In Sicilia ho visto migranti felici
di Lella Di Marco
E se vi interessa la granita ai fiori di gelsomino… leggete sino all’ultima riga
Pensando la Sicilia in una giornata di mezza estate (34° a Bologna e 40° a Palermo: senza mare né granita di limone)
Veramente non ne posso più (come molte/i) delle politiche sull’immigrazione, dei finti conflitti sul tema da parte dei politici, della PRESUNTA “criminalità dei migranti” e della rappresentazione che di tutto questo ci viene data dai media, con le paure… siano vere o indotte.
Continuo la lettura di Platone o di Uberto Eco sul rapporto vero-irreale. Anzi, stacco un po’. Però non voglio ascoltare tg e affini. Metto a fuoco le immagini dell’archivio della mia memoria. Mi tuffo nel mare azzurro della Sicilia, trasferendomi al porto di Trapani e rivisito i luoghi dove ho conosciuto “migranti felici”
Proprio lo scorso anno di fronte alla Colombaia – punta est porto di Trapani, fra gli scogli intorno al VILLINO NASI, oggi Museo aperto al pubblico – una famiglia tunisina (giovani genitori e cinque bambini) mi ha invitato a mangiare il cous cous a casa loro, da preparare con i pesci che stavano pescando: scorfani, triglie, gamberi e qualche murena . Mi hanno raccontato che da anni vivevano in quella città. L’uomo lavorava al cantiere navale e nel tempo libero pescava anche uscendo con la barca. Lei casalinga come molte donne siciliane. I bambini a giocare con i coetanei siciliani, bravi e felici di andare regolarmente a scuola.
Un breve episodio, importantissimo per me che di tali storie faccio collezione. In Sicilia e soprattutto a Trapani storie del genere non sono rare. Quegli immigrati erano veramente felici. .E poi la Tunisia nelle giornate limpide lascia intravedere le sue coste, da lontano. Sembra basti una nuotata per arrivare all’altra sponda del Mediterraneo.
Mi ha sorpreso molto la felicità per il successo scolastico dei figli, la fiducia nella scuola italiana e la loro certezza che un processo di maggiore crescita culturale e scolastica per i figli , in quella terra, sia possibile. Il fenomeno mi è stato confermato da amici che da anni insegnano a Palermo nei quartieri popolari o nelle zone periferiche di Trapani.
Per quanto la Sicilia venga considerata una specie di “albergo ad ore” per la velocità con cui i migranti arrivano e ripartono, c’è la tendenza a rimanere. A integrarsi. In alcuni paesi come Alcamo o Mazara del vallo sono stati fatti progetti di inserimento nel tessuto economico, a seconda delle disponibilità oggettive e delle competenze professionali di chi arrivava. Settori possibili di lavoro, agricoltura e pesca. Del resto soprattutto con la Tunisia da sempre ci sono stati rapporti di “buon vicinato” e migrazioni d’ambo le parti con sostegno alle economie locali. In Tunisia è significativa la presenza dei trapanesi sempre nell’attività lavorativa legata al mare. Mi hanno detto di un ottimo ristorante LA BAIA DEI CORSARI. Vicino Tunisi, sul mare ovviamente – con cucina siciliana a base di pesce, che a quanto pare rende omaggio ad antenati trapanesi – ricordando il loro “ avventuroso” spingersi in mare.
Ma c’è un elemento a favore degli immigrati: la prima, seconda e, possiamo sospettare, la terza “generazione” di persone arrivate da ogni parte del mondo (le aree colpite dalla fame, guerre e terrorismo) assolve al dovere d’istruzione con dedizione e tenacia. Nonostante il gap iniziale, il rendimento scolastico appare soddisfacente ed è facile prevedere che contribuiranno alle sorti della nuova patria al meglio delle possibilità.
La propensione all’integrazione è anche favorita dal fatto che c’è consapevolezza del valore dell’istruzione mentre molti bambini e preadolescenti siciliani appaiono uguali a loro Non trovano banlieu di diseredati, ma periferie povere e abbandonate (talvolta) dove risiedono famiglie siciliane e di immigrati. A differenza di quanto avviene in Francia, Belgio e Gran Bretagna dove abbondano i ghetti. Per storia atavica fra terra e mare, per le dominazioni subite, i siciliani sono generosamente ospitali secondo l’accezione greca: con il senso della reciprocità dell’accogliere (ospitare) e dell’essere accolti (ospitati).
