornalisti – di «Corserepubecc» urlare che no, quella strage fu necessaria come le prossime.
Ovviamente i libri di scuola sono quasi tutti addomesticati e ora nelle classi entrano i militari – per lo più senza contraddittorio – a dire cazzate sul 15-18 (o sui due marò o sulle “missioni di pace”) ma anche a reclutare per l’oggi, persino “divertendo” i più piccoli con giochini nei quali si premia chi ammazza più nemici.
Nulla di particolarmente nuovo ma forse peggio del solito. Proprio perché questa merda militarista dilaga, bisogna segnalare – quasi urlare – qualche antidoto. A partire da due libri preziosissimi.
Anzitutto i numeri veri. I morti italiani in 3 anni di guerra sono 650 mila. Mezzo milione i feriti gravi e mutilati ma anche 600mila prigionieri «abbandonati». Almeno 40 mila i soldati impazziti. «Un indebitamento estinto solo negli anni ’80». Truffe «impunite» sulle spese belliche, fra gli imputati Ansaldo e appunto Ilva. Così in «La grande menzogna» (Dissensi editore: 170 pagine per 13,90 euri) di Valerio Gigante, Luca Kocci e Sergio Tanzarella: rigoroso, chiaro, sintetico, coraggioso.
Ecco verità che altrove non trovate. I cappellani militari a benedire le armi mentre il papa parla di «inutile strage»: al solito la Chiesa tiene dentro tutto, anche un demente, sadico come Agostino Gemelli. Il generalissimo Cadorna che subito – circolare 268 dell’11 giugno 1915 – organizza i bordelli per soldati con prostitute che non possono circolare in libertà (detenute o se preferite schiave) ovviamente per ragioni di sicurezza. Automutilazioni, suicidi e disturbi mentali come tentativi di fuggire dall’orrore. I carabinieri e gli ufficiali sparano alle spalle dei soldati italiani che esitano; i cannoni accorciano il tiro per impedire una ritirata. Le decimazioni contro i “riottosi”: un estratto ogni 10 per essere fucilato senza processo. Gli «intellettuali con l’elmetto». Perché dalla neutralità si passò all’interventismo? Il ruolo di banche e industrie. La truffa vergognosa sulle «spese per le forniture di guerra» del quale si è persa la memoria perché venne il fascismo e la coprì. Ecco «la guerra sui corpi umani» cioè l’evoluzione degli strumenti di morte. Poi «l’uso politico della memoria» cioè «i sacrari militari, religione civile della “nuova patria”». Gli ultimi 3 capitoli sono utili tracce per proseguire: «“Maledetto sia Cadorna”, canzoni contro la guerra»; «Il cinema senza l’elmetto» e «Percorsi di lettura». Insomma quello che si tace nelle istituzioni e nei “grandi” media.
Altro libro importante, appena uscito, è «Gli ammutinati delle trincee» di un nostro compagno, Marco Rossi: pubblicato da Bfs (88 pagine per 10 euri) racconta «Dalla guerra di Libia al Primo conflitto mondiale» con gli occhi di ribelli e disertori, unici veri eroi in tutte queste infamie.
Almeno per quel che riguarda l’Italia, «la sconfinata macellazione umana» e la fabbrica delle menzogne iniziano nel 1911 quando Giolitti dà il via all’aggressione contro la Turchia per conquistare la Libia. In quel periodo anche il rifiuto della guerra – talora in forma organizzata, spesso spontaneo – fa le sue prove. L’anarchico Augusto Masetti spara a un colonnello. Lo sciopero generale del 27 settembre 1911. Molte azioni di boicottaggio e sabotaggio contro i militari in partenza. I soldati che si ribellano (Novara, Este, Genzano, Verona… l’elenco, nelle pagine 27, 58-59 e 73-74, è impressionante). Poi – nell’agosto 1917 – la rivolta di Torino: 41 morti fra i dimostranti e 10 tra le forze dell’ordine ma… i giornali non ne scriveranno, censura totale.
