Kempf e il male… capitale
di Gian Marco Martignoni
Dopo il successo editoriale ottenuto in Francia con il pamphlet “Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta” , il discorso del giornalista (di Le Monde) Hervè Kempf si fa ancora più esplicito e convincente nel recente libro emblematicamente intitolato “Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo”.
Se si considera che Kempf confessa di non essere mai stato marxista, ammettendo però che “non esiste più un pensiero totale”, il suo contributo deve essere inquadrato nella crescita di una consapevolezza globale attorno alla distruttività intrinseca al vigente modo di produrre e consumare fondato sull’accumulazione privatistica delle risorse.
Innanzitutto i dati ben sintetizzati nel terzo capitolo (“Il miraggio della crescita verde”) sono essenziali per comprendere le cause del mutamento climatico in corso e liquidare quel “feticismo tecnologico” che contraddistingue la corrente degli economisti sostenitori della “ crescita allo stesso ritmo del XX secolo”.
Feticismo tecnologico macroscopicamente messo a nudo dal disastro del Golfo del Messico causato dalla British Petroleum, nonché, a proposito dei rischi connessi al nucleare, dalla recente e tragica vicenda giapponese di Fukushima.
Inoltre, come è noto, vaste aree di foresta primaria devono lasciare spazio alla produzione di biocarburanti, ma l’inquinamento prodotto dallo sfruttamento delle sabbie bituminose nell’Alberta, una provincia dell’ovest canadese, non riguarda solo le piogge acide nel lontano Quebec, bensì ha un impatto di carattere mondiale..
Allo stesso modo appare folle l’idea di seppellire nel sottosuolo l’anidride carbonica, attraverso la tecnica della cattura e dello stoccaggio del Co2, poiché la stessa a sua volta ha l’effetto di rimandare una quantità quasi analoga in atmosfera di biossido di carbonio.
Tracciato questo quadro fosco sulle prospettive ecologiche del pianeta, le analisi di Kempf si rivelano acute anche per quanto concerne le tendenze che contraddistinguono il capitalismo, in quanto sulla scorta delle intuizioni di Thorstein Veblen, contenute nella “Teoria della classe agiata” e contaminate con il miglior pensiero critico, coglie come il prevalere dell’individualismo possessivo scardina sia l’azione collettiva che lo spirito di solidarietà, mentre la valorizzazione del capitale per via finanziaria, fondata sulla cartolarizzazione speculativa dei debiti, produce una diffusione della corruzione che accompagna l’espansione dell’economia criminale.
Peraltro la degenerazione dei costumi e dell’etica determinati dalla corruzione diffonde nell’opinione pubblica l’idea che “chi è più astuto gode di più stima di chi è onesto”, così come il profitto e il guadagno anteposti a qualsiasi considerazione sociale conducono la società verso i lidi di un pericoloso conservatorismo “senza cervello”. Poiché la tendenza a mercificare i cosiddetti beni comuni non può che aggravare ulteriormente le condizioni di sopravvivenza del pianeta.
Non a caso Kempf, riprendendo il contributo di Andrè Gorz, è convinto che il destino di una società più sobria, che è l’orizzonte in cui si inscrive la sua riflessione propositiva, dipende dalla “forma civilizzata o barbara che assumerà l’uscita dal capitalismo”, nonché dalla scelta fra logica della cooperazione e quella della rivalità concorrenziale tra nazioni e più in generale nella società.
Anche e soprattutto in una fase di transizione con la predominanza della cooperativa come forma giuridica d’impresa.
Poiché quello che serve, e non si può che condividerlo, è una nuova organizzazione delle relazioni sociali e produttive, unitamente alla riduzione dei consumi materiali e al cambiamento del modello energetico del pianeta e delle abitudini alimentari prevalentemente occidentali, in quanto se un chilo di carne richiede uno sforzo produttivo pari a quello necessario per sette chili di cereali, la riduzione drastica del suo consumo avrà una incidenza notevole sui mutamenti climatici.
HERVE’ KEMPF
“Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo”
Garzanti
pagg. 148, euro 14
Deve essere sicuramente un ottimo libro, anche se per molti di noi alcune delle tesi qui sinteticamente esposte sono delle ovvietà… ma meno male che escono libri così!
Grazie
L’autore, cioè Gian Marco Martignoni, mi segnala che il titolo corretto del libro di Thorstein Veblen è “La teoria della classe agiata”.