Impossibile sostenere che i migranti facciano concorrenza ai residenti. nei lavori che vengono loro proposti. L’emigrazione di laureati e diplomati siciliani è il risultato della “povertà” politica ed economica siciliana, di un declino provocato sia da condizioni generali contingenti – la vecchia irrisolta questione del Meridione come colonia dell’Italia – quanto della pochezza culturale dei rappresentanti delle istituzioni e della loro propensione all’acquisizione del consenso attraverso metodi contrari al bene pubblico. C’è stato, e continua a esserci, un difetto di prospettiva della politica, che si ingegna a elargire “favori” a singoli, lobby, corporazioni, categorie e territori senza una visione generale, sia per incompetenza che per interesse. Questione complessa che va oltre la Sicilia e forse anche oltre il governo nazionale.
Parlare di immigrazione in molte famiglie siciliane è normale. Da sempre.
In casa mia se ne è parlato da quando sono nata. Mio padre è nato ad Algeri dove mio nonno trapanese, pescatore di corallo, si era trasferito ai primi del 900. Erano anni di immigrazione nei Paesi del Nord Africa e non solo dalla Sicilia. I nonni ritornarono a Trapani quando papà aveva già 18 anni. Erano vissuti un po’ “erranti” fra Algeri e Parigi per poi rimpatriare definitivamente . I racconti di quegli anni, per me, erano epici. Straordinari, ricchi di novità e altre culture. Divertenti, avventurosi e inconsapevolmente esprimevano ribellione individuale pur nello sforzo di sopravvivenza. Mia nonna meriterebbe una statua: praticava nei grandi magazzini “la riappropriazione proletaria dei beni di prima necessità” con argomentazioni da non invidiare le teorizzazioni degli ann ’70. Lei era riuscita a vedere dei francesi e degli arabi un profilo antropologico in cui anche oggi Macron e i sauditi si potrebbero riconoscere in pieno.
Li ricordo combattivi, fantasiosi, creativi, ricchi culturalmente. Contrariamente ai nonni materni che possedevano terre e venivano considerati “benestanti” che vivevano a marausa (in arabo significa terre occupate dai primi immigrati). Usavano la gebbia (gèbiya cioè cisterna ) e andavano spesso a Marsala (porto di Allah) per il commercio di limoni-lumia (lima ) bevendo acqua dalla cannata (Khannaq): insomma usavano luoghi e strumenti lasciati dagli arabi nella coltura e nell’irrigazione dei campi. E in quelle zone dove più intensa e duratura è stata la dominazione araba, il segno è rimasto forte, nel dialetto che si parla ancora oggi.
Così della Sicilia – assieme ai migranti felici incontrati nel mio cammino, voglio ricordare alcuni SAGGI e ASSAGGI.
I primi sono gli studi di notevole valore culturale sulle dominazioni straniere nell’isola, ad opera di storici, e il grande lavoro dell’Istituto euro arabo con sede a Mazara del vallo, sorto per decreto del Comune. In collaborazione con giovani ricercatori, dottorandi etnologi e antropologi universitari (siciliani e non) l’Istituto euro-arabo da anni studia le mutazioni antropologiche dell’immigrazione in Sicilia, l’apporto linguistico, le origini arabe di parte del lessico siciliano.
I secondi sono di fama internazionale, esportati ovviamente in USA dove hanno fatto e fanno la fortuna di tanti ristoratori, e non parlo delle stranote arancine, panelle, cassate, cassatine o cannoli e cazzilli … ma di fresche e dissetanti BIBITE quali acqua e zammù, granite di gelsi, mandorle, anice stellato, limone, caffè serviti con dolci di mandorle e morbidi biscotti all’anice a forma di un quarto di luna. E poi – unica al mondo – la granita ai fiori di gelsomino, prodotta esclusivamente a Trapani dove si coltivano distesi filari di quelle piante, dai fiori dal profumo inebriante che vanno raccolti prima che si schiudano, nelle ore antimeridiane, per farli poi sbocciare in vaschette di acqua, che ne assorbe interamente sapore e odore.
Ho le ricette autentiche tramandate da mio nonno e da mio padre, arricchite con le varianti trovate ad Algeri Per averle basta chiedermele (a scholefuturo@gmail.com).
Le foto sono di LORENZO GIGANTE
Come sempre da decenni, gli scritti di Lella mi commuovono perché racconta storie che io non ho vissuto, io, da piccola, immigrata a Palermo, non ho visto nulla di quelle meraviglie