In ricordo di Aaron Swartz
Quattro anni fa, l’11 gennaio, moriva – ad appena 26 anni – Aaron Swartz, il santo laico protettore di tutti gli hacktivisti.
di Francesco De Collibus (*)
http://www.rememberaaronsw.com/memories/
2013. È un mattino di gennaio e a Crown Heights, Brooklyn, tanto per cambiare fa un freddo cane. Taren però non lo sente, mentre fruga la borsetta cercando le chiavi dell’appartamento del suo fidanzato: nella sua testa adesso c’è solo Aaron. Deve vederlo: la sera prima nel loro locale preferito era stata fantastica, avevano passato tutta la cena a discutere di algebra avanzata. Si sentivano così fortunati a essersi incontrati. Tuttavia qualcosa passava per la testa di Aaron, qualcosa più del solito. Non era esattamente un periodo felice per lui, ammesso che la felicità fosse un obiettivo alla portata di una mente così complessa.
La missione principale della vita di Aaron era liberare la conoscenza, ovunque essa fosse prigioniera. Non aveva ancora quattordici anni e sembrava davvero un bambino mentre scriveva le specifiche del protocollo RSS. A vent’anni aveva già fatto la sua piccola startup, Reddit, niente di importante, giusto il sito di social bookmarking più popolare d’America.
Quindi era diventato un attivista di internet in senso stretto, con il pallino della redenzione di archivi, banche dati e biblioteche. Ovunque ci fosse un lucchetto sulla conoscenza, lui non riusciva proprio a resistere, doveva rimuoverlo a tutti i costi. “È come la Principessa prigioniera” diceva “e io sono Super Mario, devo liberarla” così aveva fatto con la Libreria del Congresso. Finché, un anno fa, dalla rete del MIT aveva scaricato oltre 4 milioni di articoli accademici, contributi già pagati con soldi pubblici, ma resi disponibili solo a pagamento attraverso il sistema JSTOR. Aaron tentò di fare ciò che riteneva giusto, ovvero renderli disponibili a tutti gratuitamente, ma venne pizzicato dalle autorità dell’ateneo. In sé non era nulla di grave, Aaron disponeva delle credenziali, tecnicamente non era nemmeno cracking, eppure il procuratore distrettuale di Boston sembrava considerare la cosa alla stregua di una violazione della sicurezza nazionale e aveva incriminato Aaron con ben tredici capi di accusa, punibili fino a trentacinque anni di carcere. Ma Aaron contava tra i suoi amici alcune tra le intelligenze più stimate del pianeta, da Lawrence Lessig a Tim Berners-Lee, e sicuramente si sarebbe risolto tutto per il meglio, pensava Taren aprendo la porta dell’appartamento. Dentro è tutto in disordine, tra le innumerevoli qualità del fidanzato, Taren non poteva davvero annoverare l’ordine casalingo. “Aaron, amore, dove sei?” che stesse ancora dormendo? Gli succedeva quando restava a lavorare fino a tardi… “Amore, se qui?” Mentre gira per i corridoi, Taren nota la porta del bagno aperta. Lì dentro Aaron Swartz ha appeso i suoi ventisei anni a una corda e si è ucciso.
“Mio figlio non si è suicidato” la voce del padre, Robert Swartz cede solo un secondo durante la commemorazione funebre “il MIT e il governo federale sono responsabili della sua morte”. Alza lo sguardo, come per incontrare gli occhi di ciascuno dei partecipanti “e soprattutto io sono responsabile, per non averlo saputo capire e proteggere, come un padre avrebbe dovuto fare”.
Noi non sapremo mai davvero perché Aaron Swartz sia morto, come non lo sapremo mai per Alan Turing, l’uomo che ha letteralmente inventato l’informatica. Un suicidio è qualcosa di troppo grande per avere un solo, semplice motivo. Ma sappiamo invece con assoluta certezza di cosa Aaron Swartz è vissuto, ovvero di conoscenza e libertà, in tutte le possibili declinazioni, dalla conoscenza della libertà alla libertà della conoscenza, che è esattamente ciò che internet è nata per essere, e che interessi sempre più potenti e avvolgenti giorno dopo giorno stanno strangolando.
Per fortuna, c’è un intero esercito di persone che ogni giorno lotta per tenere la rete libera. Sviluppatori, hacktivisti, intellettuali e cittadini volenterosi che offrono il proprio contributo, ciascuno secondo le proprie possibilità.. La battaglia è ancora apertissima e siccome una rete libera è ancora possibile, è fondamentale comprendere come stiano cambiando tumultuosamente le caratteristiche sociali e cognitive dell’uomo in rete.
Aaron Swartz ci ha lasciato moltissimo prima di morire, ma una dei documenti più efficaci e potenti è stato scritto proprio in Italia, all’Eremo dei Frati Bianchi di Cupramontana, vicino Ancona. Più di un manifesto è anche un testamento.
Guerilla Open Access – Manifesto di Aaron Swartz (1986-2013)
L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme a editori come Reed Elsevier.
C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore e pubblichino invece su internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato finora sarà perduto.
Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i testi? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del primo mondo, ma non ai bambini del sud del mondo? Tutto ciò è oltraggioso e inaccettabile.
“Sono d’accordo,” dicono in molti, “ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente legale – non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.
Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete – anzi, moralmente, non potete – conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.
Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufolerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici. Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave e assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale – è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità rifiuterebbe di concedere una copia a un amico. E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità – se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.
Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.
Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access. Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.
Vuoi essere dei nostri?
Sotto licenza Creative Commons. Traduzione di Aubrey McFato, Enrico Francese, Silvia Franchini, Marco Solieri, elle di ci, Andrea Raimondi, Luca Corsato.
(*) Questo testo è ripreso da «Blitzkrieg tweet» ovvero «Come farsi esplodere in rete» un libro di Francesco De Collibus; in bottega ne ho parlato qui: Il flusso, il recentismo e la tecnologia-dito con una recensione quasi apolegetica. Ma in “bottega” consiglio anche eroi del nostro tempo di Francesco Masala e le mie recensioni a due ottimi romanzi di Cory Doctorow dove l’omaggio/intreccio con Aaron Swartz è “obbligatorio” quanto fecondo e appassionante. (db)
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro per questa piccola “bottega”. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
Segnalo che in un mio testo su LinkedIn Publishing, on line all’URL https://www.linkedin.com/pulse/come-trovare-articoli-scientifici-un-anno-dopo-cristina-buscaglia/ , c’e’ un link a questo post..