«La Bestia» di Carlo Palermo
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La recensione di Francesco Masala con articoli di Lorenzo Baldo ed Egidio Morici, a seguire 8 video.
Il 2 aprile del 1985 ci fu l’attentato contro il magistrato Carlo Palermo, che si salvò solo perché un’altra macchina transitava in quel momento e quella mamma e i figli furono ammazzati.
Dal 1990 si è dimesso dalla magistratura, poi si è impegnato in politica, ma soprattutto ha scritto libri che raccontano la lotta alla mafia, non dimentica la storia di quegli anni ed è un infaticabile e curioso ricercatore dei vari livelli che stanno dietro la mafia.
E arriva fino alla ricostruzione di un livello mai esplorato, quello per cui la mafia è una pedina di poteri più forti, come la Massoneria, non quella massoneria da due soldi come la P2, ma quella internazionale, i Rosacroce, per esempio.
Tutte le affermazioni inquietanti di Carlo Palermo sono supportate da documenti, a volte colpevolmente trascurati, a volte sottovalutati. Ma Carlo Palermo è uno testardo e lucido. La Bestia è il risultato, finora, delle sue indagini e ricerche.
E quello che leggerete non vi lascerà tranquilli, ma informati dei fatti di sicuro, leggere questo libro è un dovere civico.
QUI il ricco canale youtube di Carlo Palermo, una miniera di documenti super interessanti.
A seguire potete leggere suoi articoli e video
L’attentato: pezzi di verità per sconfiggere #Labestia
di Lorenzo Baldo – Prima parte
Frammenti (ricomposti) di una storia occultata nel nuovo libro di Carlo Palermo
Tutto collegato. E’ questa la chiave di interpretazione che attraversa le oltre 400 pagine del libro “La Bestia – Dai misteri d’Italia ai poteri massonici che dirigono il nuovo ordine mondiale”. E sono proprio i collegamenti – noti o sconosciuti – tra fatti e circostanze, nazionali e internazionali, ad emergere prepotentemente nella ricostruzione dell’ex pm Carlo Palermo, autore del libro edito da Sperling & Kupfer. Sopravvissuto alla strage di Pizzolungo del 1985, nella quale morirono Barbara Rizzo, 30 anni e i suoi due gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, 6 anni, Carlo Palermo porta sempre con sé il dolore, la rabbia e il senso di impotenza per non avere ancora ottenuto tutta la verità su quello Stato che ha armato la mano di Cosa Nostra per cercare di eliminarlo. Ma è soprattutto la sua spasmodica, disperata e non ancora conclusa ricerca di quella verità – che fa molta paura alla nostra Repubblica – a gridare forte nelle parole che si susseguono nervose sulla carta. Parole che confermano la tesi iniziale: è tutto collegato. Non si può comprendere chi – in Italia o dall’Atlantico – muove i burattini che compiono le stragi nel nostro Paese se non si collegano i pezzi di tante storie segnate dal sangue di innocenti. Uomini, donne, bambini accomunati dallo stesso destino: uccisi per una ragione di Stato, o per quel “Lodo Moro”, di cui tanto si parla nel libro, al punto da citare le stesse parole di un profondo conoscitore dell’argomento come l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
L’ex giudice Palermo è un fiume in piena: nomi, numeri, date, riferimenti documentali, testimonianze dirette e indirette, e poi ancora collegamenti con inchieste archiviate, finite su binari morti e soprattutto ostacolate, tolte dalle loro sedi naturali per essere smembrate altrove con il timbro di giudici compiacenti. “La Cassazione aveva stabilito il trasferimento a Venezia di tutti i processi da me istruiti. In quei cinque anni (dal 1980 al 1984, ndr) mi ero scontrato con la mafia turca, quella siciliana, la ’ndrangheta, i trafficanti di droga e di armamenti, i servizi segreti, la massoneria e certi politici. Con il diktat proveniente da Roma, le mie carte avevano preso la strada di Venezia e io avevo chiesto di essere assegnato alla Procura di Trapani”. Il primo flashback racchiude in sé tutta la tragedia che si sta consumando. E’ la fine del 1984, mancano pochi mesi alla strage di Pizzolungo.
