«Resisti, mio popolo, resistigli, resisti ai furti dei coloni e segui il corteo dei martiri». Per una corte israeliana questi versi, scritti dalla poetessa palestinese cittadina israeliana Dareen Tatour, equivalgono a incitamento alla violenza e sostegno a organizzazione terroristica. E l’ha condannata alla prigione, guarda caso nella giornata mondiale della libertà di stampa.
La poesia era il sottofondo a un video che mostrava immagini di raid dell’esercito israeliano e lanci di pietre da parte di manifestanti palestinesi, simbolo da decenni della resistenza popolare all’occupazione. Tatour era stata arrestata pochi giorni dopo e posta ai domiciliari. Ieri il verdetto: 52 pagine per dimostrare che citare i «martiri» (in arabo shaheed) è violenza.
A sua difesa è stato chiamato un esperto di lingua araba, Yonatan Mendel: se il martire, ha detto, nella narrativa palestinese è una vittima, in quella israeliana diventa aggressore. Non è servito: dopo la condanna, adesso si attende la pena che può andare da nove mesi a cinque anni. Per una poesia.