In Nicaragua, ¿el cantar tiene sentido?

Canzoni sandiniste e propaganda.

di Bái Qiú’ēn

Per fare rumore non è necessario inventare notizie. Basta diffondere una notizia vera ma irrilevante, che però crea un’ombra di sospetto per il semplice fatto che viene data. (Umberto Eco)

Pero ahora que ya sos libre, Nicaragüita / Yo te quiero mucho más. (Carlos Mejía Godoy)

El cantar tiene sentido, entendimiento y razón. (Isabel Parra, Chile 1971)

«Ogni compleanno che si rispetti ha parole e musiche a celebrarlo e i compleanni del Sandinismo non fanno eccezione. La canzone che si ascolta per le strade del Nicaragua è canzone romantica. I diritti d’autore sono del FSLN, uno dei partiti meglio organizzati del continente. Parole e musica sono l’epopea del sandinismo e i suoi interpreti. Una festa collettiva, un debordare di volti, suoni, colori e sorrisi. Tutto si mescola sul cielo che, come una cappa, ci ricorda che siamo ai Tropici dove il marxismo tropicale governa anche con l’allegria» («Le 43 primavere del Nicaragua», 19 luglio 2022). Che si tratti di un’allegria apparente e spesso imposta dall’alto, pena ritorsioni di varia natura, è del tutto irrilevante per l’autore di queste righe. Che oltre seicentomila nicaraguensi siano usciti dal Paese dal 2018 a oggi (circa il 9%), esuli volontari od obbligati, non gli fa né caldo né freddo.

Per quanto il termine risalga al XVII secolo, in senso lato si può parlare di propaganda (o, per meglio dire, di proto- o paleo-propaganda) in riferimento all’arte e all’architettura della civiltà mesopotamica, quando queste manifestazioni estetiche perseguivano come obiettivo principale la glorificazione e la divinizzazione del re o del satrapo al potere. E gli artisti erano spesso, volenti o nolenti, null’altro che propagandisti al soldo del “mecenate” di turno, dai Medici di Firenze ai vari Pontefici e ai numerosi signorotti che spadroneggiavano in un pezzetto di quel territorio che ancora non era Italia.

La Treccani definisce la propaganda come «tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto». I meccanismi della propaganda «implicano un certo grado di occultamento, manipolazione, selettività rispetto alla verità» e «I messaggi possono arrivare a implicare diversi gradi di coercizione o di minaccia, possono far leva sulla paura o appellarsi ad aspirazioni positive». In sostanza, la propaganda è null’altro che il lavaggio del cervello, soprattutto quando è costante e utilizza i più svariati mezzi a sua disposizione.

Le arti plastiche (pittura e scultura), passando per le tecniche grafiche fino alle arti rappresentative, insieme al conio di monete e di medaglie, sono state storicamente poste al servizio del pensiero politico e degli uomini politici. Non da meno era il ruolo propagandistico della letteratura e della musica. Soltanto in seguito sono comparsi giornali e riviste, radio, cinematografo e televisione fino agli attuali internet e social. Questi mezzi di comunicazione sempre più di massa, secondo Marshall McLuhan, hanno profondamente trasformato la vita degli esseri umani e il loro rapporto con la società.

La musica ha un effetto emotivo, sia per il cantante sia per l’ascoltatore. La melodia e il modo di cantare sono soltanto un mezzo, però il mezzo stesso porta con sé un messaggio. Ben prima di McLuhan, già San Tommaso d’Aquino prese in considerazione il ruolo della musica (sacra) nella comunicazione: «Lo scopo finale delle lodi divine è quello di muovere gli affetti dell’essere umano verso Dio» (Summa Theologica, 1265-1273).

