In Nicaragua la matematica è un’opinione
L’economia vista con gli occhi dell’orteguismo
di Bái Qiú’ēn
Mio figlio mi chiede: devo imparare la matematica? / Perché, vorrei rispondergli. /
Che due pezzi di pane sono più di uno te ne accorgerai egualmente. (Bertolt Brecht)
Il 19 aprile 2024, nel suo sproloquio quotidiano Rosario Murillo ha tra l’altro affermato: «E diciamo, Compañer@s, che qui abbiamo ciò che ha preparato per noi il nostro ministro delle Finanze, Compañero Iván Acosta, dove descrive dettagliatamente tutto ciò che è stato distrutto, in quei giorni, settimane e mesi oscuri. Quanto hanno distrutto i sanguinari cospiratori del colpo di Stato! […] Il golpismo terroristico ha causato perdite nell’economia nazionale per 22.361,7 milioni di dollari». In questa cifra sono compresi 1.340 milioni per la perdita di investimenti (danno collaterale) e 640 milioni per il calo del turismo (altro danno collaterale).
Oltre ventidue miliardi di dollari in totale: equivalente ai danni provocati da 28 uragani simili a Eta e Iota del novembre 2020, ha aggiunto Rosario per dare la dimensione del disastro economico, sbagliando per difetto la moltiplicazione: essendo stati i danni di quei due uragani equivalenti a 700 milioni di dollari, per arrivare ai 22 miliardi e rotti si dovrebbe moltiplicare almeno per 31 (3 x 7 = 21). Lasciamo perdere, per il momento.
Sempre secondo le sue parole, però: «I danni diretti dovuti ad azioni terroristiche ammontano a 206,5 milioni di dollari, di cui 174,2 milioni concentrati nella parziale distruzione di edifici e altre infrastrutture».
Se si tolgono le perdite per i mancati investimenti stranieri e al calo turistico, che equivalgono a un mancato introito ipotizzato (qualcuno ricorda l’avvocato Agnelli che lamentava miseria perché aveva previsto di guadagnare 100 e invece aveva intascato solo 99,99?), a tutti gli effetti restano i danni materiali “diretti” per poco più di 200 milioni di dollari, cifra comunque di tutto rispetto per il secondo Paese più povero del continente.
Parlare di 22 miliardi di dollari fa però più effetto che 200 milioni di dollari.
È probabile che i lettori abbiano avuto occasione di leggere altre cifre nel corso di questi sei anni, sempre fornite dal Governo. In precedenza, esattamente il 12 novembre 2018, il ministero degli Esteri aveva quantificato gli stessi danni in circa un miliardo di dollari. Il 27 giugno precedente il ministro Iván Acosta calcolò i danni in poco più di 180 milioni di dollari, ma le proteste non si erano ancora concluse (per quanto si possa pensare a un calcolo approssimato, è difficile credere che negli ultimi venti giorni di proteste su un periodo di tre mesi i danni causati possano essere equivalenti a un miliardo di dollari, come dichiarato quattro mesi dopo).
Prendendo soltanto questi dati numerici: alla fine di giugno 2018 erano poco più di 182 milioni di dollari; cinque mesi dopo erano lievitati a oltre un miliardo, con un aumento di sei volte la cifra iniziale. Oggi, sei anni dopo, raggiungono i 22 miliardi di dollari (122 volte la cifra iniziale).
In altre occasioni (ossia in altre date) le cifre fornite in modo ufficiale sono sempre state assai ballerine e non di qualche centesimo. Non è detto che nei prossimi giorni, settimane o mesi questa cifra non sia destinata a mutare nuovamente. Chissà?, forse spunterà nel conto un ipotetico finanziamento estero per lastricare le strade con adoquines d’oro come nel mitico El Dorado: almeno altri venti miliardi di dollari che saranno prossimamente conteggiati come perdita a causa delle proteste.
