Kjell Espmark: due poesie…
… scelte dalla “cicala del sabato” (*)
Mi chiamavo Maria ed ero di legno,
un lutto di legno, lenti
pensieri di legno e uno sfiorito grembo di legno.
Ma il mio vestito splendeva di lapislazzuoli
ed era coperto di stelle pungenti.
Una volta fui spinta a un sorriso
da un menestrello che voleva celebrare
la madre di Dio con le sue arti modeste.
Volteggiò e cantò in falsetto,
imitò tutti gli animali della natura
ed era così deplorevole da commuovere il legno.
Scesi dal mio zoccolo,
il mio vestito un’ondeggiante aurora boreale,
e presi la testa del menestrello terrorizzato
nelle mie mani. Stordita dai suoi odori
toccai i suoi capelli arruffati,
mi piegai scricchiolando in avanti
e baciai la fronte sudata.
Allore un dolore sconosciuto mi attraversò –
per un attimo fui umana.
Mi rifugiai di nuovo sul mio zoccolo
e lasciai il menestrello tremante
di fronte a ciò ch’egli vide come un miracolo.
Ma chi provò il miracolo,
il miracolo dell’uomo, ero io.
Deve essere stata una sala
con una finestra aperta sul niente
di fronte una finestra sul niente.
Da una piombò dentro una rondine,
girò all’interno accecata dalla luce
e uscì dall’altra finestra.
Mi rendo conto che era la mia vita
ma non chi ero io.
Forse un capo sassone
che colpito dalla luce improvvisa
pensava di aver incontrato Dio
e d’essere costretto a cristianizzare il suo popolo.
O forse un poeta arabo
cui fu donata la sua opera
in un attimo invaso di luce
tra il nulla e il nulla.
[da «Vintergata», traduzione di Enrico Tiozzo]
(*) Qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da oltre 15 anni invia ad amiche/amici per 5 giorni alla settimana i versi che le piacciono… Ci rivediamo qui fra 7 giorni. [db]