Intanto in Palestina…

articoli e video di Giuliano Marrucci, Matteo Saudino, Ari Shavit, Chris Hedges, Eliana Riva, Vincenzo Costa, Alberto Negri, Alessandro Marescotti, Atilio Boron, Olivier Turquet

 

 

 

Haaretz – “Israele esala il suo ultimo respiro”

 

Segue la sintesi dell’articolo di Ari Shavit su Haaretz con traduzione in italiano di Nora Hoppe

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“Israele” esala il suo ultimo respiro

 

Con questo titolo, il quotidiano ebraico “Haaretz” ha pubblicato un articolo del famoso scrittore sionista (Ari Shavit), in cui afferma: “Sembra che stiamo affrontando il popolo più difficile della storia, e non c’è soluzione con loro se non riconoscere i loro diritti e porre fine all’occupazione.”

Shavit inizia il suo articolo dicendo: “Sembra che abbiamo superato il punto di non ritorno, ed è possibile che “Israele” non riesca più a porre fine all’occupazione, a fermare gli insediamenti e a raggiungere la pace, e sembra che non sia più possibile riformare il sionismo, salvare la democrazia e dividere il popolo in questo Paese.”

“Se le cose stanno così, non c’è gusto a vivere in questo Paese, non c’è gusto a scrivere su ‘Haaretz’ e non c’è gusto a leggere “Haaretz”.  Dovremmo fare quello che Rogel Alpher ha suggerito due anni fa, cioè lasciare il Paese.  Se “Israele” e l’ebraismo non sono un fattore vitale dell’identità, e se ogni cittadino “israeliano” ha un passaporto straniero, non solo in senso tecnico, ma anche in senso psicologico, allora la questione è chiusa.  Bisogna dire addio agli amici e trasferirsi a San Francisco, Berlino o Parigi.

“Da lì, dal Paese del nuovo ultranazionalismo tedesco, o dal Paese del nuovo ultranazionalismo americano, bisogna guardare in silenzio e osservare lo ‘Stato di Israele’ esalare l’ultimo respiro.  Dobbiamo fare tre passi indietro e guardare lo Stato ebraico democratico affondare.  Può darsi che il problema non sia ancora stato risolto.

“Forse non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno.  È ancora possibile porre fine all’occupazione, fermare gli insediamenti, riformare il sionismo, salvare la democrazia e dividere il Paese.

“Ho messo il dito negli occhi a Netanyahu, Lieberman e ai neonazisti, per svegliarli dalla loro illusione sionista: Trump, Kushner, Biden, Barack Obama e Hillary Clinton non sono coloro che porranno fine all’occupazione.

“Non saranno le Nazioni Unite e l’Unione Europea a fermare gli insediamenti.  L’unico potere al mondo in grado di salvare “Israele” da se stesso sono gli stessi ‘israeliani’, elaborando un nuovo linguaggio politico che riconosca la realtà e che i palestinesi sono radicati in questa terra.  Vi esorto a trovare la terza via per sopravvivere qui e non morire.”

Lo scrittore israeliano poi prosegue: “Gli ‘israeliani’, da quando sono arrivati in Palestina, si rendono conto di essere il prodotto di una menzogna inventata dal movimento sionista, durante la quale hanno usato tutta l’astuzia della personalità ebraica nel corso della storia.

“Sfruttando ed esagerando quello che Hitler chiamava Olocausto, il movimento è riuscito a convincere il mondo che la Palestina è la “Terra Promessa” e che il presunto tempio si trova sotto la Moschea di Al-Aqsa.  Un mostro nucleare.”

Lo scrittore ha chiesto l’aiuto di archeologi occidentali ed ebrei, il più famoso dei quali è Israel Flinstein dell’Università di Tel Aviv, che ha confermato che “anche il Tempio è una menzogna e una favola che non esiste, e tutti gli scavi hanno dimostrato che è scomparso completamente migliaia di anni fa, e questo è stato esplicitamente affermato in un gran numero di riferimenti ebraici”.  E molti archeologi occidentali lo hanno confermato…

L’ultima di esse è stata nel 1968 d.C., l’archeologa britannica Dr. Catelyn Kapinos, quando era direttrice degli scavi presso la British School of Archeology di Gerusalemme. L’archeologa ha condotto scavi a Gerusalemme ed è stata espulsa dalla Palestina per aver svelato i miti “israeliani” sulla presenza di tracce del Tempio di Salomone ai piedi della Moschea di Al-Aqsa…

Dove decisi che non c’erano mai state tracce del Tempio di Salomone, e scoprii che quello che gli israeliani chiamano “l’edificio delle stalle di Salomone” non ha affatto a che fare con Salomone o con le stalle. Piuttosto, si tratta di un modello architettonico di un palazzo comunemente costruito in diverse regioni della Palestina, e questo nonostante il fatto che “Kathleen Kenyon” provenisse dalla Palestine Exploration Fund Society, allo scopo di chiarire quanto affermato nei resoconti biblici, perché dimostrò una grande attività in Gran Bretagna a metà del XIX secolo sulla storia del “Vicino Oriente”.

