Il Ver perenne

Poesia e utopia in un romanzo in “sei movimenti” di Fabio Razzi.
di Angelo Maddalena

 

Poesia sottesa in Il Ver perenne, lo stesso titolo ne ha (Ver perenne vuol dire luogo in cui ci si ritrova per discutere insieme e per mangiare e bere) e anche il sottotitolo sembra una poesia o un enigma: “In sei movimenti ultimo nessuno”.
Però, poi, leggendo dall’inizio alla fine, tutto è chiaro, anche se lo stile di scrittura è molto asciutto e a volte chiede di intuire, per una punteggiatura e un fraseggiare altrettanto asciutto, appunto. C’è anche un tono epico, se vogliamo, e questo andare della narrazione essenziale, forse tipico di chi frequenta la terra (“contadino, anarchico e poeta”, è il titolo della postfazione del libro), come ha fatto e continua a fare Fabio in quella Montagnola senese dove ha sempre vissuto. Io l’ho incontrato pochi anni fa e non avrei immaginato che, in un uomo di poche parole come lui, si nascondesse il “fiume” di parole che poi si posa in un libro.
E invece mi ha spiazzato, e dovrebbe essere sempre così per chi scrive un libro: asciuttezza, essenzialità e verità, come ci insegnano certi maestri…come Alessandro Manzoni: utile per iscopo, interessante per mezzo, vero per soggetto. Nel libro Il Ver perenne c’è tutto questo e anche altro: la crudezza della vita dei campi e la fatica dei lavoratori, tra fine Ottocento e primi Novecento, la ribellione, la rabbia, la diserzione, l’anarchia, senza retorica ma con descrizioni di paesaggi e di uomini, di albe, di tramonti e di atmosfere crepuscolari, che non cedono mai all’idillio, anche se lo sfiorano a tratti. Berto che ricorda, all’inizio del libro, e i personaggi che affiorano dalla sua memoria e che attraversano il Novecento, fino al 1960; non ci sono quasi mai date e riferimenti troppo netti, tutto si intuisce e si delinea perché i riferimenti sono precisi nonostante le date e i numeri che molto spesso non appaiono.
Insomma, è la storia che ci appartiene e che ritorna, nella narrazione, e che ci fa assorbire i volti e i gesti di riscatto, a partire da alcuni lavoratori dei campi che si organizzano per ribellarsi alla tassa sul macinato, a fine Ottocento, poi esilio e diserzione di militanti anarchici e antimilitaristi, ma anche discordie tra impostazioni ideologiche collettiviste e individualiste, quindi non un panorama troppo piatto o semplificato. E’ un ritrovare un mondo rimosso che riprende cittadinanza e dignità, individuate dopo e oltre l’era consumistica, che ha spazzato via memoria e utopia, e un libro come questo li restituisce.
Nota a margine: in un passo del libro si racconta che circa cento anni fa, per ribellarsi ai padroni, i braccianti avevano imposto un prezzo calmierato ai negozianti con la forza, anche con la requisizione della merce; oggi, il commercio equo e solidale e molti produttori biologici, pretendono di fare la rivoluzione alzando i prezzi dei prodotti.
Ivan Illich lo aveva predetto: i prodotti biologici sono riservati a pochi, sono elitari. Cristopher Lasch ha scritto il libro La rivoluzione delle elites e, se è per questo, anche un certo Francesco Terreri, in un forum di CTM  Altromercato, nel 2000, a Paestum, aveva ammesso che il commercio equo e solidale è un circuito elitario, non più di 200 mila persone in tutta Europa possono permettersi di comprare regolarmente il thè, il caffè e altri prodotti di questo tipo.
Sono punte di iceberg di svolte epocali e mutamenti antropologici di cui aveva già profetizzato Pasolini e non solo lui: la trasformazione della masse operaie e contadine in piccolo borghesi. Dico questo non per accusare o polemizzare, ma per tracciare una linea di svolta a volte poco visibile o poco considerata, esponendosi a confusioni antropologiche e politiche: la linea che divide l’azione diretta, il coraggio di affrontare i conflitti sociali dalla perdita di questo coraggio e quindi il ripiego verso soluzioni facili venute come forme di “militanza” o di lotta: parlo del commercio euqo perché in un periodo del mio percorso sono stato militante in quel circuito, ma potrei da lì in poi fare un’analisi delle derive che dagli anni ‘90 del nostro secolo hanno attraversato e attraversano le forme di militanza ecologista, cioè i vari vari arretramenti e difficoltà di affrontare i conflitti da parte di molti anarchici e altri movimenti di resistenza popolare.
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