IN RITARDO (di Pabuda)
stamattina
son arrivato in ufficio
in ritardo: sarebbe a dire:
con minor anticipo del solito.
ma questa (mi dicono)
rischia d’essere un’equazione
con troppe incognite
per chi non conosce
le mie abitudini mattiniere.
quindi: non se ne tenga conto,
tanto… mica è importante.
il fatto è che: con l’idraulico Mahir,
invece del solito ‘giorno!
m’è scappato un come va?
così desso so del figlio
ricongiunto dall’Egitto
e della figlia arrivata
per la contabilità.
poi, al bar piccino della piazza
non c’era la solita ragazza,
Erica,
coi tatuaggi sulla spalla destra,
sul collo e quello preciso
alla giusta altezza:
tra le mutande e il top
che viene sempre su quel tot
quando prende la bottiglia
di sambuca
per correggere il caffè
agli operai del gas,
ma quell’altra giovane signora
del sud che l’altro giorno,
mentre cavava
le brioches bollenti dal fornetto,
sentenziò:
ci guadagnavamo di sicuro
a far le zoccole anche noi…
ma io proprio non riesco. però
bisogna farla pagare agli uomini,
quei bastardi!
stamane, con me, chissà perché,
la signora ha ritenuto doveroso
precisare il suo pensiero
e s’è chiacchierato un po’,
oltre al solito supersonico caffè.
prima di voltare l’angolo c’è
il portinaio antico e scuro
(pre-incaico o mezzo-maya. chissà)
che trascina i sacchi
della ruera, rumenta, basura:
lui sì che è in ritardo,
ma due battute in perfetto itagnolo
ci scappano.
percorso il tragitto che conduce
a superare una via perpendicolare
assai trafficata,
facendo attenzione a non farsi stirare
(col vecchio trucco d’attendere il verde per traversare),
saluto il giornalaio, Marco, da qualche tempo
un Marco peruviano. lui mi saluta sempre. oggi è:
buongiorno Paolo, è uscito un nuovo libro!
che roba è?
yo no se, ma costa solo un euro.
dai, lo prendo, y tu como estas?
bueno… bien… pero muy poca gente.
superato il semaforo successivo
(serve per lo stesso trucco di prima, ma qui
non c’è lo scorrimento veloce),
al barista sulla soglia del locale solo una voce:
uff, sono in ritardo, ci vediamo.
a questo punto c’è da prender fiato:
m’attende un’infilata di custodi e portinai
che fossero birilli potrei far qualche record.
uno – quello dell’istituto di non so che –
porta un’origine talmente esotica con sé
che ci limitiamo sempre a guardarci, un po’ persi
come ospiti di due zoo diversi.
dopo di che, c’è il sorriso più socievole
di tutto l’arcipelago
(delle Filippine, s’intende).
il proprietario di quell’empatica dentatura,
se non c’è il solito vecchio
che gli scassa i maroni
con le ultime aggiornate informazioni
sul calcio-mercato dell’Inter e del Milan
(che a lui non gliene importa un mirtillo,
come si dice a Manila),
m’accosta con fare complice e circospetto
e mi chiede colla scopa in mano
(avrà spazzato un chilometro di marciapiede):
che dice… oggi pioverà?
io non riesco a sintetizzare
tutta la mia ignoranza meteorologica
in un dignitosissimo boh…
e mi premuro di precisare: eh, sa,
ho il metabolismo strano che mi sfasa tutto
il ciclo del sonno: mi rimane completamente
anticipato:
praticamente, ieri sera mi son addormentato
prima delle previsioni in tv
e stamattina sono uscito prima
delle previsioni alla radio.
però, secondo me, piove mica.
e guardo in alto, perforando il cielo con l’occhio sinistro.
dopo di che c’è la solita signora africana
col vestito burkinabé
che non mi saluta (magari ha fatto un voto di non salutare
i passanti pelati…)
però ci scambiamo parecchi sguardi accennati,
muovendo entrambi la testa in dei micro-salamelecchi.
secondo me, ci impieghiamo più tempo
che a far dei discorsi:
tutto molto casto e discreto, ma che fatica.
è quasi finita:
l’ultima – ma solo per la collocazione del portone –
è la signora argentina che presidia il ventotto:
secondo me, è d’origine italiana. facile che ci ho preso.
di solito, io e lei, parliamo male del panettiere. oggi pure