Ha sottolineato che è la maledizione della menzogna a perseguire gli ‘israeliani’ e, giorno dopo giorno, li schiaffeggia sotto forma di coltello nelle mani dei gerosolimitani, Khalili e Nabulsi, o con una pietra di gruppo o con un autista di autobus di Giaffa, Haifa e San Giovanni d’Acri.”

Gli “israeliani” si rendono conto che non hanno futuro in Palestina, poiché non è una terra senza popolo, come hanno mentito.  Ecco un altro scrittore che riconosce, non l’esistenza del popolo palestinese, ma la sua superiorità sugli “israeliani”, è (Gideon Levy), il sionista di sinistra, come dice lui stesso:

“Sembra che i palestinesi siano diversi dal resto dell’umanità. Abbiamo occupato la loro terra, e chiamato i loro giovani prostitute, prostituti e drogati, e abbiamo detto che passeranno alcuni anni, e dimenticheranno la loro patria e la loro terra, e se la loro giovane generazione esploderà l’intifada dell’87. Li abbiamo messi in prigione e abbiamo detto che li avremmo cresciuti in prigione.

“Anni dopo, e dopo che pensammo che avessero imparato la lezione, se fossero tornati da noi con una rivolta armata nel 2000, che mangiava il verde e il secco, dicemmo che avremmo demolito le loro case e li avremmo assediati per molti anni, e se avessero estratto missili impossibili con cui colpirci, nonostante l’assedio e la distruzione, allora cominciammo a pianificare per loro muri e filo spinato.

“E se sono venuti da noi da sottoterra e in tunnel, finché non ci hanno ucciso nell’ultima guerra, li abbiamo combattuti con il cervello, così hanno preso il controllo del satellite ‘israeliano’ (Amos)?  E terrorizzano ogni casa in Israele diffondendo minacce e insulti, come è successo quando i loro giovani sono riusciti a impadronirsi del Canale Due israeliano.  Insomma, sembra che ci troviamo di fronte al popolo più difficile della storia, e non c’è soluzione con loro se non riconoscere i loro diritti e porre fine all’occupazione.”

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I palestinesi parlano il linguaggio della violenza che Israele gli ha insegnato – Chris Hedges

di Chris Hedges* – Scheerpost

Gli spari indiscriminati contro gli israeliani da parte di Hamas e di altre organizzazioni di resistenza palestinese, il rapimento di civili, la raffica di razzi contro Israele, gli attacchi dei droni contro una varietà di obiettivi, dai carri armati ai nidi di mitragliatrici automatiche, sono il linguaggio familiare dell’occupante israeliano. Israele parla questo linguaggio di violenza intriso di sangue ai palestinesi da quando le milizie sioniste si sono impadronite di oltre il 78% della Palestina storica, hanno distrutto circa 530 villaggi e città palestinesi e hanno ucciso circa 15.000 palestinesi in più di 70 massacri. Circa 750.000 palestinesi sono stati ripuliti etnicamente tra il 1947 e il 1949 per creare lo Stato di Israele nel 1948.

La risposta di Israele a queste incursioni armate sarà un assalto genocida a Gaza. Israele ucciderà decine di palestinesi per ogni israeliano ucciso. Centinaia di palestinesi sono già morti negli assalti aerei di Israele dal lancio dell'”Operazione Al-Aqsa Flood” di sabato mattina, che ha causato 700 morti israeliani.

Il Primo Ministro Netanyahu ha avvertito domenica i palestinesi a Gaza di “andarsene subito”, perché Israele “trasformerà in macerie tutti i nascondigli di Hamas”.

Ma dove dovrebbero andare i palestinesi di Gaza? Israele e l’Egitto bloccano i confini terrestri. Non c’è uscita per via aerea o marittima, che sono controllate da Israele.

La punizione collettiva contro gli innocenti è una tattica familiare utilizzata dai governanti coloniali. L’abbiamo usata contro i nativi americani e successivamente nelle Filippine e in Vietnam. I tedeschi l’hanno usata contro gli Herero e i Namaqua in Namibia. Gli inglesi in Kenya e in Malesia. I nazisti l’hanno usata nelle aree occupate in Unione Sovietica, nell’Europa orientale e centrale. Israele segue lo stesso schema. Morte per morte. Atrocità per atrocità. Ma è sempre l’occupante a dare inizio a questa danza macabra e a scambiare mucchi di cadaveri con altri mucchi di cadaveri.

Non si tratta di difendere i crimini di guerra dell’una o dell’altra parte. Non si tratta di rallegrarsi degli attacchi. Ho visto abbastanza violenza nei territori occupati da Israele, dove ho seguito il conflitto per sette anni, da detestare la violenza. Ma questo è l’epilogo familiare di tutti i progetti coloniali. I regimi impiantati e mantenuti dalla violenza generano violenza. La guerra di liberazione di Haiti. I Mau Mau in Kenya. Il Congresso nazionale africano in Sudafrica. Queste rivolte non sempre hanno successo, ma seguono schemi familiari. I palestinesi, come tutti i popoli colonizzati, hanno il diritto alla resistenza armata secondo il diritto internazionale.

