La (base) logistica … di tutto quanto

di Miguel Martinez (ripreso da http://kelebeklerblog.com/)

 

Gli anarchici tendono a scrivere in maniera ridondante e sovraccarica, ma spesso ci azzeccano più degli altri. Il Rovescio è un sito che ha questi difetti, ma anche questi pregi, entrambi in abbondanza. Visitandolo, sono rimasto colpito da un articolo sulla questione della logistica. Inizia con una tirata teorico-emotiva, arriva al sodo dopo molti paragrafi, ma il sodo è decisivo (e lo riporto in fondo a questo articolo).

Si parla di quello che sta succedendo nel settore della Logistica, cioè del sistema di circolazione delle merci su cui si fonda tutto il resto. Pensate a tutto il circo che orienta le scelte politiche delle persone. Se sappiamo che qualcuno ha dato della pescivendola alla Meloni, se sappiamo che c’è un trans che dice che è sensibile alle offese, se un ghanese clandestino ha molestato una ragazzina, se sappiamo che Alessandra Mussolini si è messa in posa arcobaleno su Instagram per dire che “l’amore viene prima di tutto“… bene, tutto questo scemenzaio esiste perché usiamo dispositivi che anonimi ci portano entro 24 ore a casa, Covid o non Covid – scintillanti meraviglie che si lasciano dietro una traccia di scorie dal Congo alla Cina. Ed è solo l’ultima tappa di un flusso di distruzione tenuto in piedi grazie a migliaia e migliaia di satelliti che vegliano su ogni passaggio.

Il pianeta intero, in questi anni, cielo e terra, è stato ristrutturato in funzione della Logistica, come ci ricorda un interessante rapporto di Recommon: “In un report precedente, How infrastructure is shaping the World (Come le infrastrutture danno forma al mondo), Counter Balance ha inteso sondare gli interessi politico-economici alla base dei “mega corridoi” infrastrutturali: le reti transcontinentali su strada, rotaia, aria e mare costruite per servire sistemi di consegna just-in-time, e per consentire l’estrazione di risorse minerarie ed altre materie prime in zone sempre più sperdute, con grandi costi socio-ambientali.

Questi corridoi, concludeva il rapporto, sono un tentativo cosciente di “riorganizzare la geografia economica” in funzione del capitale. Per arrivare ad una “gestione integrata dei corridoi”, per esempio, questi vengono trasformati in zone di libero scambio in cui progressivamente si abbattono tasse, controlli sui confini, burocrazia ed altre barriere “erette dall’uomo” che, citando la Banca Mondiale, “aumentano le distanze” rallentando il trasporto delle merci.

Anche i diritti dei lavoratori e i salari vengono erosi, poiché l’agenda dei corridoi genera sacche di lavoro sottopagato “agglomerando” gli individui in zone economiche “a grappolo”.

Grazie alla logistica, al supermercato possiamo sempre trovare il passato di pomodoro a un prezzo che in teoria non permetterebbe alcun margine al produttore, e quindi possiamo essere certi che sia stato prodotto utilizzando truffe, devastando l’ambiente e violando ogni possibile norma sulla sicurezza o sui diritti dei lavoratori.

Gli operatori della logistica sono in massima parte stranieri, ma non fanno notizia come fa invece il calciatore miliardario preso in giro con “battute razziste” da tifosi semiproletari. Nessuno si sogna di essere inclusivo verso il camionista marocchino o il rider senegalese. E infatti il loro problema non è il pregiudizio contro “il diverso credo religioso o colore della pelle“. Il loro problema è intrinseco al ruolo che svolgono nella megamacchina.

La logistica si presta male alla mediatizzazione: i “padroni” sono ditte che appaiono e scompaiono spesso dietro fallimenti truffaldini, non scrivono scemenze su Facebook che si possano ritorcere contro di loro; e i loro lavoratori hanno troppo da fare per pensare pure a fare gli influencer.

Il termine “fascismo”, usato dagli intellettuali, significa all’incirca qualunque cosa non piaccia personalmente a loro. Ma il fascismo reale, in Italia, nel 1919, è nato come organizzazione di picchiatori armati che reprimevano fisicamente le lotte operaie e dei mezzadri, con l’applauso di un vasto ceto medio e urbano che vedeva ricomparire sulle bancarelle i prodotti della campagna a prezzi abbordabili.

E anche con la comprensibile complicità di molti braccianti che si arruolavano nelle squadre per fargliela pagare ai (relativamente) fortunati mezzadri.

Ora, i padroni delle terre toscane del Novecento non erano sadici pieni di pregiudizi che si divertivano a far picchiare i contadini. Semplicemente, i padroni dovevano modernizzare la produzione per adeguarla alla concorrenza internazionale, già allora intensa. Ma i mezzadri si rifiutavano di condividere i costi di tale modernizzazione, visto che non avevano alcuna certezza di poter restare nei loro poderi. Quindi, giù botte e olio di ricino.

