Kivu (Congo): Douce, giornalista e attivista
di Filippa Rogvall (*)
La seconda guerra del Congo finì nel 2003, almeno sulla carta. Ma nonostante la tregua Douce Namwezi N’lbamba, allora quindicenne, continuava a vedere attorno a sé bambini reclutati come soldati. Il desiderio di contribuire al cambiamento l’ha portata in radio.
Avendo l’opportunità di essere coinvolta in un programma radiofonico mirato a scoraggiare bambini e giovani dall’unirsi a gruppi armati, prese l’occasione. Non molto tempo dopo diventò una presentatrice radiofonica vera e propria.
Oggi, Douce Namwezi N’lbamba ha 26 anni: oltre ad essere una giornalista è una delle forze motrici di Afem (Association des Femmes des Médias du Sud-Kivu – organizzazione per i diritti delle donne e per la pace).
«Quando lessi di Afem e della loro visione ne fui impressionata e decisi di unirmi a loro immediatamente. Ho sempre sentito di avere una grande responsabilità nel ruolo di produttrice di programmi: io sono quella che scrive il testo e parla alla radio, sono anche quella che può portare il cambiamento. Non possiamo essere solo giornaliste, dobbiamo essere attiviste» dice Douce Namwezi N’lbamba.
Il suo giornalismo è mettere in luce le storie delle donne. Allo stesso tempo, lo vede come opportunità di monitorare le azione dei politici e dei decisori, di influenzare e contribuire al cambiamento. Ma far sentire la tua voce come giornalista in un Paese in cui alle donne tradizionalmente non è permesso parlare è stata un’ardua sfida. «Ci si aspetta da me che io mantenga il silenzio sulla continua oppressione delle donne, perché è considerato vergognoso il parlarne. In Congo, i media sono stati a lungo un privilegio degli uomini. Solo gli uomini hanno il diritto di essere ascoltati e di avere opinioni. Io cerco di portare più donne in onda, per dimostrare che uomini e donne pensano e hanno opinioni allo stesso modo. Non è il sesso di una persona a essere determinante per questo».
Secondo Douce Namwezi N’lbamba, i media nazionali non riportano granché sul modo in cui le donne sono investite dai conflitti, come quelli che circondano il commercio di minerali nella Repubblica democratica del Congo, e come ne soffrono. Se cerca di parlarne con i colleghi maschi la ignorano. Le donne giornaliste sono viste un po’ come criminali: «Incontro un mucchio di persone a cui non piace quel che faccio. Mi vedono come un bersaglio facile. La gente mi dice che sono una donna cattiva e che dovrei tenere la bocca chiusa. Una “donna cattiva”, in Congo, è una che non è a casa a cucinare e partorire bambini. Poiché non gioco stando alle regole dettate dalla società, molta gente si sente oltraggiata. Allo stesso tempo, ci sono molte persone che sostengono me e quel che faccio, il che è un’importante forza motivazionale».
Ci sono molti ostacoli da superare per migliorare i diritti umani delle donne in Congo, spiega Douce. Uno è la legislazione, poiché numerose leggi contribuiscono alla discriminazione delle donne. Nel 2013, Afem presentò un memorandum al Parlamento nel tentativo di cambiare il Codice di famiglia che, fra le altre cose, riduce il diritto ereditario delle donne. Da allora, alcuni articoli della legge sono stati riscritti, come quello che obbligava la moglie a seguire il marito ovunque costui volesse andare: ora può scegliere se seguirlo o meno. Afem è ancora in contatto con membri del Parlamento che hanno fatto proprio il memorandum e una seconda discussione sul Codice di famiglia si terrà presto in Senato.
Sebbene Douce Namwezi N’lbamba dica di vedere piccoli miglioramenti nello status delle donne, lei stessa attesta che il progresso è troppo lento. Negli ultimi dieci anni, comunque, il numero delle donne giornaliste è aumentato in modo significativo e sempre più donne reclamano i propri diritti, anche se per fare ciò devono contrastare tradizioni e cultura. Esse diventano poi modelli per altre donne.
«Io sogno un mondo di eguaglianza di genere, dove uomini e donne hanno accesso agli stessi diritti politici ed economici, in cui l’eguaglianza è realtà e non solo un concetto scritto nelle dichiarazioni politiche».
Il sostegno di “Kvinna till Kvinna” è importante per Afem, ricorda Douce: «Fra le altre cose, ci ha permesso di andare a lavorare nella remota area di Shabunda dove ben poche altre organizzazioni hanno voluto, o osato, andare. Anch’io avevo paura di ciò che sarebbe potuto accadere andando là, ma mi sono aggrappata al mio sogno sapendo che le donne del luogo avevano bisogno di me».
Shabunda è la più larga area della provincia di Sud Kivu. I gruppi armati ribelli la stanno seriamente devastando. Sebbene la popolazione sia stimata attorno al milione di persone, la comunicazione con il resto del Paese è scarsa. Da alcuni anni Afem lavora in loco per i diritti delle donne e la loro partecipazione politica: fornisce addestramento su democrazia, diritti umani e la Risoluzione 1325 delle Nazioni Unite su donne, pace e sicurezza.
«Molte donne nella regione di Shabunda non sanno di avere diritti. Mi ha aperto davvero gli occhi sentirmi dire da queste donne che loro vedevano istruzione e salute come privilegi, non come diritti. E’ una situazione difficile da cambiare, ma stiamo tentando di indurre le autorità locali a migliorare il loro impegno a rafforzare i diritti delle donne».
La notorietà di Afem si sta diffondendo nel Paese e l’organizzazione riceve numerose richieste da parte di giornaliste che vivono in altre zone del Congo e chiedono sostegno per progetti simili. Afem sta in effetti pianificando di diventare un’organizzazione nazionale e di cominciare a cooperare a livello internazionale con gli altri gruppi per i diritti umani delle donne.
«Afem sta crescendo – conclude Douce Namwezi N’lbamba – e oltre a mettere in luce la situazione delle donne usando i media vogliamo promuovere una maggior consapevolezza di genere e un maggior bilanciamento di genere nell’intero Paese. Io sono convinta che i media siano un attrezzo importante per ottenere il cambiamento».
(*) «We can not just be journalists, we need to be activists too!» di Filippa Rogvall per “Kvinna till Kvinna”. Trasduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo (ripèreso dal suo bel blog «lunanuvola»). La foto di Douce Namwezi N’lbamba è di Cato Lein.