Israele non ha mai avuto alcun interesse a una soluzione equa con i palestinesi. Ha costruito uno Stato di apartheid e ha costantemente assorbito porzioni sempre più ampie di terra palestinese in una campagna di pulizia etnica al rallentatore. Nel 2007 ha trasformato Gaza nella più grande prigione a cielo aperto del mondo.

Cosa si aspetta Israele o la comunità mondiale? Come si possono intrappolare 2,3 milioni di persone a Gaza, metà delle quali disoccupate, in uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta per 16 anni, ridurre la vita dei suoi residenti, metà dei quali sono bambini, a un livello di sussistenza, privarli delle forniture mediche di base, del cibo, dell’acqua e dell’elettricità, usare aerei d’attacco, artiglieria, unità meccanizzate, missili, cannoni navali e unità di fanteria per massacrare a caso civili disarmati e non aspettarsi una risposta violenta? Israele sta attualmente effettuando ondate di assalti aerei su Gaza, sta preparando un’invasione di terra e ha tagliato la corrente elettrica a Gaza, che di solito funziona solo per due o quattro ore al giorno.

Molti dei combattenti della resistenza che si sono infiltrati in Israele sapevano senza dubbio che sarebbero stati uccisi. Ma come i combattenti della resistenza in altre guerre di liberazione, hanno deciso che, se non potevano scegliere come vivere, avrebbero scelto come morire.

Ero un amico intimo di Alina Margolis-Edelman, che faceva parte della resistenza armata nella rivolta del ghetto di Varsavia durante la Seconda guerra mondiale. Suo marito, Marek Edelman, era il vicecomandante della rivolta e l’unico leader sopravvissuto alla guerra. I nazisti avevano sigillato 400.000 ebrei polacchi nel ghetto di Varsavia. Gli ebrei intrappolati morirono a migliaia, per fame, malattie e violenza indiscriminata. Quando i nazisti iniziarono a trasportare gli ebrei rimasti nei campi di sterminio, i combattenti della resistenza si opposero. Nessuno si aspettava di sopravvivere.

Dopo la guerra, Edelman condannò il sionismo come ideologia razzista usata per giustificare il furto della terra palestinese. Si schierò con i palestinesi, sostenne la loro resistenza armata e si incontrò spesso con i leader palestinesi. Ha tuonato contro l’appropriazione dell’Olocausto da parte di Israele per giustificare la repressione del popolo palestinese. Mentre Israele si nutriva della mitologia della rivolta del ghetto, trattava l’unico leader sopravvissuto della rivolta, che si rifiutava di lasciare la Polonia, come un paria. Edelman ha capito che la lezione dell’Olocausto e della rivolta del ghetto è che gli ebrei non sono moralmente superiori o vittime eterne. La storia, diceva Edelman, appartiene a tutti. Gli oppressi, compresi i palestinesi, avevano il diritto di lottare per l’uguaglianza, la dignità e la libertà.

“Essere ebreo significa stare sempre con gli oppressi e mai con gli oppressori”, disse Edelman.

La rivolta di Varsavia ha ispirato a lungo i palestinesi. I rappresentanti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) sono soliti deporre una corona di fiori in occasione della commemorazione annuale della rivolta in Polonia presso il monumento del Ghetto di Varsavia.

Più il colonizzatore spende violenza per sottomettere l’occupato, più si trasforma in un mostro. L’attuale governo di Israele è popolato da estremisti ebrei, sionisti fanatici e bigotti religiosi che stanno smantellando la democrazia israeliana e chiedono l’espulsione o l’uccisione di massa dei palestinesi, compresi quelli che vivono in Israele.

Il filosofo israeliano Yeshayahu Leibowitz, che Isiah Berlin definì “la coscienza di Israele”, avvertì che, se Israele non avesse separato la Chiesa dallo Stato avrebbe dato origine a un rabbinato corrotto che avrebbe trasformato l’ebraismo in un culto fascista.

“Il nazionalismo religioso è per la religione ciò che il nazionalsocialismo è stato per il socialismo”, disse Leibowitz, morto nel 1994.

Aveva capito che la cieca venerazione dei militari, soprattutto dopo la guerra del 1967 che aveva conquistato il Sinai egiziano, Gaza, la Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e le alture del Golan siriano, era pericolosa e avrebbe portato alla distruzione definitiva di Israele, insieme a qualsiasi speranza di democrazia.

“La nostra situazione si deteriorerà fino a diventare quella di un secondo Vietnam, una guerra in costante escalation senza prospettive di risoluzione finale”, aveva avvertito.

