Il Senato dà il via libera alla vendita di armi
Nei giorni scorsi la commissione Affari Esteri e Difesa del Senato ha approvato alcuni emendamenti finalizzati a modificare tutti quei meccanismi di rilascio delle autorizzazioni alla vendita di armi che erano stati per anni ferocemente contestati dalle lobby delle imprese belliche trovando sponda nei partiti del centro destra.
di No Camp Darby Pisa
Un favore ai produttori nazionali di sistemi di armi, non possiamo definire in altri termini la riforma della legge 185/90 oggi in discussione.
La normativa del 1990 ha molti limiti e contraddizioni, prova ne sia l’invio di armi a paesi notoriamente attivi nella violazione dei diritti umani e civili, ma fu comunque un risultato dopo la mobilitazione intrapresa anche in ambito cattolico oltre ai settori pacifisti.
Urge comunque precisare che nel Parlamento di allora esistevano sensibilità diverse e maggiori rispetto ai nostri giorni verso le istanze contro la guerra.
Nei giorni scorsi la Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato ha approvato alcuni emendamenti finalizzati a modificare tutti quei meccanismi di rilascio delle autorizzazioni alla vendita di armi che erano stati per anni ferocemente contestati dalle lobby delle imprese belliche trovando sponda nei partiti del centro destra.
Una concentrazione di poteri nelle mani del Governo con il dichiarato intento di rimuovere ogni ostacolo alla vendita di armi mentre le normative internazionali alla luce dell’escalation militare Usa e Nato potrebbero ben presto essere modificate ad esempio il Trattato delle Nazioni Unite del 2013.
Un trattato tuttavia che è stato in sostanza ripetutamente violato, ad esempio “Il non intervento in questioni che sono prettamente di competenza interna di uno Stato” o proibire che “le armi o gli oggetti possano essere utilizzati per la commissione di atti di genocidio, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o a soggetti civili protetti in quanto tali, o altri crimini di guerra definiti dagli accordi internazionali di cui lo Stato è parte”.
Alla luce di quanto accade in Palestina è evidente che i buoni principi siano stati da subito disattesi in nome del profitto e degli interessi economici e militari.
E non dimentichiamo mai che sotto l’egida dell’Onu siano state autorizzate e sostenute guerre.
Particolarmente grave è l’emendamento della relatrice Stefania Craxi di Fi che il quotidiano Avvenire ha giudicato funzionale a “eliminare ogni informazione riguardo agli Istituti di credito operativi nel settore dell’import/export di armamenti. I correntisti non sapranno più dalla Relazione quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, in particolare verso Paesi autoritari o coinvolti in conflitti armati”.
Le banche potranno quindi dormire sonni tranquilli, del resto sono proprio i capitali finanziari protagonisti assoluti nel commercio di armi.
Una iniziativa di revisione profonda, sarebbe lecito parlare di stravolgimento della norma, in un’ottica di guerra permanente che facilita le esportazioni degli armamenti in nome dello sviluppo e della “competitività dell’industria militare”.
Sarebbe sufficiente ricordare la vendita di bombe e missili prodotti in Sardegna dalla RWM all’Arabia Saudita durante la guerra in Yemen o gli aerei da addestramento italiani (una trentina di M-346 della Alenia Aermacchi dell’allora Finmeccanica, oggi Leonardo) venduti a Israele.
Possiamo quindi concludere che siamo in presenza non solo di una esplicita volontà politica per far calare il silenzio sulle esportazioni di armi italiane ma di nuovi atti di indirizzo provenienti dalla Nato e anche dalla Ue in nome della guerra globale.
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