Il vecchio, un francobollo e la vita loca
di Gianluca Cicinelli
Va bene, in parte è colpa mia, che da tempo vivo senza televisione e senza macchina, anche senza lavastoviglie a dire il vero, e per questo ogni anno ricevo biglietti d’auguri dall’abate Faria, dal principe Carlo, dal Wwf e dal nonno di Heidi. Non è giusto però scoprire d’improvviso di far parte della categoria dei vecchi fracichi dentro e fuori soltanto perchè devi spedire una lettera. Non un’email, una lettera antica, su carta, tanto poi ci penserà Lula a risistemare l’Amazzonia, o no?, anche se l’ho scritta col pc e fatta uscire da una stampante. Che tra l’altro, a proposito di complessità sociali che iniziano a fuggirti nell’era digitale, costa 29 euro la stampante e 45 euro le cartucce d’inchiostro; e già lì c’è qualcosa che non va, ma lasci correre perchè sei un tipo pratico e quando finisce la cartuccia iniziale vai dal bangla che con 10 centesimi ti stampa pure la Divina Commedia.
Per darmi un tono, non potendo darmi un toner, e sentirmi ancora più giovanilista, faccio comunque una scansione del manufatto per far precedere la missiva a mano da un invio telematico, che in teoria anticiperebbe le questioni burocratiche legate al contenuto della lettera, ma in pratica non anticipa niente perchè l’invio richiede una marca da bollo da 2 euro che (per quanto certi “bangla” – come i nativi – stampino anche soldi falsi su richiesta) non è riproducibile legalmente sulla scansione e ha valore soltanto indicativo.
Già nella ricerca della marca da bollo da due euro inizio a capire come si è messa la giornata. Il primo tabaccaio mi guarda stranito. Si alza in piedi dallo sgabello da cui domina il negozio e si accerta che dietro di me non ci siano uomini o donne della Finanza. Teme una trappola. Per fortuna ho i capelli talmente lunghi e disordinati che persino come infiltrato non sono “credibile”. Chiede al cliente successivo di ripassare dopo e accosta la porta dell’esercizio per iniziare la ricerca della marca. Tira fuori un cassetto, poi un altro e dal secondo cassetto estrae una scatola laminata: fruga, impreca, e alla fine sentenzia “non ce l’ho”. Al terzo tabaccaio comunque la marca da due euro esce fuori; però non ha la busta per la lettera.
Vado allora dal cartolaio, figura mitica in estinzione, a cui domando una busta. Mi guarda schifato. “Solo una busta?” chiede sibilando la frase con gli occhi rivolti a un altro utente come a dire “ma tu guarda questo disgraziato che c’è pure uscito di casa”. Mi sento in colpa e vorrei comprare uno stock da cento buste, ma onestamente non saprei che farmene e mi limito a una. Sono venti centesimi, mi dice sprezzante il cartolaio. Vedo anche una penna nera morbida che mi piace, ma costa soltanto un euro e non vorrei offenderlo, perciò desisto dall’acquisto.
Finalmente ho tutto quel che mi serve per spedire la lettera. Non ho osato compilarla sul bancone del cartolaio vista l’aria pesante che tirava, per cui vado in un bar dove mi godo un bel caffè bruciato, cercando di non sporcare la lettera e la busta. Perchè nel paese dove effettuo queste operazioni i baristi hanno una caratteristica precisa: quella di sbatterti sul bancone il bicchiere pieno d’acqua con malagrazia e senza mai guardarti in faccia, meglio ancora se continuando a parlare con un tizio che, uscito presumibilmente da un libro di Benni di qualche anno fa, pur non consumando mai staziona nel locale tutto il giorno lì solo per intrattenere il barista.
Ma oggi è il giorno del “volli sempre volli fortissimamente volli”. Forse a questo punto avrete già capito che questa lettera è propedeutica a ricevere soldi, per cui, a costo di spianare tutto il paesotto arriverò fino in fondo alla missione. Perchè sono in missione per conto di Io, la massima autorità da me riconosciuta. Mi esalto con la busta chiusa, su cui appongo a mano indirizzo del mittente e del ricevente. ora vado in cerca della cassetta detta postale.
Dopo una ventina di minuti che giro in cerca della cassetta devo arrendermi all’evidenza di non trovarla, perlomeno al centro del paese in cui sto effettuando l’operazione. Sarà decentrata, immagino. Trovo allora un vigile urbano a cui rivolgere la domanda e resto un po’ perplesso quando questo comincia a ridere. Passato il sussulto d’ilarità, il vigile mi guarda compassionevole e spiega che le cassette della posta nel paese non esistono più da anni. L’unica possibilità è l’ufficio postale, spiega convintamente. Penso allora alle cassette rosse che hanno attraversato tutta la mia vita cittadina e mi viene in mente che sono rosse come le cabine del telefono di Londra (che stanno sparendo anche quelle). Forse è proprio tutto ciò che è rosso che sta scomparendo, ma non ho tempo per avventurarmi in ragionamenti politici, devo soltanto spedire questa cazzo di lettera e la spedirò.
Arrivo all’ufficio postale e, naturalmente, trovo una fila di due ore. Sono tutti vecchi veri in attesa di riscuotere la pensione. A questo punto però trovo una discreta fratellanza con loro. Il tempo scorre amabilmente con questi miei nuovi amici. Nella prima fase parliamo degli impiegati di quell’ufficio postale, ma per descrivere i commenti dei vecchietti dovrei macchiarmi di body shaming. Su ognuno c’è un aneddoto, che varia dalla corrispondenza persa all’incapacità di eseguire determinate operazioni. Poi passiamo al basso reddito delle pensioni. Intorno a mezzogiorno abbiamo già creato un fronte anti Draghi che la Meloni se lo sogna. All’una, quando esco dopo aver finalmente spedito la lettera, potremmo quasi organizzare una rivolta popolare contro i poteri forti con i miei amichetti della posta, ma si è fatto tardi e dobbiamo andare a casa per preparare il pranzo. Oggi brodino, naturalmente, per consacrare il mio ingresso ufficiale nell’area dei vecchi rincoglioniti.