Prevedeva che “gli arabi sarebbero stati il popolo lavoratore e gli ebrei gli amministratori, gli ispettori, i funzionari e la polizia – soprattutto la polizia segreta”. Uno Stato che governa una popolazione ostile di 1,5-2 milioni di stranieri diventerebbe necessariamente uno Stato di polizia segreta, con tutto ciò che ne consegue per l’istruzione, la libertà di parola e le istituzioni democratiche. La corruzione caratteristica di ogni regime coloniale prevarrebbe anche nello Stato di Israele. L’amministrazione dovrebbe sopprimere l’insurrezione araba da un lato e acquisire quisling arabi dall’altro. C’è anche una buona ragione per temere che le Forze di Difesa Israeliane, che finora sono state un esercito di popolo, in seguito alla loro trasformazione in un esercito di occupazione, degenerino e che i loro comandanti, diventati governatori militari, assomiglino ai loro colleghi di altre nazioni”.

Egli vedeva che un’occupazione prolungata dei Palestinesi avrebbe inevitabilmente generato “campi di concentramento”.

“Israele”, disse, “non meriterebbe di esistere e non varrebbe la pena di conservarlo”.

La prossima fase di questa lotta sarà una massiccia campagna di massacri industriali a Gaza da parte di Israele, che è già iniziata. Israele è convinto che livelli maggiori di violenza schiacceranno definitivamente le aspirazioni palestinesi. Israele si sbaglia. Il terrore che Israele infligge è il terrore che otterrà.

*Giornalista vincitore del Premio Pulitzer che è stato corrispondente estero per quindici anni per The New York Times, dove ha ricoperto il ruolo responsabile dell’ufficio per il Medio Oriente e i Balcani. In precedenza, ha lavorato all’estero per The Dallas Morning NewsThe Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore del programma The Chris Hedges Report.

Traduzione de l’AntiDiplomatico

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Hamas attacca Israele. Come tutto è cominciato – Eliana Riva

Dall’inizio dell’anno, prima di oggi, nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi circa 200 palestinesi, tra i quali civili e bambini. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati.

Fonte: Pagine Esteri – 07 ottobre 2023

Un improvviso attacco con razzi e incursioni è scattato alle prime ore di sabato da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia di razzi verso il sud di Israele fino alla periferia di Tel Aviv, razzi diventati, secondo le autorità israeliane, 2.500 in poche ore.

I sistemi di difesa israeliani sono stati colti di sorpresa e diversi razzi hanno colpito vari centri abitati, uccidendo una donna di 70 anni e facendo numerosi feriti. Nello stesso momento, secondo notizie diffuse dai media, almeno 4 unità scelte delle Brigate Ezzedin al Qassam, a bordo di pick-up si sono infiltrate in territorio israeliano ingaggiando combattimenti con l’esercito israeliano, con morti e feriti. 

Decine di uomini di Ezzedin El Qassam, l’ala militare di Hamas, sono penetrati in territorio israeliano per molti chilometri, infiltrandosi negli insediamenti israeliani e assaltando la stazione di polizia della città di Sderot. Si sono impossessati di diverse jeep dell’esercito israeliano, portandole dentro Gaza.

Sono 57 al momento, tra civili e militari, gli israeliani catturati dai miliziani di Hamas e portati all’interno Gaza. Non è chiaro se siano tutti vivi.

Il leader di Hamas, Mohammad Deif, ha dichiarato che l’operazione “Tempesta di Al Aqsa” è stata lanciata per rispondere all’occupazione del sito religioso di Al Aqsa e alle azioni dei coloni israeliani che sono penetrati nei villaggi palestinesi, saccheggiando, distruggendo e uccidendo alcuni abitanti. “Questo è il giorno della più grande battaglia per porre fine all’ultima occupazione sulla terra“, ha dichiarato Mohammad Deif, chiamando i gruppi armati palestinesi del Libano alla guerra contro Israele.

Israele ha dichiarato di aver lanciato l’operazione “Spada di Ferro” in risposta all’attacco di Hamas e sono cominciati i bombardamenti della Striscia di Gaza. Nei video pubblicati in rete si vedono decine di corpi tra quelli dei militari israeliani e dei combattenti palestinesi.

Dall’inizio dell’anno, prima di oggi, nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi circa 200 palestinesi, tra i quali civili e bambini. La maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati.

Il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha intensificato l’abbattimento delle case dei palestinesi, l’espansione delle colonie illegali, gli arresti e le detenzioni amministrative senza accuse. Ma ha anche consentito e anzi incoraggiato le azioni del movimento dei coloni. Questo si è tradotto, soprattutto sotto la spinta e la protezione del Ministro della sicurezza, l’estremista e suprematista Ben Gvir, in impunità politica e legislativa che ha incentivato azioni violente e provocatorie nei confronti della popolazione araba residente in Israele e di quella palestinese dei Territori. Molti di questi coloni ritengono che Israele debba comprendere l’intera Palestina storica (il territorio di Israele più la Cisgiordania e Gaza palestinesi) e che gli arabi non debbano veder riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini israeliani. Cosa che di fatto già accade, per quanto riguarda i permessi di lavoro, gli spostamenti, i processi, la detenzione e tantissimi altri aspetti che condizionano la vita quotidiana.

“Il mio diritto, quello di mia moglie e dei miei figli, di muoverci sulle strade in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr), è più importante del diritto di movimento degli arabi (i palestinesi sotto occupazione israeliana, ndr)”. Si è espresso con queste parole il ministro israeliano della Sicurezza ed esponente di punta dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, alla fine dello scorso agosto, durante una intervista alla tv Canale 12 sull’aumento della tensione e delle uccisioni in Cisgiordania.

