Il reato è chiaro: aiutare profughi e migranti
di Gianluca Cicinelli (*). A seguire il comunicato di Baobab.
Fino a 18 anni di reclusione. Tanto prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina imputato ad Andrea Costa, il presidente di Baobab Experience onlus. E’ giusto, penserà qualcuno, basta con questi scafisti che trasportano – in cambio di denaro, per conto delle organizzazioni criminali – persone come se fossero carne da macello. Per chi non conosce il lavoro di Baobab e di Andrea Costa un’accusa del genere è un’infamia che non merita alcun perdono. Le cose però stanno molto diversamente da come le ha prefigurate la magistratura che – come già accaduto spesso in passato, utilizzando anche sistemi sulla cui legittimità giuridica sono stati espressi dubbi da più parti – non si preoccupa di fare distinzioni fra i trafficanti di esseri umani e la solidarietà attiva a migranti e profughi. Ricordando gli oltre quaranta sgomberi subiti dall’associazione negli ultimi sette anni a Roma tra Via Cupa, Piazzale Spadolini e Piazzale Maslax, dove i volontari hanno allestito strutture per dare lezioni di italiano, fornire una prima assistenza giuridica e consentire di passare la notte in tende a migranti e richiedenti asilo.
Il “caso Baobab” è stato gestito dalla Direzione Distrettuale Antimafia, che basa le sue accuse sulle intercettazioni telefoniche effettuate sull’utenza di Andrea Costa. Dobbiamo fare un passo indietro al 30 settembre 2016, quando viene sgombrato il campo informale dove Baobab assisteva 300 persone. Un’immagine su tutte resta impressa di quella giornata per chi ha assistito di persona allo sgombero: tre camionette della polizia e cinque volanti intervengono per togliere con la forza un telo di plastica che difende dalla pioggia battente una donna incinta rimasta senza niente. Ma – è l’associazione a ricordarlo – sono gli stessi giorni in cui la procura di Catania definisce “amici dei trafficanti” le Ong che salvano dall’annegamento i migranti: accuse poi cadute miseramente in sede giudiziaria. Quel giorno oltre cento migranti e profughi vengono caricati sui pullman della polizia e portati al centro per l’identificazione. Tra loro ci sono otto ragazzi sudanesi e un ragazzo proveniente dal Ciad, che dopo aver saputo che il campo della Croce Rossa a Roma è in condizioni di sovraffollamento, decidono di andarsene in cerca di tutela. Intendono dirigersi verso Ventimiglia, al confine con la Francia. I volontari di Baobab si attivano per aiutarli nello spostamento. E qui, secondo l’ accusa, scatterebbe il reato.
In sostanza la magistratura sostiene che aver aiutato i ragazzi a comprare i biglietti per il viaggio, aver fornito un panino e prodotti per l’igiene equivale al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dalle indagini non è emerso alcun elemento ulteriore a carico dell’imputato oltre quello che abbiamo raccontato. E’ evidente l’elemento politico presente nella vicenda, la volontà di colpire chi assiste profughi e migranti anzichè indagare su chi ne fa merce per arricchirsi, mentre sia l’Italia che l’Unione Europea sono accusate dalla “Corte Europea per i diritti dell’Uomo” per i respingimenti di esseri umani in fuga da guerre e fame. E che si usino due pesi e due misure nei confronti dei migranti e di chi li aiuta è reso ancora più evidente dalla invasione russa dell’Ucraina. Sono 71 mila i profughi provenienti dall’Ucraina accolti in questi giorni in Italia. Ed è giusto che siano accolti: non si tratta di mettere chi soffre contro chi soffre, ma bisogna rifiutare che esista un principio di accoglienza variabile a seconda della nazionalità di chi soffre, come sembra sancire il nostro Paese.
Fra due settimane dovrebbe arrivare la sentenza.
IL COMUNICATO STAMPA DI BAOBAB
Fino a oggi non abbiamo raccontato nulla della vicenda giudiziaria che ha colpito il Presidente di Baobab Experience e con lui tutta la nostra comunità: siamo rimasti in silenzio per non darla vinta a chi ci ha voluti coinvolgere in un processo che è senza alcun dubbio politico e continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto – offrire soccorso a donne, uomini e bambini migranti – con la convinzione di essere nel giusto.
Tutto in una forzata parvenza di normalità, perché accuse come questa pesano come macigni, nell’assurdo paradosso che pongono – chi quotidianamente combatte il traffico di esseri umani viene accusato di favorire quel traffico – e nella pressione emotiva che questo processo penale comporta, anche considerando che la contestazione attuale prevede da 6 anni e mezzo a 18 anni di reclusione.
Quando le dinamiche dell’intera vicenda giudiziaria sono così contorte, non conforta la consapevolezza della propria innocenza, laddove il potere dà la parvenza di sottomettersi a ciò che ha precedentemente creato ad arte e dove le regole sono volutamente equivoche.
Ma tornati, a pochi giorni dal verdetto, da una missione umanitaria al confine tra Ucraina e Moldavia, abbiamo sentito il bisogno e, assieme, il dovere di denunciare il paradosso in cui, oggi forse più che mai, ci troviamo a svolgere la nostra azione di volontariato.
Nel momento in cui giungiamo in Italia con persone evacuate dall’Ucraina e quando attraversiamo 5 frontiere – tra le quali due extra-comunitarie e dunque l’invalicabile Fortezza Europa – siamo chiamati, da Politica e Opinione pubblica, “eroi”, ma siamo seduti sul banco degli imputati per aver aiutato persone di origine sudanese e ciadiana – opportunamente identificate e con il pieno diritto di muoversi sul territorio italiano – a raggiungere il Campo della Croce Rossa di Ventimiglia.
Noi non siamo mai eroi, esattamente come non siamo mai criminali. Siamo volontarie e volontari; siamo solidali.
E i profughi sono sempre profughi, sia se fuggono da un orrore vicino come l’occupazione russa dell’Ucraina sia se si mettono in salvo da una tragedia lontana, come la sanguinosa guerra civile sudanese o dalla dittatura ciadiana.
Tutto il resto è razzismo istituzionale, di cui la criminalizzazione e la persecuzione giudiziaria della migrazione e della solidarietà sono e continuano a essere il più potente strumento operativo.