Il Big Bang e Margherita Hack
di Sergio Mambrini
Non c’è dubbio che Leopardi abbia disvelato l’astrofilo che si nascondeva nel fondo dell’anima mia. «Che fai tu, Luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?». Questa interrogazione di un semplice pastore, diretta ma poetica, mi costrinse a piegare il capo all’indietro e a entrare nel misterioso mondo celeste e metafisico.
Che ci facevo io sul nostro pianetino? Quella di Leopardi
fu una richiesta rivolta a quell’altra, fuori di sé, che lo osservava muta, quasi supplica di un innamorato. La mia invece diventò un interrogativo a me stesso, audace e insistente. Ancora oggi, quando sono nel buio calmo della montagna, sono attratto dalla vaga immensità visibile della volta celeste. Sia che la scruti a bocca aperta e a occhio nudo, sia che usi il cannocchiale o il binocolo, la domanda rimane sempre quella: io, che ci faccio qui? Per cercare una risposta ho comprato anche una carta del cielo, ho letto alcuni libri di astronomia e astrofisica ma la domanda non ha mai trovato soddisfazione ovviamente.
Allora ho cambiato i termini della questione: da dove proviene la vita? e ho continuato a guardare all’insù per riflettere. Che spettacolo la luce nel cielo. Hops! Ho detto luce? Ecco quello che ho cominciato a mettere a fuoco: le stelle, le galassie che vedevo, per la mia mente non erano altro che la loro luce, cioè la loro energia. Hops! Ecco un altro bel salto. I corpi celesti non sono chiamati con questa parola a caso. I corpi, tutti i corpi, solitamente sono un fenomeno di materia vivente perché ne hanno ogni caratteristica: nascono aggregando atomi, molecole o cellule, poi evolvono e mutano spinti da altre forze elettro-magnetiche, si muovono nello spazio seguendo orbite necessarie, sono in continua relazione con altri corpi finché esauriscono tutte le loro funzionalità e cambiano stato emettendo un nuovo lamento. Le onde luminose scompaiono quando l’idrogeno produce l’elio che si scalda e si comprime. Ciò che ne vien fuori è il carbonio e l’ossigeno. Quando anche questi combustibili si esauriscono, le stelle esplodono in supernove e diffondono i loro elementi nello spazio per altre nuove stelle. Sembra il caos, invece è un nuovo ordine. Da dove sgorghi tutta l’energia necessaria per questi cicli, non l’ho capito. In effetti, non lo so proprio. Sta di fatto che tutti noi sembriamo generati da questa evoluzione.
A modo mio ho continuato a indagare e, proprio vent’anni fa, mi sono imbattuto in un libro affascinante scritto da un fisico americano, un tal Eric Lerner: «Il Big bang non c’è mai stato» (edizioni Dedalo – 1994 – seconda ristampa settembre 2008). Uno gnocco di quasi cinquecento pagine. Lo comprai per avidità di conoscenza ma non lo lessi per dieci anni. Quello che mi attrasse maggiormente fu l’assenza del punto interrogativo in quel titolo. Forse stavolta la Luna aveva risposto al caro Giacomo. Infine giunse il momento di leggerlo. Era l’autunno del 2004. In assoluto è stato il libro che ho più massacrato, massivamente. Le sue pagine adesso appaiono sottolineate con tratti a volte spessi, sia in orizzontale sia in verticale lungo il margine esterno, ovviamente per far risaltare i brani che ritenevo importanti. A fianco del testo ho aggiunto parole vivaci, commenti, frecce diritte e curve, punti di domanda ed esclamativi. Ho perfino cerchiato certe parole. Parole importanti? Sì certo.
Infine mi parve di capire perché l’universo sia sempre esistito. E’ un concetto che lo pone sempre in evoluzione, per sempre, senza alcun limite. L’universo non può avere avuto origine dal nulla o da un punto. In nessun luogo è stato osservato un evento così bizzarro. Non è il Big Bang ma sono i fenomeni della materia e dell’antimateria nel plasma che espandono lo spazio. Ecco, sì, l’ho detto! E’ la cosmologia del plasma di Hannes Alfvén, Nobel per la fisica nel 1970. E’ un principio dal quale si può dedurre, per via puramente logica, che l’insieme dei corpi celesti, lo spazio in cui sono distribuiti e i fenomeni che in esso accadono, appare senza un inizio e senza una fine, perciò non è prevista nemmeno la creazione. Il tempo quindi è come un cerchio, anche se la sua estensione è limitata. Del resto me l’aveva sempre detto anche mia nonna che «la vita l’è ‘na röda».