All’origine della guerra libica, ci sono le ambizioni colonial-imperialiste. Anche i cattolici si accodano alla «missione civilizzatrice». In piccolo c’è nel 1911 quello che si vedrà dal ’15 al ’18: generali incapaci, soldati al macello, stragi, rappresaglie contro innocenti, stupri e donne costrette a prostituirsi con gran contorno di bugie, truffe, indebitamenti. C’è pure il triste record del primo (forse) bombardamento aereo con il tenente Giulio Gavotti. C’è Pascoli che si scopre nazionalista-populista («La grande proletaria si è mossa»). A dire quant’è bella la guerra svettano i futuristi; a suggerire che sia utile o comunque obbligata anche i socialisti riformisti.
Dentro il massacro ’15-’18 c’è però «la guerra dentro la guerra» che prende varie forme e per molti (anarchici, socialisti o senza etichette) diventa un pilastro della coscienza di classe presente o futura: il rifiuto della Patria, la solidarietà con gli altri proletari, l’idea che l’unica guerra da fare sia quella «sociale» per abbattere il capitalismo. «Non tutti gli alti ufficiali “caduti in battaglia” vennero uccisi dal fuoco nemico»: come i regi carabinieri sparavano alle spalle dei soldati “recalcitranti” così talora le pallottole che tolsero di mezzo ufficiali italiani (si sa: il nemico spesso marcia alla tua testa) non erano austriache.
A rivoltarsi non soltanto i disperati nelle trincee. Ci sono «attivisti politici» che espatriano. E molti «disertori e renitenti» si danno alla macchia. «Spesso con il sostegno della popolazione» come «una comunità di disertori di Imola, autonominatisi Fratelli Ciliegia». Piccola, buona notizia che ci riporta a 100 anni dopo: «i fratelli Ciliegia» continuano a fomentare sovversione, posso garantirlo perché li ho incontrati da poco.
Le storie che Marco Rossi ripercorre sono tantissime: la carcerazione speciale e il «filetto giallo»; le infamie dei generali (soprattutto Luigi Cadorna e Andrea Graziani); l’appoggio alla guerra di Ernesto Teodoro Moneta…. «premio Nobel per la pace»; «il supplizio del reticolato»; un Giacomo Matteotti in prima fila contro il militarismo mentre altri dirigenti socialisti invece ricevono dalla polizia «un attestato di benemerenza» per il loro atteggiamento «patriottico»…
Nei tribunali militari «870mila denunce, delle quali 470mila per renitenza; 350mila processi celebrati; circa 170mila militari condannati di cui 111.605 per diserzione «» […] 4028 condanne a morte delle quali 750 eseguite»: a confermare l’ampiezza del rifiuto alla guerra. Le coraggiose, geniali vignette di Scalarini completano un libro che bisogna assolutamente leggere, far girare, presentare,
«Gli ammutinati delle trincee» chiude accennando alle rivolte dei soldati che rifiutarono nel 1920 di andare in Albania: a Parma si distinse l’ex sottotenente Guido Picelli che sarà poi a capo degli Arditi del popolo, l’unica opposizione armata al fascismo degli esordi. «Il passo dalle trincee alle barricate era breve» conclude Marco Rossi. Ma questa naturalmente è un’altra vicenda.
Ho iniziato la recensione-invettiva con un «Dove sono…». Ma io credo alla responsabilità individuale e all’azione collettiva e dunque devo aggiungere: «dov’ero io? Dove siamo noi antimilitaristi?». Stiamo facendo il possibile in questo 2015 per contrastare le nuove guerre?
(*) Questa mia recensione è uscita sul numero 402 di «A rivista anarchica», una delle poche cose leggibili rimaste in questo Paese impaurito, ignorante e sempre più cloroformizzato (ma anche clero-formizzato, se mi passate la battuta). Dei due libri avevo già parlato ampiamente in “bottega” ma c’è ancora molto e molto da dire su queste ricerche e sul contesto… che non è solo quello storico ma la stretta attualità con le nuove guerre della Nato. Se vi interessa una lettura (a due voci) sul primo macello mondiale trovate qui in “bottega” – in alto, sopra le scimmiette – il post «Una proposta: “Ancora prigionieri della guerra”», dateci un’occhiata. (db)