Il segnale «Wow» o della speranza

Siamo soli nell’universo? Una sorta di scordata sul 15 agosto 1977 ma anche un avvincente duello fra la signora scienza e la signorina fantascienza

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia  

La fantascienza è sicuramente dietro l’angolo, in ogni anfratto della nostra angusta realtà, in ogni piega del quotidiano: è il fantastico, il perturbante, che irrompe nella perfezione matematica della natura, travolgendo le nostre certezze.

Secondo Isaac Asimov, la fantascienza è quella branca della letteratura che si occupa in modo plausibile di studiare l’impatto che la tecnologia ha sull’essere umano. In effetti, il corso del tempo non l’ha smentito e gli scrittori di SF venuti dopo “il buon dottore” non sono venuti meno a questa semplice constatazione.

Guardata con snobismo da una parte dell’ambiente scientifico, messa al rogo molto spesso dalla religione istituzionalizzata per eccessiva sovversione, ignorata dalla letteratura ufficiale poiché mero prodotto di consumo, la fantascienza ha saputo rispondere colpo su colpo a questa colpevole ghettizzazione, senza venire meno alle proprie ricerche avventurose.

Nel nostro presente possiamo vedere quanto sia la realtà a essere imitazione della finzione, mentre quest’ultima diventa paradossalmente più reale e concreta della vita medesima. Elettrodomestici super, domotica, automobili che si parcheggiano da sole, energie alternative, un’auspicabile fine dell’era atomica da un lato e dall’altro assetti politici basati sulla corsa agli armamenti, società che si muovono in metropoli tentacolari e divise in caste (disoccupati e padroni con qualcosa in mezzo), una rete globale ormai sempre più pervasiva dove una parte della popolazione sofferente e digiuna (di tutto) cerca conforto e accettazione: sono elementi di una fantascienza anche troppo reale e concreta, sempre più fisica e molto meno metafisica.

Ma c’è un argomento su cui la fantascienza ha sempre – palesemente? – preso una cantonata: gli alieni.

E’ assodato, almeno nei pianeti del sistema solare non ci sono forme di vita intelligenti e magari con vaghe sembianze umanoidi; nessuna bellicosa razza proveniente da Marte, Venere, Saturno minaccia di spazzare via il genere umano con la stessa mentalità con cui su questo pianeta si fanno le guerre da più di cinquemila anni.

Una parte dell’umanità è particolarmente rassicurata da ciò: la paura del diverso, dell’ignoto, viene esorcizzata e accantonata nell’ala preposta alle ipotesi iperboliche, un ripostiglio dove gettare la spazzatura troppo puzzolente.

Ma a un’altra parte dell’umanità il diverso non fa paura, anche nella conferma della sua esistenza concreta. E’ un po’ come la prova ontologica dell’esistenza divina che sarebbe una concreta minaccia alla libertà umana: come si è spesso ritenuto, in vari ambiti della filosofia, che se Dio esiste l’uomo non può più decidere, allo stesso modo la presenza degli alieni metterebbe in serio pericolo la libertà e la vita stessa degli esseri umani, anche solo per mere questioni evoluzionistiche.

Ecco irrompere una scintilla che immette il dubbio in tutte queste considerazioni: è la sera del 15 Agosto 1977, il dottor Jerry A. Ehman sta lavorando al progetto SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence, “Ricerca di intelligenze extraterrestri”) con il radiotelescopio “Big Ear” (“Grande Orecchio”) dell’ Università dello Stato di Ohio.

Improvvisamente, la strumentazione capta un segnale stranissimo, mai registrato prima d’ora, per un lasso di tempo di 72 secondi. La stampa dei dettagli di questo segnale è immediata, Ehman è talmente eccitato dall’evento che sovrappensiero traccia la scritta “WOW” con una penna a sfera di colore rosso al margine del foglio: a quanto sembra l’evento è storico, anche se di breve durata.

Ehman tenta in tutti i modi di ristabilire il contatto, orientando la gigantesca parabolica del radiotelescopio ma senza successo. Sono stati 72 secondi di pura goduria, che però non si ripeteranno in futuro, lasciando il dottor Ehman con un senso profondo d’amaro ma con una luce di speranza, visto che l’origine del segnale fu tracciata dagli strumenti con le due possibili coordinate equatoriali:

  1. A.R. = 19h22m22s ± 5s
  2. A.R. = 19h25m12s ± 5s

Entrambe le coordinate hanno declinazione =-27°03′ ± 20′ (epoca B1950.0)[2] e ricadono entro il confine sud-orientale della costellazione del Sagittario. Il segnale dunque non aveva l’origine dalla Terra o dal sistema solare, ma era di chiara origine aliena; ed era completamente diverso da qualunque segnale fino ad allora percepito.

