In ricordo di Amadou
Ringrazio Lorenzo Di Pietro, giornalista free lance, per il permesso di pubblicare questo suo articolo, In questo periodo di dibattito sul nucleare torniamo a parlare di Africa e nucleare. Parliamo di Niger, ne approfittiamo per dare un volto agli abitanti intorno alle miniere di uranio in Niger.
Avevo conosciuto Amadou ad Agades il 20 gennaio del 2010. Mi era rimasta impressa un’immagine di lui, quella del primo piano che gli avevo scattato con le luci del mattino, una delle foto più belle scattate in quel viaggio, perché Amadou era bello come un presidente americano e il suo sguardo esprimeva coraggio e determinazione.
Ma a differenza di molte altre foto, di Amadou mi aveva profondamente segnato la storia, che avevo deciso di raccontare.
Amadou era un medico, amico di Bouba Cisse, il medico nigerino che da anni collabora con l’organizzazione umanitaria Bambini nel Deserto. Amadou era innamorato del suo lavoro, che mi aveva raccontato come una missione. Nel 2003 era stato mandato dal governo del suo Paese, il Niger, nel villaggio di Aoudaras, nella zona di confine con l’Algeria, a 1600 chilometri da casa. Aveva un compito specifico: assistere l’altissimo numero di malati di leucemia.
La regione è infatti tra le più ricche di uranio al mondo, un minerale che per decenni la Francia ha estratto indisturbata nell’area. È questa anche la ragione dei tanti colpi di stato e conflitti armati che hanno insanguinato la regione.
Amadou mi aveva raccontato di miniere a cielo aperto, di falde inquinate e dell’altissimo tasso di radioattività rilevata in ogni oggetto. Parlava dei villaggi a ridosso delle miniere, dove la gran parte della popolazione è malata. Dati sempre smentiti da Areva, la società estrattrice, che nel 2009 ha chiuso l’accordo per rifornire le future centrali nucleari italiane.
Nel novembre del 2006, dopo 3 anni di esposizione alle radiazioni della zona, Amadou aveva iniziato ad accusare pesantezza e stanchezza. Sottoposto a visita medica ottenne un referto che non lasciò scampo. Era affetto da Leucemia mieloide cronica. Una forma di leucemia per la quale recentemente è stata scoperta la cura, ma che il costo dei farmaci rende inaccessibile a chi non è un occidentale con una buona copertura sanitaria.
Nel 2007 Amadou aveva chiesto e ottenuto un avvicinamento a Niamey, città dove vive la sua famiglia. Era stato spostato ad Agades, a “soli” mille chilometri da casa. Aveva continuato a fare il medico, mettendocela tutta e, da quando non riusciva più a essere autonomo, prendendo a sue spese un autista che lo accompagnasse nei villaggi dove operava.
Da quest’anno, venuti a conoscenza della sua storia, il mio amico Sidi e Bambini nel Deserto avevano iniziato a inviargli i farmaci necessari.
Avevo promesso ad Amadou che avrei raccontato la sua storia, che era per me l’emblema del cinico saccheggio perpetrato dalle società occidentali ai danni dell’Africa.
Era stato difficile trovare un giornale interessato a pubblicare una storia senza escort e veline. Finalmente, a ottobre avevo trovato un giornale che come me era rimasto colpito dalla vicenda umana di Amadou e alla quale aveva deciso di dare spazio. La storia è stata pubblicata il 2 novembre (spalla dal titolo “Amadou che guariva i leucemici”). Lo stesso giorno, perdendo la sua battaglia contro la malattia, Amadou si è spento lasciando la moglie e un figlio.
Una storia che fa tremare i polsi. Amadou lascia un solco indelebile nella mia mente e in quella di chi, come Sidi e Luca Iotti di Bnd, ne era rimasto coinvolto.
Amadou è stato uno di quegli uomini che ti insegnano il coraggio e la dignità. Uno di quegli incontri che non si dimenticano.
Da www.lorenzodipietro.it
Io ti ringrazio dal profondo per avere raccontato anche a noi la sua storia. Il coraggio e la forza spesso mancano o vacillano, leggere di Amadou può solo trasformarsi in energia, quella che occorre.
Grazie Donata.
c.
Coloro che chiudono gli occhi, coloro che disprezzano questa massa umana al sapore di mare e paura, coloro che dichiarano senza pudore alcuno, Sono annegate bestie, ecco, resteranno indifferenti anche di fronte a questa testimonianza. Non chi acchiappa ogni luogo, anche scivoloso, per gridare lo sdegno. Sdegno è parola arcaica, per questo l’ho pronunciata.