«Ius soli temperato»: vincono i razzisti e i quaquaraquà
I numeri e la viltà: un dossier di Domenico Stimolo
Dunque, la pallina della roulette denominata “diritti di cittadinanza – Ius soli temperato” si è fermata. I croupier che, ansimanti, affollavano il tavolo, hanno decretato la fine del “gioco”. Tutto viene rimandato a settembre, come se si fosse agli esami di riparazione scolastici. Dopo la pausa estiva, poiché la “calura” non gioca a favore dei bambini e dei ragazzi detti con disprezzo stranieri, per quanto italiani di fatto.
Così affermano gli addetti ai lavori. Invece, sembra proprio che il richiamato settembre sarà molto lungo. Con il palese rischio che i diritti di cittadinanza dei nuovi italiani (di fatto però mai ufficializzati) vengano rinviati a data da destinarsi. In molti, della rappresentazione politica e dell’informazione, affermano che la fase è cambiata, sulla testa dei ragazzi ufficialmente non italiani.
Parliamo di nati in questo “patrio” suolo da cittadini non italiani – di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente (per extracomunitari) o del permesso di soggiorno UE di lungo periodo, almeno 5 anni – o in alternativa di nati in Italia o residenti in Italia dal 12° anno di età purché abbiano frequentato regolarmente corsi scolastici di istruzione per almeno cinque anni o corsi di formazione professionale triennali o quadriennali, con esito positivo, idonei a ricevere una qualifica professionale. Nel primo caso etichettati con “Ius soli” e nel secondo con “Ius culturae” . Così recita la proposta di legge. Quindi viene finalmente rimosso l’anacronistico “sacrale” di riferimento, di stampo imperiale del requisito: sangue indigeno, ereditato della stirpe (“Ius sanguinis”).
L’acquisizione della cittadinanza italiana, recita altresì la proposta legislativa, non è automatica. Avviene dietro esplicita richiesta da parte di un genitore, entro il compimento del 18° anno di età.
I dati 2017 del MIUR (ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) sono molto significativi sulla realtà in essere. Nell’anno scolastico 2015/2016, i bambini e i ragazzi in età scolare “stranieri” – di cittadinanza non italiana – presenti in tutte le gerarchie dell’istruzione sono circa 814.851, pari al 9,2% della popolazione scolastica complessiva. Le alunne sono il 47,96 per cento. All’atto della definizione delle vigente legge sulla cittadinanza – l’anno scolastico 1991/1992 – erano complessivamente circa 15.000. Una crescita lenta ma costante. L’incremento significativo, in rapporto con i flussi migratori – aumento delle aree di crisi e dei Paesi dell’Unione europea – è avvenuto a partire dall’inizio degli anni 2000, in forma corrispondente con quanto avvenuto nell’area europea. Negli ultimi cinque anni gli studenti italiani sono diminuiti del 2,3% (meno 193.000) mentre gli studenti non italiani sono cresciuti di 59.00.
E’ questa la distribuzione degli studenti senza cittadinanza italiana nelle varie gerarchie scolastiche: scuola dell’infanzia : 166.428, il 10,4% del totale; scuola primaria: 297.000 bambine/i, pari al 10, 6%; secondaria di primo grado: 163.613, ovvero il 9,4% del totale; secondaria di secondo grado: 187.525 pari al 7 % del totale. Nella graduatoria della distribuzione geografica nelle Regioni italiane, nelle prime quattro realtà territoriali ecco gli studenti senza cittadinanza: Lombardia (203.979), Emilia Romagna (96.213), Veneto (91.853), Lazio (77.109).
Come evidenziato prima, nel quadro generale della proposta di legge congelata nel Senato della Repubblica, ai fini del riconoscimento della cittadinanza è previsto in maniera vincolante per i genitori il permesso di lungo periodo, sottoposto a quattro precisi requisiti: almeno 5 anni di soggiorno valido; reddito non inferiore all’assegno sociale, cioè 5824 euro anno; residenza in una casa appropriato con le norme di legge in materia; superamento di un test della lingua italiana.
Quindi, i giovani “stranieri” interessati – per ora emarginati senza cittadinanza – sono figli di profughi/migranti residenti in Italia ormai da molti anni.