Oggi, il lavoro umano è in grandissima parte stato spostato sulla logistica. Dice il rapporto di Recommon:

“Ormai non sono più soltanto gli operai della catena di montaggio ad essere considerati produttori: anche camionisti, portuali e consumatori, visto che i dati relativi alle attività di consumo quotidiane sono diventate merci sempre più ambite.”

Normalmente, quando un lavoratore diventa esigente, si chiude la fabbrica e la si sposta in Bangladesh. Ma la logistica per sua natura non si può spostare, perché è ciò che permette lo spostamento di tutto il resto. Ci sarà una furiosa corsa alla sostituzione dell’uomo con droni e veicoli senza guidatore  controllati dall’Intelligenza Artificiale, ma nel frattempo c’è ancora bisogno del camionista che deve arrivare al deposito esattamente in tempo per consegnare il pacco all’omino in bici che suona al mio campanello. E siccome il cliente esige consegne sempre più veloci e puntuali per prodotti sempre più economici, la pressione ricade necessariamente sull’ambiente in primo luogo (a parte i trasporti, i comuni italiani ovunque stanno autorizzando la costruzione di capannoni in cambio di oneri di urbanizzazione), e sul lavoratore in secondo luogo.

L’Italia è “invasa” da immigrati, perché solo lavoratori sfruttati fino in fondo permettono di mantenere in crescita il Pil e tenere prezzi impossibilmente bassi (così bassi, ma su questa la Destra “identitaria” tace, da distruggere l’economia contadina italiana, salvo le reti agroindustriali). Ecco che riemergono bande armate, che picchiano chi si oppone. Bande armate, alcune regolarmente registrate presso la Camera di Commercio, che non fanno “saluti romani”, ma picchiano direttamente, senza che nessuno chieda che vengano messe al bando. Bande i cui militanti sono probabilmente quasi tutti stranieri anche loro; come è certamente il caso di quelle cinesi citate dal Rovescio.

Comunque ecco a voi la cronaca del Rovescio: fate la tara al linguaggio, perché i fatti sono più o meno quelli.

Il primo febbraio la celere di Piacenza carica un picchetto davanti alla TNT/Fedex. Il pretesto è che alle 22:00 c’è il coprifuoco e quindi non si può manifestare. Gli operai scacciano gli sbirri a sassate, il picchetto va avanti ad oltranza tanto che gli infami della Cgil locale organizzano pure delle manifestazioni davanti alla questura per chiedere di poter entrare a lavorare, dato che la parte violenta degli operai non glielo permetterebbe. Si espongono i vertici del sindacato di regime per affermare di aver parlato con la TNT/Fedex e di assicurare che il sito locale non sarebbe stato chiuso.

Infami che vengono presto accontentati: il 10 marzo scatta una operazione repressiva con trenta indagati, due arresti, cinque divieti di dimora, sei avvisi di revoca del permesso di soggiorno (se sei un immigrato e scioperi, te ne torni a casa tua!), 13mila e 200 euro di multa. Operazione di plastica chiarezza in tempi di Unità Nazionale: i decreti Speranza (repressione sanitaria, coprifuoco) e i decreti Salvini (deportazione per gli stranieri che scioperano) Uniti per la Nazione, in guerra contro gli sfruttati. La Fedex approfitta della mazzata per chiudere il polo di Piacenza, in barba alle assicurazioni su ciò che solo pochi giorni prima i loro servi in CGIL promettevano essere impossibile.

Ne nascono scioperi in tutta Italia, i siti della TNT/Fedex bloccati a singhiozzo per tre mesi. Si scatena però anche una violentissima repressione, portata avanti a tutti i livelli. Se dovessimo usare la stessa ratio che muove i teoremi delle procure contro di noi, si dovrebbe affermare che c’è una evidente regia, un comitato esecutivo dietro la multiforme azione di polizia (le cariche, i fogli di via da Milano per chi partecipa ai blocchi) e le squadracce di picchiatori professionisti (aggressioni con spranghe, bastoni, spray al peperoncino, pistole taser) della SKP di Milano, l’agenzia di bodyguard e investigazioni private usata sempre più spesso dai padroni della logistica per mazzolare gli scioperanti.

Ma le violenze vanno avanti ben oltre la Fedex e la stessa logistica. A Prato, gli operai tessili in sciopero contro le condizioni schiavistiche imposte loro dalla mafia cinese che produce materie prime per le multinazionali della moda, vengono ripetutamente attaccati, presi a mattonate, a pistolettate, investiti… e di nuovo (stessa regia? stesso comitato esecutivo?) caricati dalla polizia.

Da ultimo, venerdì 18 giugno, davanti ai cancelli del magazzino LIDL di Biandrate, in provincia di Novara, tre operai vengono investiti, nel tentativo di bloccare l’uscita delle merci, da un camionista che al contrario quel presidio lo vuole sfondare. Adil Belakhdim, 37 anni, sindacalista e referente novarese di SI Cobas, muore sul colpo.

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