In parole povere: non è affatto certo l’ammontare dei danni che avrebbero causato i protestatari nel periodo metà aprile-metà luglio 2018. Dopo sei anni e cifre varie fornite da vari rappresentanti governativi, a tutti gli effetti non si conoscono i numeri esatti: giorno dopo giorno il totale aumenta in modo esponenziale: dai 182 milioni di dollari del 28 giugno 2018 agli oltre ventidue miliardi di dollari del 19 aprile 2024!
I numeri dati a vanvera possono essere attribuiti alla distanza siderale che esiste tra i nicaraguensi (tutti) e la matematica, che è per loro un pianeta totalmente sconosciuto a partire dalle quattro operazioni fondamentali. Non solo sono del tutto sconosciute le tabelline che tutti noi italiani abbiamo imparato a memoria nei primi anni delle elementari (ed erano stampate sulle copertine di tutti i quaderni), persino i commercianti, che dovrebbero avere una maggiore dimestichezza con la matematica, non fanno eccezione: se acquistate merce per 83 pesos e provate a darne 103 per evitare di riempirvi le tasche di monetine, potete essere certi che, dopo aver osservato con attenzione i 3 pesos, il commerciante ve li restituisce e ne aggiunge 17.
Per esperienza personale di parecchi anni fa, quando ancora esisteva una libreria nella parte Nord della collina di Tiscapa a Managua, dove si dipartono due strade una in direzione del vecchio Ospedale militare e l’altra verso il nuovo. Era circa mezzogiorno e avendo trovato tre libri di un certo interesse avevo chiesto alla ragazza (grosso modo ventenne) quanto dovevo pagare. «La dueña se fue a almorzar», la titolare è a pranzo e ha chiuso a chiave la calcolatrice nel cassetto. Il costo dei tre libri era: 100 pesos + 100 pesos + 80 pesos. Una somma proibitiva da fare senza calcolatrice.
Ricordi a parte, il sospetto (che è quasi una certezza) è che pure chi dovrebbe fare i conti per tenere in piedi il Paese sia allo stesso livello. Che si diano i numeri “a raglio” è più che evidente da quelli forniti in questi sei anni sui danni causati dalle proteste del 2018 (sopra riassunti).
Verrebbe da consigliare ai governanti del Nicaragua l’invito di Brecht: «Si, impara la matematica, rispondo, / impara il francese, impara la storia!». Forse, però, è tempo perso, poiché anche i numeri possono essere usati come propaganda, per cui sono un’opinione almeno nel Nicaragua orteguista. Tanto, se nessuno sa fare a mente 1 + 1, si può continuare impuniti a dare i numeri.
Spezziamo una lancia in favore di Rosario, che può essere scusata poiché, stando alle sue stesse parole, è sempre allerta giorno e notte, dormendo con gli occhi spalancati, in uno stato psico-fisico certamente non ottimale per ragionare con logica e senso. Naturalmente, vorrebbe che tutti i nicaraguensi facessero altrettanto: «Por supuesto que, los dos ojos abiertos, hasta para aprender a dormir con los ojos abiertos» (18 aprile 2024).
Anche senza questa sua conferma, in molti sospettavano una possibilità del genere: è risaputo che la mancanza di sonno può causare, tra l’altro, cattivo umore e facile irritabilità, caratteristiche di Rosario a detta di chi la conosce personalmente.
La facilità con cui si danno i numeri vale pure per la quantità di protestatari del 2018: pochini, minuscoli, insignificanti…
Se non fossero sufficienti le immagini fotografiche e filmate a smentire questa versione, basta riflettere sul fatto che ci vollero tre mesi e tutte le forze di polizia (14.946 agenti, secondo i dati ufficiali dell’epoca) aiutate dai paramilitari e probabilmente da parecchi militari per eliminare questi quattro gatti miagolanti.
Se alla nulla conoscenza della matematica si aggiunge la volontà di raccontare una verità di comodo, facendo esattamente il contrario di quanto sosteneva Gramsci («nella politica di massa dire la verità è centrale, è una necessità politica, precisamente»), il risultato e che non si può avere molta fiducia in ciò che il potere orteguista racconta per autogiustificarsi e autoassolversi.