Chiunque abbia amato e tuttora ami il Nicaragua conosce a memoria l’ultima strofa di Nicaragua, nicaragüita del 1980, il cui autore Carlos Mejía Godoy è esule dal luglio 2018 e considerato dal potere un traditore della Patria per aver appoggiato i contestatori. Negli anni Ottanta, successivi a un’utentica e profonda rivoluzione popolare, questa canzone era diventata una sorta di “inno” nazionale (come Qué linda es Cuba di Eduardo Saborit Pérez del 1961) ma oggi è proibito cantarla fuori dalle manifestazioni ufficiali dell’ortego-chayismo, poiché i suoi versi esprimono la speranza e l’allegria, la gioia e l’illusione di un popolo che si sentiva libero dopo decenni di oppressione e ingiustizie. Non era di certo una lode tomista al supremo essere divino ma alla libertà lungamente desiderata e finalmente conquistata. La situazione del 2018 forse non era identica, ma troppi aspetti assomigliavano a un passato creduto cancellato per sempre. E tuttora ci assomigliano, a partire dalla paura di parlare liberamente che non esisteva negli anni Ottanta del secolo scorso, come ricorda Salman Rushdie nel suo racconto-saggio Il sorriso del giaguaro, scritto nel 1987 dopo un soggiorno nella terra dei laghi e dei vulcani.

La colonna sonora della Rivoluzione Popolare Sandinista fatta da centinaia di canzoni, con la musica testimoniale dei fratelli Mejía Godoy e di altri, ha contribuito al suo stesso trionfo il 19 luglio 1979 grazie alla Misa campesina e ai versi con contenuto sociale che parlavano della tragica situazione nicaraguense sotto la dittatura somozista e della comune volontà di abbatterla: «Y levantamos la milpa para la tapizca de la libertad [E coltiviamo il campo per il raccolto della libertà]».

Nel 2008, un anno dopo il ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica, i Mejía Godoy chiesero di non utilizzare le loro opere musicali nelle manifestazioni di quel partito che ancora manteneva la dicitura FSLN, ma che più nulla aveva a che fare con ciò che era all’origine, essendo stato trasformato in un’organizzazione personalistica e familistica. Richiesta tranquillamente ignorata.

Non solo. Di recente le loro canzoni, strettamente legate alla cultura e al folklore popolare (oltre che al linguaggio comune del popolo), sono state “sequestrate” dal Governo tramite una legge approvata nel febbraio 2021 dall’Asamblea Nacional che le ha dichiarate «patrimonio culturale immateriale della nazione». In tal modo, le opere dei fratelli Mejía Godoy non appartengono più a loro (e nemmeno possono esigere i diritti d’autore)… «pero ahora que ya sos libre, Nicaragïita / yo te quiero mucho más».

Come se ciò non fosse sufficiente, per volontà di Rosario il nuovo “inno” rivoluzionario è Soberanía: «un Himno, un Himno que nos describe, que nos dibuja, que nos dice de la Fuerza que tenemos l@s nicaragüenses» (Rosario Murillo, Multinoticias, 16 dicembre 2022). Secondo la tuttologa è una canzone scritta da Yering Osorio Pérez nel 2007 (all’età di otto anni!) per il ritorno di Daniel al potere, quando non esisteva alcun dissidio ufficiale con il governo di Washington: «Soberanía en mi tierra / se escribió con letras grandes / Y no con tinta, sino con sangre / a lo largo de la historia». Innegabile tono guerresco e poco dialogante, suonato da Los rústicos del Norte e intonato dalla cantante María Alfonsina Martínez. Poco importa al potere se queste parole fanno a pugni con l’inno nazionale vero e proprio, scritto da Salomón Ibarra Mayorga nel 1918 in accordo con lo spirito di pacificazione di un Paese che aveva appena concluso una serie di decennali guerre civili tra liberali e conservatori (ma era militarmente occupato dai marines) e adottato nel 1939 per volere del capostipite della tirannia: «ya no ruge la voz del cañón, / ni se tiñe con sangre de hermanos / tu glorioso pendón bicolor» (Salve a tí).