E’ bene specificare che nel 2016 i cittadini “stranieri” aventi dimora abituale e continua in Italia sono 5.026.123, pari a 8,3% della popolazione residente. Nella distribuzione di provenienza le presenze più rilevanti sono: Romania: 1m.151 mila, Albania: 467 mila; Marocco: 437mila; Cina: 271mila; Ucraina: 231mila; Filippine: 166mila; India: 150mila; Repubblica Moldova: 142 mila. Sul piano generale sono rappresentati tutti i Paesi di Gaia Terra: il 43% proviene dall’Europa centro-orientale, il 30% dall’Africa, il 17% per cento dall’Asia.
Dai dati ISTAT (2° trimestre 2016) si evince che complessivamente «la popolazione straniera in età di lavoro» – UE ed Extra Ue – è di circa 4.125.000 persone, di cui 2.409.052 occupati in lavoro regolare (811 mila Nord-Ovest; 616 mila Nord-Est; 622 mila Centro; 358 mila Mezzogiorno) con 425.077 persone in cerca di lavoro e 1.291.178 non occupati. E’ ben noto che la componente più rilevante svolge attività lavorativa nell’articolato settore dei Servizi, dato che molti di questi lavori sono stati “abbandonati” dagli italiani. Infatti i dati ISTAT sulle attività numericamente più consistenti mettono in evidenza che circa il 40% dei “non italiani” svolgono attività in “altri servizi collettivi e personali”, il 16,8% in “alberghi e ristoranti”, il 17,1 in “agricoltura, caccia e pesca”, il 16,9% nelle “costruzioni”, il 12,8% in “ attività imm. Servizi alle imprese, etc”, il 9,5% in “ trasporti e immagazzinaggio”, il 9,1 in “ industria”, il 7,2% in “commercio”. Inoltre una consistente quantità di persone svolge attività autonoma.
Nel 1° semestre 2016 in Italia, sul totale dei nuovi occupati di 15 anni e oltre (1.302.050 unità), il 15,3% cioè 198.749 sono cittadini non italiani; di questi il 45,6% ha meno di 35 anni. Il 58,1% ha un contratto a “tempo determinato”, il 26,4% a tempo indeterminato, il 15,5% svolge attività autonoma. Di questi nuovi lavoratori il 74% ha qualifica di operaio, il 9,5% di impiegato. Riguardo il possesso di titolo di studio è bene evidenziare che la licenza media è posseduta dal 54,5% degli “extra-comunitari” e dal 34,1% dei comunitari; per il diploma il 36,3% sono “extra” e il 59,4% comunitari; per la laurea: il 9,1% sono extracomunitari, il 6,5% comunitari.
C’è anche l’altro lato della medaglia. Nel 1° semestre 2015 hanno complessivamente perso il lavoro 858.245 persone. Di questi 60.152 sono extracomunitari, 42.142 comunitari. Dei lavoratori non italiani il 37,4% è stato licenziato, il 47,3% per lavoro a termine. Chi perde il lavoro non ha più i requisiti per riavere il permesso di soggiorno, entra in un terribile inferno finalizzato all’espulsione.
Dunque il contributo al tessuto produttivo, economico e sociale dei lavoratori “non italiani” è imponente. Un apporto assolutamente vitale e indispensabile sul piano globale e per molte attività, condannate irreversibilmente al declino e alla cancellazione in caso diverso, specie per i servizi di assistenza alle persone.
Continuare a privare della cittadinanza italiana i figli e le figlie di questi lavoratori, nati, cresciuti, istruitisi in Italia, coesi e socializzati con i cittadini in generale, italiani di fatto, senza la conseguente acquisizione dei diritti civili, sociali e politici, e dei doveri, – previsti dall’ampio ventaglio delle leggi vigenti nel nostro Paese e in linearità con i princìpi fondamentali della nostra Costituzione, in coerenza con quanto avvenuto nella gran parte dei Paesi europei – è un atto inaccettabile di discriminazione, di vigliaccheria civile.
Non è più permessa la parte dell’ignavo, negletto delle virtù civili, che guarda esclusivamente al proprio egoistico tornaconto personale o corporativo di fazione o consorteria, così come avvenne in Italia con le leggi discriminatorie e persecutive dei cittadini di religione ebraica, emanate dal regime fascista nel 1938. Allora i più, vilmente, si turarono gli occhi e le orecchie contribuendo a consegnare gli ebrei nelle mani degli assassini.
