«Insegnare la libertà a scuola»
Proposte educative per rendere impensabile la violenza maschile sulle donne
recensione di Beppe Pavan (*) al libro curato da Mariella Pasinati
Rendere impensabile la violenza maschile sulle donne sembra un’affermazione fuori dal mondo, partorita da qualche incallita idealista aliena al principio di realtà, quella realtà che ci parla di una guerra universale e quotidiana, non dichiarata ma praticata dagli uomini contro le donne. D’altronde era uno stereotipo anche da confessionale (speriamo non più) che l’uomo è cacciatore e la donna preda… Quanta gente, nel mondo, ancora lo crede un dato “naturale”, non culturale!
Ma ci sono donne – e uomini – che credono possibile quel cambiamento culturale che renderà impensabile la violenza maschile sulle donne e si dedicano anima e corpo a questo progetto per una nuova civiltà delle relazioni.
Un’altra affermazione, che sentiamo spesso circolare nelle nostre conversazioni, recita che “bisogna cominciare dalla scuola”, insegnando ai bambini il rispetto per le bambine. Già! Si fa presto a dirlo… siamo tutti e tutte d’accordo; ma chi è che può educare i bambini al rispetto dei corpi, dei desideri, della libertà delle bambine? Lo possono fare solo adulte e adulti consapevoli e coerenti, capaci di praticare il rispetto tra uomini e donne a partire da sé.
Questo volume (Carocci 2017) curato splendidamente da Mariella Pasinati, raccoglie i contributi teorici che sono stati offerti alle centosessanta insegnanti – e “un” insegnante – che hanno partecipato a un corso di formazione triennale, pensato e realizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia e dalle donne dell’UDIPALERMO, tra il 2013 e il 2016.
Nella prefazione Pasinati illustra con chiarezza i princìpi-cardine che hanno indirizzato e informato tutte le tappe del percorso formativo:
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Il punto di partenza è stato l’assunto che la violenza sulle donne è primariamente una “questione maschile” e si presenta come la risposta più pesante, cruda e fatale della negazione di una soggettività femminile indipendente.
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Il secondo caposaldo del progetto è la necessità di riconoscere che alla radice di questa violenza c’è, nella nostra cultura, la cancellazione della madre e delle genealogie femminili, determinando così la condizione di secondarietà del femminile rispetto al maschile: anche l’essere donna è stato detto e pensato dall’uomo.
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Il terzo principio-cardine del percorso è stata la proposta di una pratica educativa segnata dalla differenza sessuale (…) per far crescere le e gli studenti nella consapevolezza della parzialità, che i sessi cioè sono due e che ciascuno di essi è in sé perfettamente umano.
A questo punto Pasinati afferma, con altrettanta chiarezza, che, per far crescere alunne e alunni in quella consapevolezza, è operazione preliminare che anche noi insegnanti per prime sappiamo consistere nella parzialità come principio del nostro agire educativo, imparando a valorizzare l’esperienza delle donne, i saperi femminili e la relazione fra donne, sia fra insegnanti che fra insegnanti e alunne.
La seconda parte del volume raccoglie quindi i contributi che presentano esperienze pedagogiche orientate alla valorizzazione della differenza sessuale:
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ricercando presenze e parole femminili in tutti gli ambiti del sapere;
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mettendo in evidenza la matrice sessuata, al maschile, delle categorie concettuali su cui si fondano i saperi;
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utilizzando sempre un linguaggio sessuato per esplicitare la presenza del femminile, nella consapevolezza che la soggettività non solo si esprime ma si forma nel linguaggio.
Questa rinnovata competenza pedagogica punta a rendere inviolabili le menti delle donne, come primo passo imprescindibile perché possano affermare l’inviolabilità dei loro corpi. Nella relazione educativa occorre, perciò, sostenere e rafforzare nelle alunne il senso di sé, del proprio valore, la consapevolezza che nessuna ferita può intaccarlo e la coscienza che è possibile agire forza e libertà, anche la libertà di rifiutare relazioni violente, non scambiando la violenza per amore (p. 22).
Il testo si presenta come un dialogo tra donne, che parlano di sé e, necessariamente, degli e agli uomini. Non posso, quindi, concludendo questa breve presentazione, non fare un accenno al “maschile”, di cui è portatore, insieme a me, anche quell’unico docente che ha partecipato al corso di formazione. Purtroppo era assente il giorno che sono stato invitato a portare il mio contributo: non ho potuto conoscerlo e scambiare con lui qualche riflessione su quella vistosa ed eloquente assenza di partecipazione maschile. Ho cominciato il mio intervento chiedendo – a me e alle docenti presenti – quale pratica pedagogica possa esercitare chi non ha consapevolezza di sé e della propria parzialità e, quindi, della responsabilità che gliene deriva. Quel corso sarebbe stato un’indubbia grande occasione per i docenti siciliani…
Io sono felice di poter dire che condivido le parole delle donne che ci parlano anche dalle pagine di questo libro. Ma cos’hanno ancora da dirci, le donne del femminismo, che già non abbiano detto? e che ci ripetono ogni giorno? Quello che è ancora terribilmente carente è il coraggio maschile di ascoltarle e di scegliere il rispetto, la condivisione, la cooperazione, la gestione nonviolenta degli inevitabili conflitti.
(*) ripresa da «Uomini in cammino»