Nel suo sproloquio quotidiano del 23 giugno 2021, la stessa Rosario ha definito Soberanía «una canzone bellissima, meravigliosa, di profondo sentimento patriottico del nostro popolo, del nostro popolo dignitoso, di profonda convinzione sandinista». Scordando opportunamente che prima di Salve a tí l’inno nazionale era Hermosa soberana, nella cui prima strofa si afferma: «De sus lagos al rumor / Ve en sus hijos denodados / Los soldados del honor [Dal rumore dei suoi laghi / Vedi nei suoi impavidi figli / I soldati dell’onore]». Il successivo 16 dicembre ha fatto un riferimento a questo inno, ricordando «Salve a Ti, Nicaragua Soberana…» ma scordando che oggi è l’inno sovranista del Partito Liberale Costituzionalista (quello del poco onorevole e assai corrotto Arnoldo Alemán e soci).

Alla metà del dicembre 2022, la stessa Rosario ha comunicato che la nuova denominazione dello stadio di baseball in origine dedicato a Denis Martínez sarà «Estadio Nacional Soberanía» e, citando una strofa di Soberanía, ha avvertito gli ambasciatori accreditati a Managua di non ingerirsi negli affari interni: «se vogliono parlare, si tolgano l’investitura e vedranno che la loro permanenza su questa Terra non durerà a lungo. Tutti i Paesi hanno i loro Ambasciatori, ma chi vuole parlare, violando i nostri Diritti Sovrani, dovrebbe togliersi l’investitura».

Non occorre arrampicarsi sugli specchi per interpretare queste parole di Rosario: in Nicaragua è proibito esprimere il proprio pensiero («chi vuole parlare»), se non è conforme a quello ufficiale. Nessun diritto di aprire la bocca per chi critica, compresi i rappresentanti diplomatici. Se vogliono dire la loro, lo facciano da cittadini comuni senza immunità diplomatica, rischiando l’espulsione immediata. Come affermano le parole della canzone: «Afuera, afuera pueden decir lo que quieran / Pero si están en tierra nica, respetá mi bandera». Nessuna libertà di critica, nessuna libertà di parola che non sia di osanna, tradendo completamente il pensiero di Carlos Fonseca che abbiamo già ricordato in precedenti occasioni e del vero sandinismo delle migliaia di militanti che faticano a vedere nella situazione attuale il proseguimento della rivoluzione trionfante nell’ormai lontano 1979: «Il sandinista deve avere un autentico spirito critico, poiché tale spirito di critica costruttiva dà maggiore consistenza all’unità e contribuisce al suo rafforzamento e alla sua continuità».

Se non rinunciano all’immunità diplomatica ed esprimono il loro pensiero, i rappresentanti diplomatici rischiano comunque di essere dichiarati «persone non grate», come è accaduto nel settembre 2022 per Bettina Muscheidt, rappresentante dell’Unione Europea dal settembre 2021 che aveva osato parlare del tema dei prigionieri politici in Nicaragua all’assemblea dei diritti umani dell’ONU, oltre a esortare il Governo a «restituire la sovranità del Nicaragua al popolo nicaraguense» e a «ripristinare la democrazia» nel Paese. Ufficialmente, infatti, il Governo aveva ripetutamente negato che nelle patrie galere vi fossero degli oppositori. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2023 lo stesso Governo si è smentito platealmente, scarcerandone oltre duecento, caricandoli su un aereo diretto a Washington e togliendo loro la nazionalità. A parte la mancanza di coerenza, risulta evidente che dire la verità nel e sul Nicaragua ortego-chayista comporta alcuni rischi di varia natura e che la soberanía sia soltanto quella di chi detiene il potere, che neppure ha avuto il coraggio politico di compiere un atto formale di espulsione come avvenne nel luglio del 1988 con l’ambasciatore USA Richard Melton, ma comunicandoglielo soltanto in forma verbale tramite il ministro degli Esteri Denis Moncada.

Nell’aprile di questo 2023, proprio nell’anniversario dell’inizio delle proteste del 2018 e dopo un comunicato assai critico dell’istituzione europea sulla repressione sistematica e sui prigionieri politici ancora detenuti, il Governo ortego-chayista ha provveduto al ritiro del placet per il nuovo ambasciatore della UE, Fernando Ponz.

