Indipendenza? A me preoccupano i bambini…
Oggi referendum in Scozia. Ecco come la vede Fabio De Sicot che da qualche mese abita lì
Sono a Glasgow. Eh sì. Dopo aver imballato tutto quello che c’era da imballare, venduto tutto quello che c’era da vendere, e cancellato tutto quello che c’era da cancellare, ho preso un volo di sola andata (si spera) dall’Italia verso la Scozia, con la speranza in tasca e l’incoscienza nello zaino. La Scozia. Sì, sapete quel pezzo di terra che sta a metà strada fra la Norvegia e l’Islanda (??); quella zona tanto vicina all’Irlanda che, se si va verso il nord, si scoprono paesaggi quasi identici fra i due Paesi; quella parte di mondo dove son vissuti i Pitti, e i Caledoni, e i Vichinghi, e i Celti, e i Sassoni, e poi, ma solo poi, gli Scozzesi con il regno d’Alba. La patria di Mel Gibson insomma, ops volevo dire William Wallace… Anyway, per qualche motivo, e non so bene quale, questo Paese dalle mille culture ha accettato ben volentieri la mia presenza, e finché lo farà con questo trasporto, da qui non ho intenzione di tornare indietro. Perché farlo poi? Sentirsi a casa, un’altra volta, e’ una bella sensazione che, per ora, ho intenzione di tenermi ben stretta.
Come molte/i di voi sapranno, il 18 settembre, il popolo di Scozia va alle urne per un referendum ampiamente richiesto e conquistato con certosina pazienza durante gli anni. Argomento del contendere: vuoi tu Scozia, in nome della devolution, del tuo parlamento e di un sogno passato, presente e futuro, rispondere SI alla domanda: “Dovrebbe la Scozia essere uno Stato indipendente?”. La risposta è talmente ardua che richiederebbe un intero foglio protocollo per essere sviluppata adeguatamente. Chi parteggia per il SI argomenta dicendo che soltanto un popolo sovrano e nessun altro può decidere per il suo futuro. Chi parteggia per il NO sostiene che la Scozia è un grande Paese non malgrado il Regno unito ma grazie al Regno Unito. Senza ombra di dubbio è molto chiaro che in questo dibattere hanno un enorme peso la storia, l’ingente riserva petrolifera presente nel Mare del Nord e le politiche di austerity della signora Thatcher. In fondo si dice che qui in Scozia ci siano più Panda che Tory. Ed è talmente vera la storia dei panda che l’Ukip (il partito di destra estrema dell’innominabile xenofobo) in Inghilterra ha collezionato il 27% dei voti, mentre in Scozia soltanto il 10%. Qui l’animo è tendente al socialismo ma con un filo di nazionalismo e di fierezza per il proprio Paese. Che, a pensarci bene, a volte, non farebbe male neanche a noi…
E mentre gli scozzesi son pronti per decidere per il Sì o per il No, qui infuria la battaglia. La Bbc (spudoratamente schierata per No) continua a omettere le notizie positive e a sottolineare le opinioni negative dei vari think-tank; la Royal Bank of Scotland afferma che, in caso di indipendenza, sarà pronta a cambiare la sede da Edimburgo a Londra; i geologi vengono intervistati per affermare che la quantità di petrolio disponibile nel Mare del Nord è inferiore a quella stimata: gli economisti continuano a sostenere che la Scozia non potrà mantenere il Pound Sterling. A questo punto, in caso di indipendenza, mi aspetto anche le sette piaghe d’Egitto, le cavallette, e anche la morte dei primogeniti.
C’è qualcosa che non quadra, vi sembra? Ed è anche, secondo me, chiaro che non faranno mai vincere i Sì. Perché? Semplicemente perché non se lo possono permettere. Non se lo può permettere l’Europa che perderebbe una delle nazioni più potenti e più influenti sul suo territorio; non se lo può permettere il Regno Unito, che vedrebbe, di fatto, indebolita la sua posizione a livello internazionale; non se lo possono permettere gli Stati Uniti, che perderebbero la loro testa di ponte in Europa (GomBloDDo!).