E questa tensione crescente si è trasformata in raid militari senza precedenti negli ultimi anni, come quello dell’esercito israeliano nel campo profughi e nella città palestinese di Jenin, lo scorso luglio, in attacchi palestinesi ai coloni e ai civili israeliani. Ma anche in incursioni e scorribande dei coloni che sono entrati nei villaggi palestinesi, hanno distrutto, incendiato e in alcuni casi uccido residenti. In quei momenti l’esercito israeliano non è intervenuto e, se lo ha fatto, è stato spesso per arrestare e fermare i palestinesi che si opponevano alla distruzione dei propri negozi, delle automobili, dei raccolti, degli alberi di olivo.

Come nel villaggio di Huwara dove, dopo i pogrom di maggio, i coloni sono rientrati, lo scorso giovedì 5 e, guidati da un deputato e protetti dalle forze di sicurezza israeliane, hanno montato una tenda e cominciato a celebrare la festività ebraica dei Tabernacoli, recitando e cantando preghiere nel cuore della notte.

La Moschea di Al Aqsa, luogo sacro per l’Islam, è stato più volte chiuso ai fedeli arabi per consentire “passeggiate” del ministro Ben Gvir e dei coloni, come quella che fece Sharon nel 2000, provocando lo scoppio della Prima Intifada.

Proprio Ben Gvir alla fine di Luglio ha guidato un gruppo di oltre mille coloni ultranazionalisti sul complesso di Al Aqsa, nella Gerusalemme Est occupata. Era il suo terzo ingresso, solo nel 2023 e in quella occasione ha espresso parole minacciose sul futuro del luogo sacro: “Questo posto è importante per noi e dobbiamo tornarci e dimostrare la nostra sovranità. L’unità della nazione di Israele è importante”.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, in un discorso all’ONU tenuto solo pochi giorni fa, il 22 settembre, ha sventolato nella sede delle Nazioni Unite delle mappe di Israele che comprendevano tutta la Palestina storica, con la Cisgiordania e Gaza.

Tutto ciò è accaduto nel silenzio pressoché totale dei governi occidentali, della comunità internazionale e della maggior parte dei governi degli Stati arabi. Questi ultimi hanno anzi spesso espresso soddisfazione e felicità per la normalizzazione dei rapporti con Israele e per le possibilità economiche che queste portano o potrebbero portare.

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La storia sta emigrando altrove. L’Occidente, oggi, è l’apericena – Vincenzo Costa

 

Il limbo e le generazioni che vengono.

L’Occidente non ha più risorse culturali perché ha rimosso la sua propria storia. Non quella degli altri, ma la propria. Non ha rapporto con le sue radici greche, con quelle cristiane. Non ha più alcun rapporto con la storia, e ciò che si chiama filosofia analitica, che è la filosofia del dominio anglosassone, è l’espressione di questa rimozione.

Si tratta di un’ideologia, il cui nucleo consiste nell’estrarre un frammento temporale da una sequenza. Le cose non hanno più storia, radici, motivazioni. Cadono dal cielo, sono frutto di follia e di irrazionalità.

Una volta destoricizzate si prestano al ragionamento che il filosofo analitico predilige, e che è ovviamente la forma ideologica del dominio oggi: c’è un aggressore e c’è un aggredito.

Il cattivo è sempre l’altro. I buoni sempre gli Stati Uniti e i suoi alleati. Una storia che dura da Locke, i cui diritti universali servivano sempre a legittimare gli interessi proprio del suo lord protettore. Il liberalismo nasce da quest’anima da servo, ora santificato.

 

Questa storia giunge sino a noi. I palestinesi, come sono cattivi, si cercano i guai, picchiano i poveri soldati israeliani. Alla fine, il filosofo analitico offre la soluzione: sono matti. E noi siamo la ragione.

 

Qualcuno, che non è un filosofo analitico ma un sindacalista “de sinistra”, un tale Landini che si atteggia a rivoluzionario, dice che così si bloccano le prospettive di negoziato di pace. Di quale prospettive parli lo sa solo lui. Che esistano tali prospettive deve essere una cosa segreta che è sfuggita a quegli ignoranti palestinesi. I fatti sono altri, e sono fatti di insediamenti illegittimi, di protervia, di oppressione.

I palestinesi esperiscono una cosa sola, che la loro prospettiva è semplice: o morire giorno dopo giorno in una riserva indiana, guardare la protervia di uno stato di fatto a base etnica, esempio luminoso di stato intrinsecamente razzista, oppure morire combattendo.

Naturalmente sanno che Israele reagirà con la solita crudeltà, con lo stesso criterio che si chiama ritorsione ma che faremmo bene a chiamare con il suo nome: vendetta per moltiplicazione.

Hamas e i palestinesi non aprono una prospettiva di pace. Vero. Ma che scelta hanno? Che prospettiva ha offerto loro l’Europa? E l’Occidente?