Pochi giorni dopo l’espulsione dei 222 oppositori, i social e le emittenti radiofoniche affini al Governo furono inondati da La cumbia del avión, composta da Leonardo Leyton su un tovagliolino di carta mentre era comodamente seduto in un ristorante: «La cumbia del avión que va lleno de traidores rumbo para Nueva York». Con lo stomaco pieno e pochissima creatività, forse a causa del troppo cibo ingurgitato e del reflusso gastroesofageo aveva sbagliato clamorosamente la località dell’atterraggio, sostituendo New York a Washington (ma che importa la realtà alla propaganda?) e senza alcuna fantasia ripeteva in modo ossessivo gli “amorevoli” epiteti che Rosario quotidianamente usava e usa: traditori, ladri, golpisti, assassini, «pero viene el comandante y los montó en el avión». Tanto per non farsi mancare l’approvazione da parte del potere, aveva pure parafrasato la strofa di Soberanía «Afuera podrán decir lo que quieran, pero en el suelo patrio se respeta mi bandera».

Alla fine dell’Ottocento il francese Gustave Le Bon fu il primo studioso ad interessarsi della psicologia delle folle, utilizzando i concetti di ripetizione, di suggestione e di contagio che conducono alla manipolazione delle coscienze: «Napoleone diceva che esiste una sola figura seria di retorica, la ripetizione. La cosa affermata riesce a stabilirsi negli spiriti a tal punto da essere accettata come una verità dimostrata». Lo stesso pensiero fu attribuito in seguito al ministro nazista della propaganda Paul Joseph Goebbels ma molti storici ritengono che si tratti di una leggenda metropolitana (quanto meno come frase pronunciata effettivamente).

In ogni caso, questo meccanismo fu utilizzato più o meno bene ma abbondantemente dai dittatori europei del XX secolo, seguendo le indicazioni di Le Bon: «La cosa ripetuta finisce difatti per attecchire in quelle regioni profonde dell’inconscio in cui si elaborano i motivi delle nostre azioni. In capo a qualche tempo, dimenticando qual è l’autore dell’affermazione ripetuta, finiamo per credervi. […] Le opinioni e le credenze si propagano bene per mezzo del contagio, e pochissimo per mezzo del ragionamento».

Suggeriamo ai lettori la lettura (o rilettura) di «Morfologia della bugia» di Umberto Eco (contenuto in Dalla periferia all’Impero), dove analizza il discorso televisivo di auto-difesa che Richard Nixon pronunciò il 30 aprile 1973 in relazione al Watergate: «Se prima del discorso televisivo una piccola percentuale di americani sospettava di Nixon, dopo il discorso questa percentuale è enormemente cresciuta e ha superato il cinquanta su cento», semplicemente perché il presidente USA mostrava imbarazzo, tensione e persino paura. Forse per questa ragione, Rosario declama i propri sproloqui televisivi quotidiani attraverso il telefono, senza mai comparire de visu ed evitando che si possano notare sul suo volto quelle incontrollabili espressioni non verbali del volto e del corpo che contraddicono le parole che pronuncia. Non a caso, per lo stesso motivo, fu Colin Powell a parlare all’ONU delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein: era l’unico dell’amministrazione Bush jr. che ci credesse sinceramente.

Tornando alla canzoncina Soberanía e al gruppo musicale che la canta, nell’Annesso 1 al Bilancio generale per il 2022 (La Gaceta Diario Oficial, 14 dicembre 2021, p. 12461) a questo gruppo musicale è stata concessa la modica somma di 100.000 córdobas (circa US$ 3.300), alla voce «Assegnazione speciale per la promozione dell’arte e della cultura». Non è una cifra stratosferica, ma questa prebenda deriva dalle tasse pagate da tutti i nicaraguensi per finanziare e realizzare opere di utilità sociale, non gruppi musicali affini al governo e sempre presenti sul palco alle manifestazioni ortego-chayiste.

