India: lotta di classe e per l’ambiente

di Gianni Sartori

Gli scontri di lunedì 18 marzo tra manifestanti e vigilantes della Vedanta Limited hanno causato altre due vittime. Vedanta Limited è una filiale indiana della società britannica Vedanta Resources, proprietà del miliardario di origini indiane Anil Agarwal.

Gli abitanti di Rengalpali, Bandhaguda, Kothajuar e altri villaggi si erano radunati per protestare contro l’espansione (e gli inevitabili “danni collaterali”) della fabbrica di alluminio del gigante minerario nell’Odisha. In cambio chiedevano almeno, come modesta riparazione, posti di lavoro per le famiglie dei desplazados (sfollati a causa dei lavori di ampliamento).

Il servizio di sicurezza aveva reagito con estrema violenza al tentativo della folla di forzare i cancelli per entrare nello stabilimento.

Si tratta dei membri della Odisha Industrial Security Force, forza di polizia ausiliaria ufficialmente alle dipendenze della Stato, ma che – di fatto – agisce come una polizia privata al servizio di industriali e proprietari di miniere.

Un manifestante è rimasto ucciso e diversi altri feriti, alcuni gravemente.

Negli scontri successivi l’esasperazione degli abitanti provocava la distruzione e l’incendio del posto di guardia e anche un poliziotto aveva perso la vita.

Nemmeno un anno fa (il 23 maggio 2018) la polizia aveva sparato contro i manifestanti radunatisi a migliaia davanti a una altra azienda della Vedanta (lo stabilimento Sterlite per la produzione di rame) nello stato del Tamil Nadu. Sul terreno erano rimasti 13 morti (ra cui una ragazza di 17 anni) e una sessantina di feriti. La popolazione della città di Thoothukudi chiedeva la chiusura della fabbrica che inquina pesantemente sia l’aria che l’acqua in tutto il territorio circostante.

 

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