Ma c’è un aggredito e un aggressore.

Purtroppo, la cosa che ferisce è che le generazioni che vengono sono state tirate su così, soprattutto quelle che si dicono di sinistra. Da esse non verrà niente di buono, e io temo che i disastri che faranno queste nuove generazioni faranno impallidire i secoli passati, che pure di tragedie ne hanno viste.

Ma sto imparando, lo ho imparato su FB, che non serve avvisare. Purtroppo si impara solo picchiando la testa. E la storia sta accelerando, sta cambiando rapidamente. Io non penso che le generazioni che verranno saranno in grado di gestire questi cambiamenti.

Il problema della storia sono loro, la fine della storia è questa generazione che ci segue.

La storia sta emigrando altrove, forse, come sosteneva patocka, gli eredi dell’Occidente sono altrove.

La Meloni non vuole diventare cinese. Il problema è che noi non siamo più in Occidente, e da un bel pezzo. Siamo in una terra di nessuno, in una sorta di limbo, sospesi.

Per fortuna c’è l’apericena che salva i valori occidentali e il nostro way of life.

L’Occidente, oggi, è l’apericena.

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Basta retorica, trent’anni dopo Oslo – Alberto Negri

Con il Patto di Abramo voluto da Trump, l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Riad e Tel Aviv avrebbe potuto dare forse, nella migliore delle sole ipotesi, il via alla nascita dei due stati, di cui uno palestinese foraggiato dall’Arabia Saudita

Basta retorica, trent’anni dopo Oslo

La guerra non ha quasi mai una colpa sola e neppure l’ultima risolverà nulla. Ma smettiamola di fare della retorica su Israele e Palestina. Da una parte i “regolari” che hanno uno Stato, dall’altra dei “terroristi” al quale vorremmo darne uno ma alla nostra maniera, una sorta di prigione a cielo aperto come la Striscia di Gaza. Se ne era parlato molto in queste settimane mentre si moltiplicano le ipotesi di un accordo storico tra Israele e Arabia Saudita, un altro segnale che il baricentro del mondo arabo si spostava verso il Golfo.

Trent’anni dopo gli accordi Oslo, con il Patto di Abramo voluto da Trump, l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Riad e Tel Aviv avrebbe potuto dare forse, nella migliore delle sole ipotesi, il via alla nascita dei due stati, di cui uno palestinese foraggiato dall’Arabia Saudita che ne avrebbe dovuto essere il garante internazionale. Lo scrivevano giornali informati come il «New York Times». Una fuga in avanti che poteva sembrare anche esagerata.

E soprattutto emergeva una domanda: cosa ne pensano i sia pure assai divisi palestinesi? La loro opinione che fossero di Gaza o della Cisgiordania dei territori ancora occupati in violazione del diritto internazionale, non era contemplata. Perché? Perché in Medio Oriente è importante non chiedere la loro opinione, ma costruire la narrativa che deve portare una parte politica, un avversario o un nemico alla resa o al consenso, senza troppo discutere. Prendere o lasciare. Ed ecco che il coro europeo segue, privo di un copione, di conoscenze, persino di buonsenso. Poi chiedetevi perché fuori c’è, ancora, la guerra.

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Lo scontro militare fra Hamas e Israele – Alessandro Marescotti

“Gli attacchi e le armi si fermino e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte, alla sofferenza di tanti innocenti. La guerra è una sconfitta, ogni guerra è una sconfitta”, ha detto Papa Francesco

In un momento di profonda preoccupazione e dolore per gli scontri armati fra Hamas e Israele, stanno giungendo diversi appelli per la risoluzione pacifica di questo conflitto che sta provocando centinaia di morti e feriti.

Papa Francesco

Il Pontefice, nel suo discorso al termine dell’Angelus in Piazza San Pietro, ha fatto un accorato appello per le famiglie delle vittime e per tutte le persone coinvolte in queste ore di terrore e angoscia. Ha dichiarato: “Preghiamo perché ci sia la pace in Israele e Palestina”. Queste parole riflettono lo spirito di pace e compassione che Papa Francesco ha dimostrato nel corso del suo pontificato. Il Papa ha anche condannato fermamente l’uso della violenza e delle armi, sottolineando che il terrorismo e la guerra non portano a soluzioni durature, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti. Ha enfatizzato che ogni guerra è una sconfitta e ha sottolineato l’importanza di fermare gli attacchi e cercare vie di dialogo e pace.

Amnesty International

Amnesty International ha lanciato un appello urgente, chiedendo alle forze armate israeliane e ai gruppi armati palestinesi di proteggere le vite dei civili. La segretaria generale di Amnesty International, Agnés Callamard, ha evidenziato la preoccupazione per il numero di civili uccisi e ha sottolineato che attacchi deliberati contro civili costituiscono crimini di guerra. Le cifre dei morti e dei feriti da entrambe le parti sono sconvolgenti, ed è evidente che una soluzione pacifica è necessaria con urgenza. Le cause profonde di questa violenza devono essere affrontate, e ciò include il rispetto del diritto internazionale, la fine del blocco israeliano a Gaza e l’eliminazione del sistema di apartheid contro la popolazione palestinese.