Ma, poiché «the show must go on» e poichè, nonostante tutto, la democrazia deve continuare ad avere una sua parvenza di normalità, i sondaggi si alternano giorno dopo giorno e le coloratissime manifestazioni continuano a popolare le maggiori città scozzesi. Se per esempio vi troverete a passeggiare nel centro di Glasgow, in questi giorni noterete una assoluta predominanza di bandiere scozzesi con la scritta AYE (ci si domanda, a volte, se esistano davvero i favorevoli all’opzione No), cornamuse e kilt come se piovesse, e qualsiasi volantino di ogni forma e contenuto pronto a finire nelle vostre mani. Dai socialisti agli indipendentisti, dai nazionalisti ai radicali, dagli ambientalisti ai comunisti, tutti pronti a comunicarti che “da soli si sta meglio”. Spillette, adesivi, bandiere e tatuaggi in ogni dove.
Ma forse, a volte,un po’ troppo in ogni dove… Sabato scorso, fra George Square e Buchanan Street si è tenuta una ulteriore manifestazione a favore del sì. Grande, molto grande e talmente piena di gente che ormai ci fai l’abitudine. E così abbassi lo sguardo, metti le cuffiette e ti imbuchi nel primo Starbucks per prendere un caffè e leggere un libro in santa pace. Questa volta però ho alzato la testa e quello che ho visto non mi è piaciuto affatto. Ho visto bambini piccoli (5-10 anni) con in mano le bandierine per l’indipendenza, con tatuati i colori scozzesi, pieni di spillette e adesivi con la scritta Yes, mano nella mano con i genitori o addirittura nei passeggini. Lo so, il mondo anglosassone è il regno della comunicazione, e un italiano queste cose le trova (forse) eccessive. E’ un po’ come criticare un genitore che dipinge sul volto del figlio i colori della Roma quando va allo stadio. Ma se il popolo scozzese si esprimerà a favore del No, che ne sarà di questi bambini? Come cresceranno? Si ricorderanno dei giorni del referendum? Porteranno rancore nei confronti del “dominatore” britannico?
Ci vuole davvero molto poco buon senso a coinvolgere, loro malgrado, i bambini in una campagna elettorale di questa portata. Non stiamo parlando di rossi contro neri, fascisti contro comunisti, democratici contro antidemocratici: stiamo parlando di due nazioni una contro l’altra armate. Che se nel passato si affrontavano sui campi di battaglia con spade, lance e frecce, ora si combattono con le armi della democrazia. E se, da una parte, questo dimostra che, come direbbe Gaber, «la democrazia e’ il sistema più democratico che ci sia», dall’altra parte stiamo parlando di due nazioni, due popoli e due culture talmente diverse che, molto probabilmente, nessuno avrebbe mai dovuto osare unirle. Immaginiamo, per un attimo, uno di quei bimbi a trent’anni da oggi: come vivrà la sua appartenenza al Regno Unito? Lo considererà come un nemico, un pericolo, o un’opportunità? E come reagirà a una ulteriore e iniqua tassa? Siate buoni, popoli di Scozia. Non insegnate ai bambini, non insegnate la vostra morale. E’ così stanca e malata che potrebbe far male.
UN AGGIORNAMENTO DI FABIO
Ecco un tweet proveniente direttamente dalla Casa Bianca. Io evito di commentare oltremodo… fate voi
https://twitter.com/WhiteHouse/status/512323729997967360
“The UK is an extraordinary partner for America and a force for good in an unstable world. I hope it remains strong, robust and united.”
Bravo!
molto bello! una voce fuori dal coro
siccome Obama (re Mida al contrario) ne azzecca poche forse gli indipendentisti hanno ottime chances.
per i bambini credo sia solo folklore, per loro dev’essere un gioco, e poi i bambini le dimenticano, piccole cose così, penso che per loro sia un gioco come un altro.
A riflettere su fatti in evoluzione sembra di capire che in quei luoghi i venti della separazione siano covati tra le ceneri per trecento anni.
Speriamo che il trittico della rivoluzione francese – che è più giovane – “ Libertà, Uguaglianza, Fraternità”, spiri ancora, forte, fino a prevalere, nel fondo di questa Europa non più in mano dei cittadini….normali.
Edimburgo batte Glasgow, così va la Scozia