La paura è di certo una cattiva consigliera ed è evidente che, nonostante siano ormai trascorsi sei anni, invece di scemare, aumenta giorno dopo giorno. Esempio di ciò è il recente arresto con relativa incarcerazione di Kevin Josué Castellón (avvenuto esattamente il 19 aprile), un barbiere di Condega (Estelí) reo di aver postato un video che lo mostra mentre ascolta la canzone intonata dai contestatori del 2018 Me gustan los estudiantes della cilena Violeta Parra, da lei composta nel 1965, in un periodo nel quale gli studenti iniziarono a protestare nelle piazze di mezzo mondo.
Che quello commesso dal barbiere sia tra i reati più efferati, da colpire con la massima durezza, è evidente dal fatto che mese dopo mese si continuano a scarcerare migliaia di delinquenti comuni (violentatori, ladri, assassini e consimili), concedendo loro i domiciliari. L’ultima scarcerazione di massa, per quasi 1.400 persone, risale al 23 dicembre 2023, ma la media annuale dell’ultimo decennio è di 4.812. «Ognuno di questi Atti che abbiamo compiuto nell’ultimo anno, 4, 5, ci fa sentire più cristiani, perché crediamo nella capacità di Redenzione dell’Essere Umano» (Rosario, 21 dicembre 2023).
Tanto per continuare a dare i numeri, nello stesso sproloquio Rosario ha parlato di 2.200 carcerati ai quali si concedevano i domiciliari, mentre il ministero dell’Interno, dal quale dipendono le prigioni, ne ha “liberati” soltanto 1.400 (1.245 uomini e 155 donne).
Per il momento, comunque, il feroce “terrorista” Kevin Josué Castellón resta dietro le sbarre. Troppo pericoloso rimetterlo in circolazione: potrebbe sventolare la bandiera nazionale o intonare in strada Ay Nicaragua, Nicaragüita.
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Sulle colonne de il manifesto del 25 aprile Claudio Vercelli ha scritto: «Il ciclo delle democrazie sociali ed inclusive […] sta progressivamente declinando. Al suo posto subentrano altre forme di agire politico, variamente articolate e tuttavia accomunate dalla concentrazione del potere negli esecutivi così come dalla compressione del pluralismo, sia istituzionale che sociale» («La nuova sfida della liberazione»). L’autore si riferisce essenzialmente al nostro Paese, ma la situazione non è molto diversa per il Nicaragua orteguista.
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Tornando all’argomento dei numeri, con oltre un anno di ritardo l’INSS ha finalmente pubblicato l’annuario statistico 2021. I lettori ricorderanno che le proteste del 2018 furono innescate proprio da una riforma di taglio fondomonetarista di questo istituto previdenziale. Sfogliando anche in modo superficiale questo annuario si apprende che l’INSS non ha più alcun fondo economico di riserva per garantire le pensioni ai futuri pensionati e, ciliegina sulla torta, ha contratto un debito equivalente a 2.697 milioni di pesos (quasi 75mila dollari equivalenti a oltre trecento pensioni minime). Per quanto Daniel si sforzi di sostenere che il 94% della popolazione attiva è occupata, soltanto una piccola percentuale ha un lavoro effettivo (formale) e versa i contributi al sistema previdenziale: esattamente il 21,86% della popolazione economicamente attiva e l’11,8% dell’intera popolazione (stimata in 6 milioni e 700 unità secondo i dati ufficiali). Quasi l’80% dei cosiddetti occupati è infatti attiva nel mercato informale e non versa un centesimo, dovendo in massima parte sopravvivere alla giornata.
Stando ai dati forniti dal Banco Central all’inizio di questo 2024, i lavoratori formali sono 791.913. Per la cronaca: nel marzo 2018, prima dell’inizio delle proteste, erano 896.869 (+104.956). Poiché nel novembre 2017 erano 921.328, nei tre mesi precedenti alle proteste, si erano persi quasi 25mila posti di lavoro. Non imputabili ai puchitos e minúsculos.