Per la definizione della Legge: il pubblico iter è iniziato cinquantadue mesi addietro, il 13 marzo 2013, con la presentazione alla Camera dei Deputati della Proposta DI Lello ed altri: “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”. Quindi, dopo il passaggio nelle varie Commissioni pertinenti, l’approvazione in data 13 ottobre 2015.
Alla stessa data la Proposta di Legge è trasmessa al Senato. Il testo originario è stato significativamente modificato, in particolare sulla durata necessaria (incrementata) del permesso di soggiorno di un genitore e sulle modalità (peggiorative) richieste per potere avviare il riconoscimento della cittadinanza dei figli. Nel merito, è stato trascritto come «Atto Senato n. 2092». Dopo le varie letture parlamentari e la discussione nelle varie Commissioni consultive in sede di Assemblea (15 maggio 2017) è stato fissato il termine per la presentazione degli emendamenti: 15 giugno 2017.
Quindi il “congelamento” in atto.
Le cronache, ampiamente divulgate specie nel corso degli ultimi giorni, danno a tutti il polso reale della situazione. Non servono ricostruzioni e dettagli di merito sugli equilibri parlamentari e sulla sensazione interpretativa che aleggia fra i cittadini, essenzialmente basata sulla confusione diligentemente propagandata.
La dinamica è molto chiara. In particolare sui posizionamenti dei partiti – grandi e piccoli – poiché palesemente esplicitati, in diversi casi in maniera più o meno contorta e ambigua. Un dato è certo: i variegati schieramenti della destra, estremistici o di “centro” come quelli che con artifizi retorici si proclamano artificiosamente “né di destra, né di sinistra” non vogliono rendere operativa la proposta di legge.
Tace, essenzialmente e incredibilmente, il grande ed articolato mondo delle organizzazioni sociali che costituiscono il nerbo democratico dell’Italia. In particolare rimane silente e inerte la gran parte delle strutture civili, associative, sociali, sindacali e politiche che nel 2011 hanno promosso, in maniera molto partecipata, attiva ed incisiva, la campagna “l’Italia sono anch’io”, per i diritti di cittadinanza.
Di fatto la proposta di legge giacente in Senato è stata lasciata sola!
In queste ultime settimane i clamori “recitati” in diverse piazze sono stati monopolio delle organizzazioni estremiste di destra. Manifestazioni scarne, prive di significativa partecipazione. Però, ampiamente amplificate nella benevole diffusione degli organi di informazione televisive e cartacee. I “grandi”, i veri artefici del gioco, travestiti anche artificiosamente da templari della solidarietà umana, stanno in seconda fila, mestando nel pentolone che avvelena continuamente in maniera più o meno subdola le coscienze dei cittadini.
Mentre monta l’ignobile canea contro questa Proposta di Legge, i “diversi” – profughi e migranti che fuggono da guerre, carestie e disastri ambientali – e il “gioco” si fa sempre più sporco e duro, i cento filoni che costituiscono l’articolato mondo della sinistra, più o meno trasfigurata, di associazionismo civile e sociale, rimangono inoperosi rilasciando, in alcuni, solamente dichiarazioni verbali o scarni comunicati stampa. Di fatto in maniera ignominiosa si abdica al proprio ruolo storico di difesa dei valori fondativi costituenti la nostra democrazia, di rigetto degli attacchi razzisti e fascisti, di aggregatore culturale e operativo per milioni di cittadini che ancora rappresentano il nucleo vitale della democrazia italiana i quali, sgomenti, assistono a questa disfatta. Molte persone vorrebbero agire, manifestare indignazione con grandi iniziative nelle proprie città. Non sanno come farlo. Nessuno li chiama! I tanti “Soggetti politici” potenzialmente proponenti sono impelagati nello loro trame. Gli altri attendono totalmente inattivi ai fini di creare una vigorosa rete nazionale che possa riprendere le trame di “Italia sono anch’io”.
Una situazione drammatica, di grande allarme per gli uomini e le donne che hanno a cuore la tenuta democratica del nostro Paese, specie per le bimbe e i bimbi, le ragazze e i ragazzi che dovrebbero alfine beneficiare dei contenuti della Proposta di Legge, per essere cittadini a tutti gli effetti.