Io maruchen, il primo marzo, Rio Sanguinario…
Mi chiamo Daniele e sono un «maruchen» (un migrante interno, romano per l’esattezza) come molto spesso mi sono sentito dire da quando – oltre 16 anni – vivo a Imola: quel «maruchen» mi è stato rivolto spesso con ironia ma qualche volta con ostilità. Mi sto impegnando con altre-i perchè si parli dell’annunciata «giornata senza migranti», il 1 marzo 2010 e mi piacerebbe che su Sabato sera on line se ne ragionasse fuori di ipocrisie.
Do il mio piccolo contributo alla discussione partendo da due frasi che ho sentito in questi giorni mentre distribuivo volantini: «ma qui il razzismo non c’è» la prima e «gli immigrati in Italia sono trattati bene, non come quando emigravamo noi» la seconda.
Sul primo punto mi chiedo se chi non vede il razzismo italiano sia cieco o in malafede. Purtroppo in questi anni è cresciuto, sino ad arrivare nell’agosto scorso a sfoderare un pacchetto di leggi che (con il pretesto della sicurezza) introduce un aperto razzismo istituzionale che si affianca e dà manforte a quello «dal basso» che purtroppo esiste e non riguarda solo Lega Nord o Forza Nuova. Se mi si obietta che in Emilia-Romagna sia meno… posso discuterne; se però mi si dice che da queste parti razzismo non c’è … sono incerto fra ridere e piangere. Esiste purtroppo anche un razzismo «democratico»: sembra una contraddizione e infatti dovrebbe esserlo. Ma non è più così purtroppo, come spiega bene Giuseppe Faso nel suo «Lessico del razzismo democratico» pubblicato e ora ristampato in una nuova versione da Derive Approdi: a proposito, lo presenteremo il 13 marzo qui a Imola.
La seconda frase («ma questi sono trattati bene, non come noi quando migravamo») mi amareggia. Verissimo che gli emigrati italiani furono discriminati, sfruttati, insultati: se fossimo un Paese serio, a scuola si studierebbe «L’orda» di Gianantonio Stella magari seguito da «Pane e cioccolata», un impressionante film di Franco Brusati con il grandissimo Nino Manfredi («maruchen» anche lui). Non è proprio vero invece, l’ho scritto prima, che gli immigrati oggi sono accolti bene. Se così fosse – se cioè la maggioranza degli italiani trattasse i migranti da lavoratori, da esseri umani, dunque «bene» – dovremmo solo essere orgogliosi di non vendicarci per quello che abbiamo subìto in passato. Invece c’è chi – spesso l’ho sentito anche da persone che certo non hanno la villa e il conto cifrato all’estero – dice: «noi abbiamo sputato sangue e ora tocca a loro». Che schifo di mentalità. A guadagnarci sono soltanto i padroni e i parassiti, ben felici oggi di contrapporre gli italiani agli extracomunitari come ieri mettevano tedeschi, belgi o svizzeri contro i nostri emigrati ma anche i piemontesi o i lombardi contro i «terroni» saliti al nord. A proposito, il razzismo anti-meridionale cominciò a sgretolarsi quando negli anni ’60 e ’70 i lavoratori si unirono per difendere i loro diritti e conquistarne di nuovi: quella lezione vale per l’oggi. Non c’è altra via.
Ho nominato prima Giantantonio Stella. Il suo ultimo libro (molto letto, evviva) si intitola «Negri, froci, giudei: l’eterna guerra contro l’altro». Ne caldeggio l’acquisto, il prestito o la lettura in biblioteca (i libri costano molto, purtroppo). Sapete perchè il fiumiciattolo che scorre tra Imola e Faenza si chiama Rio Sanguinario? Stella lo spiega (alla fine del quinto capitolo): una pagina di «storia italiana» e un esempio da manuale di memoria rimossa.
Quanto al diffuso «non sono razzista ma» (dove in quel «ma» c’è tutto) allego a questa mia lettera un bel testo che a giugno 2009 è uscito dall’associazione «Luogo comune» di Faenza; auspico che gli imolesi lo leggano con attenzione anche se fra noi e Faenza c’è di mezzo… quel Rio Sanguinario.
Chi vuole conoscere le ragioni della nostra mobilitazione vada su www.primomarzo201o.it oppure se vuole chiacchierare con noi qui a Imola è sempre benvenuto: ai volantinaggi (abbiamo un bel banchetto giallo, ci si nota); alla cena con letture e video del 21 febbraio (ore 18-22 all’Altro Caffè); all’incontro del primo marzo (ore 19 alla Palazzina di via Quaini).
Daniele
non commento tutto ció che riguarda il razzismo, sono figlio di emigrante interno (calabrese) e questo argomento ha i suoi chiari scuri che non si possono bollare con un semplice “razzismo all’italiana” poiché vi è da qualche tempo una forte xenoeisvolí ( invasione sraniera) che con molta arroganza non rispetta le regole e le abitudine degli autoctoni , con troppa veemenza,li costringe alla xenofobia e quindi a un razzismo pauroso e difensivo, spero che non abbia mai a sfociare in uno di quei massacri ciclici storici che sempre sono avvenuti in tutte le ere! il rio sanguinario é a tutti gli effetti uno di questi luoghi storici che fin dall’antichitá piú remota é stato teatro di immani sfracelli proprio per questioni di tutti i tipi , la sua conformazione ( del rio) che passa tra due collinette , in uno scenario fino all’700-800, paludoso da un lato della via emilia e a sud terreni impervi, costringevano tutti al passaggio solo tra punti ben precisi,quindi li facilmente attaccabili. il perché del suo nome,deriva da una somma di motivazioni che la volontá popolare ha riunito sotto quel sanguinario,che spiega non tanto il colore del faghiglia o del sangue delle varie stragi o le macellazioni degli animali che lo tingeva,ma quanto che a quel rio il sangue lo si spargeva! anni fa nella biblioteca faentina ebbi a leggere un documento storico andato oramai perso, raccontava della guerra combattuta tra faventia e forum corneli (faenza e imola) , citava che i faentini stanchi degli assalti delle truppe imolo-bolognesi che dalla base di castel bolognese (enclave bolognese) attaccavano continuamente e ripetutamente , tutte le difese , i faentini quindi sbaragliate le forze della cittadella incalzavano le truppe nemiche fino al rio, che allora era definito “bovario” e li sterminarono le truppe imolesi e i loro alleati.{ un consigliere del signore di faenza,gli disse:”sire se mandi il solo araldo a piantar bandiera aldilá del rio , forum corneli, di faventia apparteneza sará , nessun ve ne é piú difensore per certo “ma il signore rispose:”quella é terra d’emiliae,io sono delle romagne figlio,per le mie terre combatto e a casa ora torno!” } sancendo cosí il confine controverso tra emilia e romagna all’atezza della via emilia.