Se nei decenni scorsi ogni singola pensione era “pagata” dai contributi di 6 o 7 lavoratori attivi, attualmente questi sono soltanto 2, o poco più. Per completezza dell’informazione, occorre aggiungere che circa 35mila lavoratori effettuano versamenti volontari. L’aumento costante dei disoccupati (e dei sottoccupati) è alla radice del problema, ma la propaganda afferma che la causa unica è da ricercare nelle proteste del 2018, le quali hanno causato pure questo danno indiretto all’economia. I 25mila posti di lavoro persi nei tre mesi anteriori chissà a cosa erano dovuti?
È evidente che le cause siano molteplici e solo in minima parte dovute a quelle proteste (sarebbe assurdo negare che vi abbiano concorso). Se 1 + 1 facesse davvero 2 anche nel Nicaragua orteguista, qualcuno dovrebbe però domandarsi per quale motivo si voleva imporre a tutti i costi una riforma con la scusa delle casse vuote. La riforma fu poi approvata alla chetichella alcuni mesi dopo la fine delle proteste stesse (nel febbraio del 2019), ma la situazione non si è modificata e oggi le casse sono ancora vuote. Se non c’erano soldi prima delle proteste, significa che la causa fondamentale è un’altra ed è destinata a condurre l’INSS alla bancarotta (dimostrando che la riforma del 2018 era inutile e, forse, persino dannosa).
Se nel gennaio 2024 i lavoratori che versavano i contributi all’INSS erano 791.913, nel novembre 2023 erano 795.924: in soli due mesi si è verificato un calo di -4.011. In questo caso, le proteste erano terminate da alcuni anni e i governanti continuano a parlare di rapida ripresa economica e di crescita costante del Prodotto interno lordo.
In compenso i percettori di pensione a vario titolo sono oltre 350mila: significa che il sostentamento di ognuno di loro è attualmente “pagato” da due lavoratori formali. I quali finanziano pure l’assistenza e gli esami medici di laboratorio (gratuiti solo per chi versa i contributi, anche volontari). Che dire, poi delle giornate “di riposo” (neolingua: leggasi convalescenza o ospedalizzazione) per temporanea incapacità lavorativa, ossia per incidenti sul lavoro (oltre 4 milioni di giornate in totale nel corso del 2023: una media di oltre cinque giorni ogni lavoratore formale, facendo la media del pollo).
Se nel conteggio dei danni causati dalle proteste del 2018 sono stati inseriti sia il drastico e rapido calo turistico sia i mancati investimenti stranieri, in una realtà fattuale nella quale ogni giorno si perdono posti di lavoro non poteva mancare alla propaganda sull’INSS la previsione di un aumento di ben 97.962 nuovi lavoratori in questo 2024, che dovrebbero ovviamente versare i contributi. Come ciò possa avvenire, esula dalla matematica, per entrare nella sfera dell’utopia.
Nel patetico tentativo di occultare la realtà, mese dopo mese Rosario annuncia il pagamento regolare delle pensioni alla data prevista. Anche in questo caso, ragionando logicamente, si tratta di un segnale evidente di crisi: se l’INSS non avesse seri problemi a livello economico (fatto ormai noto a tutti i nicaraguensi) non ci sarebbe la necessità di questo tormentone per rassicurare i percettori di pensione. Neppure si dovrebbe ricorrere al bilancio statale con costanti “iniezioni” di contante nella casse dell’istituto previdenziale (negli ultimi anni: oltre un miliardo di dollari in totale). Non a caso, con le ultime leggi di bilancio, è cresciuta pure l’imposizione fiscale: da qualche parte i soldi devono saltare fuori.
Sempre per la cronaca, dal marzo 2024 la pensione minima equivale a 7.692,75 pesos mensili, equivalenti a circa 213 dollari.
Per usare le stesse parole di Rosario: questa è la verdad verdadera.