Quando finii di leggere quel pacco di fogli, mi accorsi che nella mia mente si erano aperte delle porte, ma le domande che mi facevo erano orribilmente aumentate, soprattutto i dubbi. Avevo trovato la conferma delle mie strampalate ipotesi, incompatibili nel comune modo di pensare, tuttavia Eric Lerner aveva agito come un corso d’acqua impetuoso che sa riempire i vuoti che incontra ma, nello stesso tempo, sradica e sconvolge ogni resistenza, compresi gli argini che regolano lo scorrere normale delle acque. Così mi trovai a costruire un nuovo pensiero ma anche a confrontare le mie certezze con le affermazioni più indisponenti, scritte dallo scienziato solo per attirare l’attenzione su di sé, forse. Anche questo era possibile.
Così passarono gli anni e i miei dubbi si bilanciarono con le nuove scoperte che avevo fatto. Tentai di cercare altre conferme, ma ne trovai soltanto tra i filosofi e in un libricino di Margherita Hack («Dove nascono le stelle» – Sperling & Kupfer editori – giugno 2005). A pagina 178 lei scrive: «E’ difficile ammettere che da un punto sia scaturito un universo infinito. E’ più accettabile ammettere che sia stato sempre infinito nel tempo e nello spazio». Passarono altri cinque anni, fintanto che ricevetti una telefonata dalla segreteria del Festivaletteratura. Era domenica dodici settembre 2010. Prenotarono al mio ristorante una cena proprio per Margherita Hack e suo marito. Dovete sapere che già da troppi anni gestisco un ristorante dove si mangia tutto biologico e, perché no?, anche diversi piatti vegetariani. Nel pomeriggio cercai a casa il suo libro e compilai un foglio con una serie di considerazioni e una domanda finale. Forse adesso avrei potuto dialogare direttamente con lei. Personalmente ero abbastanza emozionato. Chi ero per discutere con una donna di scienza così autorevole e popolare, allo stesso tempo? Per una volta tentai di non ascoltare il mio “grillo parlante” e mi avviai a riceverla. Arrivò appoggiandosi al braccio di un volontario del festival. Camminava con passo incerto aiutata da un bastone. La accolsi col cuore gonfio e le parole in bocca si aggrovigliarono impedendomi di parlare. Riuscii a sbiascicare “benvenuta” ma la mia voce restò sommersa dagli applausi che tutti gli altri clienti, dritti in piedi, le stavano tributando come necessaria ammissione di merito. Lei sorrise con quell’espressione simpatica che la caratterizzava. Appena seduta al tavolo ci fu una processione di persone per stringerle la mano, che lei porgeva con graziosa semplicità. Infine afferrò il menù per consultarlo e mi rivolse lo sguardo per interrogarmi sulla nostra tipicità dei piatti. Sapevo che era vegetariana dalla nascita, pertanto la guidai nel percorso di scelta. Sbrigate le incombenze del servizio le portai il suo libro per chiederle di autografarlo. Mi chiese il nome guardandomi dritto negli occhi. Fece la firma ma capì subito che c’era dell’altro. Trassi i miei appunti e le chiesi se la disturbavo con le mie rogne. Sorrise affabile e m’incoraggiò con la sua schietta toscanità. Le citai Eric Lerner ma subito dopo lasciai stare ogni altra considerazione e le chiesi direttamente se l’espansione dell’universo si spiegasse soltanto con il Big Bang. La Hack si fece seria e mi rispose come se parlasse con un suo pari, però usando un linguaggio di una semplicità disarmante. Mi spiegò che oggi sappiamo cos’era l’universo fino a quindici miliardi d’anni fa, ma non abbiamo notizia di com’era prima. Ma c’era stato un “prima”? E se c’era perché e come ha avuto origine? Disse che la nostra scienza tenta di rispondere anche a molte altre domande che si pone. Stimava che ogni dieci giorni ci fosse una nuova scoperta. Poi mi parlò delle grandi esplosioni nell’universo che generano tutti gli elementi conosciuti. Sono sostanze scaraventate nello spazio tra le stelle, precisò, dove arricchiranno altri materiali con cui si formeranno nuove stelle e i loro pianeti. Nell’universo c’è instabilità, concluse. Il Big Bang non è altro che una fase di espansione che ha prodotto in miliardi di anni l’universo che osserviamo oggi.
La ascoltavo muto, senza interromperla. Quando capii che aveva terminato la propria esposizione, mi spinsi a chiederle una foto insieme. Oggi, mentre guardo in suo sorriso schietto nello stringermi la mano, piego il capo all’indietro e scruto il cielo. Su quale stella sarà adesso Margherita Hack?
NOTARELLA
Mi ero perso il titolo originale, così a memoria avevo ricostruito “Io, Giacomo, Margherita e il Big Bang”; ma l’autore mi ha tirato le orecchie (e la memoria): ora il post ha il suo titolo. (db)