«Ed eccomi ora al prestigio personale. Di una natura assai diversa dal prestigio artificiale o acquisito, esso costituisce una facoltà indipendente da ogni titolo, da ogni autorità. Il piccolo numero di persone che lo possiedono esercita un fascino veramente magnetico su coloro che le circondano, compresi i loro uguali: si obbedisce loro come la bestia feroce obbedisce al domatore che essa potrebbe facilmente divorare. I grandi condottieri di uomini, Budda, Gesù, Maometto, Giovanna d’Arco, Napoleone, possedettero in grado eminente questa forma di prestigio. Soprattutto per tale prestigio essi si imposero. Gli dei, gli eroi e i dogmi si impongono e non si discutono; quando si discutono, svaniscono», affermava sempre Le Bon nell’ormai lontano 1895.

Poiché «Quando un dogma nuovo s’è radicato nell’anima delle folle, diventa l’ispiratore delle sue istituzioni, delle sue arti e della sua condotta. Allora il suo dominio sulle anime è completo. Gli uomini d’azione pensano a realizzarlo, i legislatori ad applicarlo, i filosofi, gli artisti, i letterati si preoccupano di tradurlo sotto diverse forme» l’ortego-chayismo deve pur trovare musicanti e corifei che propagandino in modo ossessivo il Paradiso terrestre e riescano ad animare gli spiriti dei loro stessi sostenitori, dato che tutti gli artisti che hanno in qualche modo criticato il Governo sono stati costretti all’esilio: «Denaro per gli amici, botte agli indifferenti, piombo per i nemici», diceva un certo Anastasio Somoza García. Slogan che pare rivivere nell’attualità, rispolverato e aggiornato: «Afuera, afuera pueden decir lo que quieran», poiché all’interno del Paese vige l’obbligo di tacere.

Alla vigilia del 44° anniversario del trionfo rivoluzionario del 19 luglio, l’idea di fondo che anima l’ortego-chayismo si è manifestata con propagandistica evidenza nella «Pasarela con orgullo y amor revolucionario» realizzata il 19 giugno a Ciudad Darío (Matagalpa): alcuni ragazzi e ragazze con pistole e fucili di legno hanno mostrato a chiunque abbia un minimo senso della realtà la situazione di normalizzazione militarizzata dell’intera società nicaraguense. A chi ha un po’ di memoria storica non serve ricordare che i giovani Balilla (poi Avanguardisti) venivano inquadrati militarmente e addestrati proprio con armi di legno, in attesa di dare loro quelle vere: «L’Italia Fascista e Imperiale affida a voi la sua grandezza ed il suo futuro. Preparatevi a servirla in ogni tempo con il cuore, con la mente e con le armi».

Per i lettori più curiosi, concludiamo ricordando che nella finanziaria per il 2022, approvata in dicembre dall’Asamblea Nacional, è previsto che in questo 2023 lo Stato finanzi la Juventud Sandinista con ben 108 milioni di córdobas (oltre tre milioni di dollari). Nel Congresso che si era svolto alla metà del precedente mese di luglio questa organizzazione partitica ha giurato fedeltà eterna alla coppia regnante: «lealtad y corazón en fuerza de victorias con el liderazgo del comandante Daniel y la compañera Rosario».

È forse il caso di ricordare le parole pronunciate nel 1926 da uno dei dittatori del XX secolo (che riportiamo nella lingua originale): «Ho letto tutta l’opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. È un’opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno» (Pierre Chanlaine, «Une heure avec M. Mussolini», La Science et la Vie, n. 108, giugno 1926, pp. 476-8).

Poi, alcuni in buona e la maggior parte in malafede (alle volte lautamente pagata con i soldi ricavati dalle imposte), qualcuno si ostina a credere che siano le sanzioni ad personam a bloccare o a limitare le risorse necessarie per lo sviluppo del Nicaragua.

A costoro rispondono le parole di una nota canzone composta nel periodo della dittatura argentina di Videla e soci: «Sólo le pido a Dios / Que el engaño no me sea indiferente» (León Grieco, 1978).

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Leggi anche:

Nicaragua, lettera aperta ai partiti e alla organizzazioni del Forum di São Paulo (fonte: Micromega)

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