Il tornello nel cuore
Sulla necessità, sui costi, sull’opportunità, sui metodi della polizia e sul modo di protestare dei ragazzi, sulla legittimità dell’occupazione, sul rettore, sul 36 e sul ’77, su Bologna e sul conflitto generazionale.
Sulla necessità, sui costi, sull’opportunità, sui metodi della polizia e sul modo di protestare dei ragazzi, sulla legittimità dell’occupazione, sul rettore, sul 36 e sul ’77, su Bologna e sul conflitto generazionale.
Come succede spesso da un solo problema i temi di discussione che si generano sono molteplici.
Io sono uno solo e ci metterei giorni per parlare di tutto.
Dunque mi limiterò ad analizzare la parola della settimana: tornello.
Il tornello, per alcuni invenzione del diavolo, per altri cancello delle porte del paradiso, è uno strumento da poco istallato nella biblioteca di discipline umanistiche dell’università di Bologna.
Il suo compito è quello, limitando l’accesso ai soli studenti, di tenere lontano dalla biblioteca i pericoli che il mondo esterno riserva ai ragazzi.
Il tornello, in poche parole, permette alla biblioteca di conservare la sua natura di locus amoenus, un ecosistema di indefinibile dolcezza, dove le idee circolano libere e fluide, si prende per mano la cultura e le anime pure fanno l’amore col sapere.
Siccome la bellezza va protetta, non si può rischiare il contagio della piazza, piazza Verdi con lo spaccio e le bici rubate, piazza Verdi dei barboni e della povertà.
Tutta questa storia mi ricorda due situazioni: innanzitutto mia madre che il primo giorno di scuola mi raccomanda di guardarmi bene da certi bambini e di evitarli.
Chi fossero questi ‘certi’ bambini in principio non mi fu molto chiaro.
Poi capii.
‘Certi’ bambini sono i bambini delle famiglie con problemi, quelli con difficoltà economiche o con dei genitori violenti, quelli che ogni giorno sono costretti a vedere una lite in casa.
La seconda scena che mi viene in mente è quella del marito follemente innamorato di sua moglie che la chiude in cantina per paura che le accada qualcosa.
‘Il mondo è un posto infame, piccola. Io devo proteggerti.’
Come si può biasimare il troppo amore di una mamma o di un marito?
Rettore, davvero, il gesto è stato apprezzato.
Ora abbia fiducia e ci permetta di uscire e soprattutto di far entrare.
Ci dia le chiavi della cantina, vedrà che lo studio non sarà tradito con la droga.
Al più si cercherà di rendere la gente drogata di sapere, una folle dipendenza da curiosità affliggerà la piazza, centinaia di tossici di conoscenza busseranno alla porta del 36 per chiedere la loro dose giornaliera di studio.
Allora forse occorrerà aprire la porta a quei ‘certi’ bambini, che forse sono i ‘certi’ bambini della mia prima elementare, quelli da cui mia madre mi diceva di guardarmi bene.
Quelli esclusi. All’epoca forse i tornelli non erano fatti di metallo, erano tornelli di paura e sospetto. Non furono utili allora i tornelli, non sono utili ora.
Quei ‘certi’ bambini forse in prima elementare avrei dovuto invitarli a casa, far conoscere loro un’alternativa, dimostrare che un’altra vita c’è ed è possibile.
Ma forse non è ancora troppo tardi.
Anziché temere che piazza Verdi contagi l’aula studio, non si potrebbe sperare che l’aula studio inondi di luce piazza Verdi? E forse magari, togliendo i tornelli, sperando anziché temendo, gli ultimi irriducibili cattivoni di piazza Verdi un giorno chiederanno loro stessi l’istallazione dei tornelli, con la paura che tutto ciò che c’è al 36 contamini con la sua bellezza gli ultimi brandelli di miseria della piazza.
Anonimo lettore di zic.
SU QUESTA VICENDA cfr in “bottega” anche Da via Zamboni 36, febbraio 2017 e Andiamo a tornellare