ANPI

Una dichiarazione dell’ANPI condanna gli attacchi di Hamas contro Israele e sottolinea che i civili israeliani e palestinesi sono le principali vittime di questa violenza. Si richiede una soluzione negoziata e giusta per porre fine al conflitto, con un appello urgente alle Nazioni Unite affinché intervengano per fermare questa pericolosa spirale di morte. La dichiarazione sottolinea l’importanza della diplomazia e della cooperazione internazionale per promuovere la pace nel Medio Oriente.

Le armi sono il problema, non la soluzione

È importante sottolineare come il ricorso alle armi spesso non conduca alle soluzioni più ragionevoli, ma piuttosto a quelle più violente e controproducenti. Trasformano il rancore in violenza e la violenza in terrorismo e guerra. Lo scontro armato, alla fine, vede vincere chi è più forte militarmente e non chi ha ragione. Lo scontro armato non solo causa una perdita di vite umane innocenti, ma indebolisce anche la forza morale di chi cerca giustizia attraverso le armi. Le armi oggi non rafforzano ma offuscano le ragioni dei più deboli. Espongono i civili a stragi e sofferenze.

Il ricorso alle armi, anche da parte di coloro che possono avere legittime rivendicazioni o ragioni, non solo mina la solidarietà internazionale, ma può anche rendere più difficile raggiungere una soluzione pacifica e duratura al conflitto. La comunità internazionale spesso si trova in una posizione difficile quando si tratta di conflitti armati che affondano le loro radici nella storia, poiché la spirale della violenza rende complicato stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Inoltre, la sofferenza e il dolore inflitti alle persone coinvolte nel conflitto sono devastanti e lasciano cicatrici profonde e durature.

Pertanto è fondamentale fermare il più presto possibile lo scontro armato e cercare vie di dialogo, di negoziazione e di pace come alternativa al ricorso alla guerra. L’illusione della violenza giusta, della guerra giusta e della salvifica distruzione del nemico è una delle più gravi distorsioni a cui stiamo assistendo.

La diplomazia e la cooperazione internazionale sono gli strumenti migliori per risolvere le controversie e affrontare le ingiustizie. In questo modo, è possibile costruire una base più solida per la solidarietà internazionale e promuovere la giustizia senza causare ulteriori sofferenze e distruzioni. La storia ci insegna che le soluzioni pacifiche spesso portano a risultati più duraturi e soddisfacenti per tutte le parti coinvolte.

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La politica terroristica di conquista territoriale di Israele e il conflitto attuale – Atilio Boron

 

Gli eventi che stanno sconvolgendo oggi Israele e la Palestina, con un tragico bilancio di vittime civili, suscitano dolore e compassione e, sfortunatamente, non sono sorprendenti. Gli attacchi lanciati da Hamas dalla Striscia di Gaza sono una risposta alla politica terroristica di conquista e di spoliazione territoriale perpetrata dal regime israeliano, con la complicità degli Stati Uniti e dei loro vassalli europei indegni, contro il popolo palestinese per decenni, in aperta violazione di innumerevoli accordi bilaterali e risoluzioni delle Nazioni Unite.

La crisi attuale non può essere interpretata o valutata senza tenere conto della brutale e sistematica violazione dei diritti umani subita dalla nazione palestinese per decenni per mano dei loro oppressori israeliani; violazioni che includono soprusi, imprigionamenti e persino omicidi di uomini, donne e bambini.

Si può apprezzare la gravità di questi crimini con i seguenti dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA). Nell’area occupata – in realtà invasa – da Israele, le forze armate di quel paese hanno causato la morte di 6.407 palestinesi e 152.560 sono rimasti feriti e lesionati in vario grado dal 1° gennaio 2008 al 19 settembre 2023. In contrasto, le vittime israeliane nello stesso periodo sono state 308 e 6.307 rispettivamente. L’enorme disparità tra morti e feriti da entrambe le parti parla eloquentemente della portata di questo genocidio perpetrato da Tel Aviv.

La crisi attuale, come tutte quelle che l’hanno preceduta, ha avuto una lunga gestazione. Gli atti di aggressione israeliana sui territori occupati e in particolare su Gaza sono di una crudeltà e disumanità straordinarie e sono sufficientemente noti da esimerci dal descriverli in questo scritto.

Gaza è stata definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo. In Cisgiordania, l’organizzazione delle Nazioni Unite precedentemente citata segnala in un altro rapporto che il 2023 è stato l’anno più sanguinoso nella lunga storia dell’occupazione israeliana: 36 bambini sono stati uccisi nel periodo che termina il 31 agosto.

Le provocazioni delle cosiddette Forze di Difesa Israeliane vanno di pari passo con molte altre perpetrate dai coloni, che con la complicità del governo israeliano, si sono trasformati in sinistri squadroni della morte che si assumono il compito di terrorizzare gli abitanti originari delle terre che stanno rubando.

Questa violenza, che ora registra una nuova esplosione, ha caratterizzato tutta la storia della Palestina fin dal momento in cui al suo popolo è stato negato il sacrosanto diritto all’autodeterminazione nazionale. In questo mondo, immerso nel vortice dell’irreversibile declino dell’esausto ordine mondiale del dopoguerra, è imperativo risolvere la questione della formazione dello Stato palestinese, estinguendo un debito che ha ormai 75 anni. Senza di ciò, la violenza non farà che crescere e diventare sempre più brutale.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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Conflitto israelo-palestinese: la violenza non risolve nulla! – Olivier Turquet

Sarà per alcuni banale ma in questo momento drammatico e di gran confusione, di escalation militare e propaganda credo sia importante ribadire un concetto semplice:

con la violenza non si risolve nulla!

Questa non è solo una mia affermazione ma una voce che si sta levando nel trasfondo di numerosi commenti che vediamo in giro, commenti di persone più o meno “autorevoli” secondo il sentire comune, persone che spesso per il loro coraggio a dire le cose non hanno tutto questo spazio nei media.

Di fronte a un conflitto, fermarsi alla congiuntura delle cose è un errore fatale: la nonviolenza analizza processi storici, dinamiche degli eventi. Quando già a partire dalla Prima Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza mettemmo tra le rivendicazioni il ritiro dai territori occupati certamente pensavamo alla Palestina, il territorio occupato da più tempo e con disprezzo crescente per le Risoluzioni dell’ONU; ma pensavamo anche a tutte le situazioni simili di violenza territoriale dove al sentire dei popoli si preferisce la realpolitik di turno; e sappiamo che ogni violenza scatena catene di altra violenza che si possono fermare solo con una decisa e lunga azione nonviolenta: questo perché tutte le azioni umane hanno conseguenze immediate e mediate e perché, come dice Silo in Umanizzare la Terra “gli atti contraddittori e unitivi si accumulano in te”.

Nel caso del conflitto israelo-palestinese esso deriva dalla pretesa di risolvere una terribile violenza con un’altra violenza e dalle successive azioni perpetrate per mantenere questo stato di violenza: i morti attuali, quanti essi siano e saranno, sono il prezzo che i popoli pagano all’insensatezza dei governi e delle organizzazioni internazionali costituite con la speranza di risolvere i conflitti internazionali; già da anni esistono soluzioni, esperienze di pacifica convivenza, associazioni che lavorano insieme. Queste esperienze, oltre a dover essere meglio conosciute, dovrebbero essere modello, trasformarsi in legge, essere il faro di riferimento.

Ugualmente dovremo spiegare, una volta di più, ai nostri amici e compagni che la violenza non ammette giustificazioni ed eccezioni. Possiamo discutere, approfondire sul diritto di replica, spesso invocato come giustificazione dell’invio di armi in Ucraina: “li attaccano, debbono difendersi”. Il diritto di replica è puntuale e tattico: è puntuale in quanto finisce nell’azione ed è tattico perché anche se faccio parte di un gruppo che è autorizzato alla violenza per un fine sociale (le forze di polizia, per esempio) io debbo esercitare quella forza nel modo meno violento possibile e solo per il tempo mecessario. L’educazione delle forze dell’ordine alla nonviolenza, come ricorda spesso Peppe Sini, deve essere una priorità dei nonviolenti. E sappiamo quanto le forze di polizia e gli eserciti siano lontani da questa visione.

Ma se non se ne vuol fare una questione ideale si può sempre ricordare a tutti coloro che pensano che una lotta armata possa risolvere i problemi che il monopolio dei mezzi di produzione delle armi è in mano agli attori e costruttori di questo sistema violento che aprono o chiudono rubinetti della tecnologia rispetto alle loro esigenze di mercato, non certo alle esigenze dei popoli. Se non si vuol riconoscere il principio ideale per lo meno riconosciamo la questione pratica: quanto si può resistere con le armi contro l’esercito meglio armato e organizzato del mondo? E, sopratutto, a quale prezzo dei propri cari?

Infine vorrei lanciare una proposta di differente analisi dei fatti in corso: esiste un processo generale di destrutturazione di sistemi, credenze, abitudini, certezze che si manifesta in modo sempre più crescente su tutto il pianeta; potremmo vedere quali elementi di questa destrutturazione giocano nel momento attuale e probabilmente scopriremmo che sono proprio i valori che sostengono la violenza che sono profondamente in crisi e che, sul punto di crollare, danno colpi di coda come un drago colpito dalle frecce dell’eroe, poco prima di stramazzare al suolo.

Faccio questa analisi anche con lo scopo di confortare chi vedesse in questa tragedia umana l’annichilimento dell’Essere Umano che è invece solito risvegliare le sue migliori qualità proprio nei momenti di crisi e di nonsenso.

Quindi rimbocchiamoci le mani di nobili lavoratori perché è un momento buono per costruire un nuovo mondo con nuove fondamenta.

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Senti questa.
    C’è un Paese aggredito e c’è un Paese aggressore
    Il Paese aggredito si difende.
    Secondo te i combattenti del Paese aggredito sono eroi della resistenza?
    Certo! Stai parlando dell’Ucraina spero

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