Inoltre il radiotelescopio Big Ear era fisso e utilizzava la rotazione della Terra per scandagliare il cielo. Alla velocità della rotazione e data la larghezza della finestra osservativa del Big Ear, il telescopio poteva osservare un qualunque dato punto per appena 72 secondi. Quindi ci si aspettava che un segnale extraterrestre venisse registrato per esattamente 72 secondi e l’intensità registrata di quel segnale avrebbe mostrato un innalzamento graduale per i primi 36 secondi (finché il segnale radio non raggiungeva il centro della finestra osservativa) seguito da una progressiva diminuzione. Quindi, sia per la sua durata di 72 secondi che per la sua forma il segnale ha un’origine extraterrestre.

I tentativi di localizzare nuovamente quel segnale non diedero alcun risultato, Jerry A. Ehman non ebbe la fortuna dell’astrofisica interpretata da Jodie Foster nel celebre film «Contact» di Carl Sagan e non riuscì a trovarlo. Fu chiara una stranezza allo sfortunato scienziato. Il telescopio Big Ear utilizzava due “antenne a tromba” per cercare segnali; il segnale «Wow» venne rilevato in uno di questi fasci di rilevatori, ma non nell’altro. Esso sarebbe quindi dovuto apparire anche tre minuti dopo (o prima) ma non lo fece: come era possibile?

Questa e altre domande rimasero insolute, nonostante i vari tentativi del dottor Robert Gray che nel 1987 e nel 1989 ricercò il segnale usando l’array META all’Oak Ridge Observatory, rimediando un fiasco completo su tutta la linea.

Testardo, tentò anche nel 1995 e nel 1996 utilizzando il Very Large Array, molto più potente del Big Ear, e nel 1999 usando il radiotelescopio da 26 metri dell’University of Tasmania di Hobart.

Vennero effettuate sei osservazioni da 14 ore, trovando una posizione nelle vicinanze, ma non venne mai rilevato qualcosa di simile al segnale Wow.

Si azzardarono diverse ipotesi, una più plausibile dell’altra. Sconfortato, lo stesso Ehman dovette ammettere: «Avremmo dovuto vederlo di nuovo quando lo abbiamo cercato per 50 volte. Qualcosa suggerisce che era un segnale originatosi sulla Terra che è stato semplicemente riflesso da un detrito spaziale» dichiarò lo sfortunato scienziato, che, almeno in teoria, potrebbe essere il primo umano ad aver avuto un contatto con un’entità di origine extraterrestre.

Si suppose che la causa del segnale potesse essere dovuta alla scintillazione interstellare di un debole segnale continuo, del tutto simile alla scintillazione atmosferica, anche se non si può ancora escludere la possibilità che il segnale sia artificiale nella sua natura.

In seguito un’ulteriore ricerca scientifica stabilì improbabile che si trattasse di un segnale riflesso proveniente dalla Terra. Infatti non era possibile che il segnale fosse su una frequenza di 1420 MHz poiché si tratta di uno “spettro protetto”, ovvero di una larghezza di banda nella quale le trasmittenti terrestri hanno il divieto di trasmettere.

Dalla parte degli scienziati “credenti” (negli alienii), Frank Drake – famoso per la sua “equazione” – proprio per spiegare come mai il segnale non sia più stato rilevato suppose che esso fosse stato inviato da una civiltà tecnologicamente avanzata che intendeva comunicare con altre civiltà del cosmo. Per farlo avrebbe potuto inviare un segnale in tutte le direzioni, ma questo avrebbe comportato spendere una gran quantità di energia per creare un segnale relativamente debole e non rilevabile a grandi distanze. Focalizzando la stessa quantità di energia in un fascio più stretto, avrebbero potuto invece illuminare il proprio obiettivo con un segnale molto più intenso e captabile da grandi distanze. Ciò avrebbe fatto sì che gli eventuali ascoltatori ricevessero il segnale solamente per pochi minuti.

Ehman ritirò un poco del proprio scetticismo e ritornò con buona lena alle proprie ricerche, corroborato inoltre da una considerazione da non prendere troppo sottogamba e che andrebbe a dare forza all’ipotesi di Frank Drake: nel 1974, gli esseri umani inviarono una sola volta un segnale radio verso lo spazio, trasmesso dal radiotelescopio di Arecibo, spedito verso l’Ammasso Globulare di Ercole, che si trova a 25.000 anni luce, messaggio contenente una codifica lineare di un messaggio bidimensionale, dove si vedono segnali matematici, un radiotelescopio, un uomo stilizzato e la spirale del DNA.

Siamo ancora in attesa di risposta, ovviamente, ma evidentemente non è esattamente come inviare una e-mail o una cartolina da Rimini.

Dovremo quindi rimanere ancora una volta in attesa, con la speranza che il segnale trasmesso da noi o dalle entità extrasolari compia il suo tragitto e giunga a destinazione, auspicando che le antenne siano in posizione per rilevare il segnale.

Un semplice bussare alla porta, per comunicarci: «Non siete soli».

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *