Intervista postuma ad Antonio Caronia
ripresa da un-ambigua-utopia.blogspot.it (*)
Antonio Caronia nel 1999 al centro sociale Leoncavallo
a) intervistatore radio onda d’urto: Cari radioascoltatori ci troviamo qui a Zurigo davanti al Moratorium Diletti Fratelli per intervistare il professore Antonio Caronia, (titoli), da poco scomparso e ricoverato qui in stato di semi-vita. Come tutti voi sapete lo stato di semi-vita è uno stadio di pre-morte, prima della cessazione definitiva di ogni attività cerebrale. Ma ecco qui il direttore Herbert Schoenheit von Vogelsang che ci potrà meglio descrivere l’attività del suo istituto.
b) direttore Moratorium: Oh, sì certo… ma attendete un istante che faccia preparare il numero 3054039-B che corrisponde appunto all’emerito professor Caronia che voi vi apprestate a intervistare.
a) Già! E non è stata cosa facile, cari ascoltatori, convincere il direttore a farci passare avanti alla lunga lista d’attesa degli amici, ex-studenti, ex-amanti, ex-colleghi e semplicemente curiosi, che hanno fatto richiesta di colloquio.
b) Bene, dicevamo, il Moratorium… ah! A proposito, avete già regolarizzato con la mia segretaria la procedura burocratico-amministrativa, vero?
a) Tutto fatto, e anche quel di più per la sua particolare attenzione…
b) Sì, sì, certo… va bene, non occorre dire… insomma allora ecco… il Moratorium è un’associazione filantropica senza scopo di lucro, spese a parte per la gestione ovviamente, che si occupa di tenere in vita, ops! In semi-vita i nostri cari defunti (sempre che si riesca ad intervenire in tempo col processo di congelamento) e permettere che possano colloquiare con i propri cari durante le momentanee resurrezioni appositamente indotte. Come penso sappiate già potrete conversare col vostro caro estinto tramite un dischetto di plastica da applicare sulla testa che si collega al sarcofago. Ovviamente nel vostro caso lo applicherete al microfono del vostro registratore. Avrete a disposizione 15 minuti, colgo l’occasione per ricordare a tutti gli ascoltatori che il tempo di semi-vita non è infinito, ogni risveglio accorcia il tempo di semi-vita e avvicina il momento fatale della dipartita assoluta.
a) Grazie direttore. Bene eccoci qua di fronte al sarcofago di plastica trasparente pronti a iniziare l’intervista. Professor Caronia, siamo della radio Onda d’urto, collegati con il nostro fedele e numeroso pubblico di ascoltatori.
c) Antonio: Allora buona sera a tutti e … Pascal. “Gli uomini sono così necessariamente folli che il non essere folli equivarrebbe ad esserlo secondo un’altra forma di follia”.
a) Grazie, come potete sentire cari ascoltatori, la causticità del professor Caronia è rimasta tale anche in stato di semi-vita. Comunque non le sembra che il suo essere sempre stato così ipercritico nella vita abbia potuto influire negativamente sulla capacità reattive dei suoi studenti, nel loro essere critici costruttivi, diciamo!?
c) . Ma credo che in questa fase sia bene abbandonare l’illusione che oggi critica significhi progresso, oggi critica significa prevalentemente demolizione. Non credo che si possa fare molto di più che una bella organizzata e precisa pars destruens. Lo dico in molti sensi e non soltanto figurati… e non vado avanti. Non soltanto figurati!
a) Ma non possiamo soltanto distruggere, è una visione pessimista, per non dire nichilista. Questo non porta a nessun futuro.
c) NO, NO, NO. (esclamazioni di Antonio ai tentativi di interruzione dell’intervistatore) Allora ti spiego, ti dico la mia via, io ho una via, certo, allora io lascerei da parte per un attimo il futuro, Il futuro verrà se saremo in grado di fare questo… questo capitalismo funziona con la messa al lavoro delle relazionalità, delle capacità linguistiche dell’immaginario di ognuno di noi, singoli. Per fare questo
a) Non la seguo… non può essere più chiaro?
c)Lo sta facendo benissimo questo il capitale, no? Il sistema produttivo lavora in questo modo, questa cosa in quanto tale implica il venir meno del futuro, si poteva fare il progetto se il capitalismo era classico, fino a che c’era una sfera della cultura dell’immaginario separata dal sistema produttivo, oggi è tutto dentro al sistema produttivo. Allora oggi l’unica cosa possibile da fare, secondo me, è quella di sabotare il sistema produttivo, sabotarlo in un senso semiotico, non in senso fisico, sabotarlo da questo punto di vista. Il capitalismo può valorizzare il linguaggio a una sola condizione, a quella di renderlo algoritmico, a quello di prendersi la sua sostanza logica e basta, a quello di prendere il suo schema, le sue strutture e passo dopo passo.., siccome il linguaggio è molto più ricco di questo, l’unica cosa che ci salva è questa, che nel linguaggio c’è lo scarto.
a) E quindi cosa occorre fare oggi?
c) Oggi la prima cosa da fare è ristabilire la pratica della differenza. Questo vuol dire sabotare dall’interno il capitalismo cognitivo. Affermare lo scarto e la differenza a livello del linguaggio, a livello linguistico
a) Intende dire, in altre parole, a livello creativo…
c) non usiamo il termine creativo perché si sono impadroniti una categoria che non voglio neanche nominare… ma è quello che sarebbe stato creatività se questi disgraziati non avessero preso questo termine per descrivere quello che fanno loro… E’ la costruzione, la valorizzazione della ricchezza del linguaggio contro l’algoritmicità, la processualità, la schematizzazione, il logicismo del capitale. Una volta che avremo… all’interno di quella piccola differenza, di volta in volta, ognuno di noi può farlo, per pochi secondi al giorno… in un’occasione
a) Ci faccia un esempio
c) quando abbiamo invaso la Borsa col professor Berardi, sono piccoli momenti, brevi momenti, all’interno di questi si che c’è il futuro, certo, perché lo hai ricostruito. Perché hai riconsiderato, hai riaffermato, hai mostrato, hai reso visibile la ricchezza del linguaggio come forma di vita (come diceva Wittgenstein) contro il linguaggio informatizzato del capitale. Contro la parte ripetitiva, automatica, logica del capitale. All’interno di questa cosa si riapre il futuro, certo, ma sino a che non siamo riusciti in qualche maniera a rendere più continue, più… intanto a moltiplicare queste esperienze di ricreazione della differenza, se non c’è una differenza, se dentro il reale non si apre una faglia, se non scorrono due strati geologici anche per pochi millimetri l’uno sull’altro, se le cose vengono lasciate alla processualità determinata dal sistema capitalistico non c’è modo di creare il futuro perché questo capitalismo ce lo ha ucciso il futuro. Allora non sarà un appello, che è bellissimo fare un appello al futuro, ma se le condizioni non ci sono, è molto difficile, allora bisogna che le nuove generazioni, i giovani, però anche noi, anche io che sono vecchio sto cercando di imparare a fare in questo modo, imparino come si può fare dei piccoli gesti di guerriglia, delle piccole esperienze di guerriglia linguistica comunicativa e creativa… all’interno di queste esperienze, per qualche istante, per qualche momento… si riapre la questione del futuro, poi si richiude subito
a) E perché?
c) perché ovviamente questo capitalismo è molto, avendo ormai inglobato dentro di se quasi la totalità delle attività, non è più il neocapitalismo, questi faceva le su merci, aveva la sua fabbrica poi controllava dall’esterno la cultura, ma … la critica di Adorno, Adorno era bravissimo… la critica di Adorno e Horkheimer, quel libro lì, lo pigliamo e lo buttiamo nel cesso, perché non serve più, perché descrive l’industria culturale com’era ai tempi del capitalismo classico, non c’è più un’industria culturale oggi, perché tutta l’industria è culturale, perché tutto l’immaginario è diventato il settore del capitalismo a più alta valorizzazione. I soldi si fanno con i software, con i programmi televisivi, questo è il motore del… Allora in questo tipo di capitalismo, finché funziona così com’è, il futuro non c’è, è inutile … sarebbe anche inutile dire torniamo indietro, mi metto come se le cose stessero come 50 anni fa e non si può fare perché non lo sono.
a) E allora cosa si può fare?
c) E allora cosa si può fare, non so io ho questa via, Io dico la mia. Io cerco di fare questo, di aprire, io e tanti altri, di aprire queste faglie, queste piccole differenze, e allora all’interno di questa cosa si riapre…, perché uno può guardarsi dall’esterno e si crea un doppio che non è più malevolo, che non è più il fantasma. Il capitalismo cognitivo non è nient’altro che il trionfo di Dracula, è il trionfo del lavoro morto che si erge sul lavoro vivo, questa è la questione, il lavoro morto comanda sul lavoro vivo finalmente non solo nelle 8 ore di lavoro, comanda sul lavoro vivo 24 ore al giorno in tutti i posti. E allora è quando il lavoro morto comanda sul lavoro vivo che bisogna imparare nuovi modi. Il nuovo modo per me è riuscire a praticare, a trovare, a fare l’esperienza della differenza, questa su cosa si basa? Io ho trovato questa cosa, non ne vedo altre, valorizzare la ricchezza e l’imprevedibilità del linguaggio contro gli automatismi linguistici del capitalismo. Dentro questa prospettiva allora sì posso esercitarmi, per breve tempo, a ricreare il futuro, ma non credo ci sia più un futuro globale, onnicomprensivo, contrapposto al presente o in continuità col presente. Questo vecchio modello del tempo è definitivamente tramontato, bisogna imparare a fare i progetti in questo modo nuovo, bisogna imparare ad essere creativi nel senso opposto a quello che diceva Platone, la vera creatività non è quella che imita la natura, è quella che apre gli spazi di possibilità nuove, inerenti a uno strumento così difficile, così affascinate, così pericoloso come è il linguaggio, ma come diceva Holderlin “soltanto là dove cresce il pericolo là cresce anche la salvezza.”
a) Grazie professore. Ora visto che abbiamo a disposizione ancora qualche minuto, vorrebbe raccontarci di quando è venuto per la prima volta in questa città, a Milano. La sua prima impressione…
Antonio risponde in un linguaggio incomprensibile
a) Accidenti non si capisce niente, ma cosa diavolo succede… direttore, direttore…
b) Eccomi, cosa c’è?
a) Non riusciamo a capire cosa dice.
b) Ah, già, ecco… il professore in questo momento sta parlando in lingua vegana, precisamente l’idioma di Vega 4.
a) E perché mai, com’è possibile?
b) Perché è in un momento di regressione, succede.
a) Regressione a che cosa?
b) Alla sua vera natura, alla sua reale identità. L’abbiamo scoperto analizzando le tracce lasciate dalla sua memoria antica. Il professore proviene da Vega, è venuto da giovane sul nostro pianeta come clandestino e ha assunto l’identità fittizia di Antonio Caronia. Il suo vero nome è Carl Emil Gaddà. Ma ecco che ha ripreso a parlare nella nostra lingua.
c) “Andate a veder mondo e paese! E modi e genti, torri e palazzi. Dietro la valle è il monte, e dietro il monte altra valle, e questa torre alta e lontana saluta con la sua guardia verso i fuochi occidui, e così fino al mare infinito, a cui tutti li fiumi decèdono. Ogni operosa bontà non può ignorare gli emuli sua: poiché se tu non li vedi, e’ possono aver fatto senza tu lo sappi cento volte quel che tu fai. Tu ti conclami di dover essere considerato maestro, e sei meno che lo scolare. Perché, da solitario maestro, hai fatto meno che l’ultimo delli scolari di quelli.”1
(*) Montaggio brani audio dalla conferenza http://www.palazzoducale.genova.it/eventi-2011-la-citta-della-fantascienza/
1 Gadda – Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus
Operazione nostalgia: c’ero anche io nella breve e pur straordinaria stagione di Un’ambigua Utopia. Devo avere da qualche parte una foto raffigurante me una delle due volte che mi sono recatoall’ufficio a Milan nel corso di un pranzo condiviso on il gruppo. Era presente tra gli altri il personaggio al quale mi sentivo più vicino, Bulgarelli.
Un’ambigua Utopia è stata una palestra letteraria che, fosse durata, avrebbe fatto da palestra per una diversa fantascienza, una fantascienza nello stesso tempo classica e con lo sguardo dato ai rapporti sociali, alla condizione umana e a quella del lavoro, che la condizione umana riassume e riproduce a un livello altissimo di concentrazione. Che poi è quel che manca alla letteratura speculativa tecnoscientifica. Avrebbe fatto quel che gli autori che si sono succeduti nel tempo si proponevano di fare, senza farlo: non certo con la profondità necessaria. Cioè mettere l’uomo al centro. Come però mettere l’uomo al centro senza porlo di fronte ai rapporti di produzione che lo facevano essere quello che era? La fabbrica, lo sfruttamento, il dominio dell’ideologia all’insegna del non ideologico, il comando capitalistico, la società come caserma ecc. Il singolo chiaramente non poteva. Avrebbe potuto forse un collettivo.
Il collettivo si è sciolto e la possibilità di un primo assaggio della letteratura del futuro, letteratura che andava di là della rappresentazione della tragica servitù darà dallepassioni umane è sfumata.
M. A. Migliaruolo
Finalmente l’audio di questa intervista è di nuovo in rete, la potete ascoltare qui: http://www.cantiere.org/5473/io-sono-vivo-voi-siete-morti-antonio-caronia-dal-moratorium-di-ubik/