L’arabo degli abissi
La ricerca di Carlo Palermo parte dall’esame testimoniale, a Washington, del giudice Charles Rose, nelle indagini sulla strage di Capaci. L’ex pm racconta di questo magistrato degli Stati Uniti che era stato in contatto con Giovanni Falcone quando si trovava a Palermo e poi quando era a Roma a dirigere l’ufficio affari penali al ministero di Grazia e giustizia. “Rose viene interrogato nel novembre del 1993 da tre nostri magistrati che indagano sulla strage. Cercano di verificare a quando risalga l’ultima visita di Falcone negli Stati Uniti”. “Noto (nell’atto di citazione, ndr) il nome di un arabo a cui nessuno ha mai prestato attenzione (Khalid Duhham al-Jawary, ndr). Possibile che negli aspetti rimasti oscuri in quella strage, mi domando, sia esistita anche una sconosciuta componente terroristica?”. L’ex pm di Trento si domanda se l’arabo preteso nel 1991 dagli americani “fosse uno di quelli protetti con quei vecchi patti, poi denominati “Lodo Moro” con una terminologia, tuttavia, non del tutto corretta, in quanto costituirono espressione di volontà di interi nostri governi e non solo del politico democristiano sequestrato dalle Brigate rosse nel 1978”. Seguendo la ricostruzione emerge che il terrorista estradato da Falcone “risulta di parte palestinese; anzi appare stretto sodale dei due più terribili terroristi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) di quell’epoca: Salah Khalaf alias Abu Ayad, capo dei servizi di sicurezza di Arafat, e Abu al-Hol, capo della famosa Forza 17, il piccolo esercito clandestino dell’OLP incaricato anche dei suoi lavori sporchi”. “Come mai quest’arabo, legato a simili tradizionali “amici” dell’Italia, non venne protetto nel nostro Paese e fu invece consegnato agli americani in un accurato silenzio?”. E’ lo stesso Palermo a fornire una possibile chiave di lettura. La pretesa degli americani di ottenere l’estradizione del terrorista arabo “sembra quindi diretta a colpire e porre fine a quei segreti patti stipulati fra l’Italia e i palestinesi mai approvati dagli Stati Uniti e ormai forse ritenuti superati dalla fine della Guerra fredda”. Per l’autore del libro esiste un preciso collegamento tra l’estradizione di quell’arabo, le forniture di armi all’Iraq e gli accertamenti svolti da Paolo Borsellino a Mannheim, dove sarebbe dovuto andare il giorno dopo la strage di via d’Amelio. Per Carlo Palermo si tratta di una “chiave occulta” che spiega i rapporti tra il mondo arabo, Cosa Nostra, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e alcuni nostri noti politici…
Craxi, Gladio, P2 e quelle XI Tavole per indicare #Labestia
di Lorenzo Baldo – Seconda parte
Sfogliando le pagine del libro si arriva alla sentenza dalla Corte d’Appello di New York del 10 maggio 1984 attraverso cui la Corte distrettuale di New York condanna la Artoc Bank a restituire al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi quindici milioni di dollari, da versare a una consociata del Banco Ambrosiano in Perù. “Mi domando dove siano finiti questi soldi dopo la sua morte – scrive Carlo Palermo – e poi lo chiedo anche al figlio di Roberto Calvi, ma senza ottenere risposte. Nel 1987 in Perù, località nemmeno rientrante nelle competenze della nostra Gladio né dell’ultima cellula operativa Scorpione, appena formata a Trapani, avverrà una strana missione segreta dei nostri servizi, su ordine di Bettino Craxi, da allora a oggi sottoposta a segreto di Stato, per contrastare, si dirà, i guerriglieri di Sendero luminoso. Tuttavia proprio in quel Paese risiedeva la ‘società controllata del Banco Ambrosiano in Perù’, in favore della quale la Corte distrettuale di New York pronunciava nel 1984 la sentenza di condanna”. L’immagine che esce dalla composizione di questo mosaico è quello di un potere criminale che attraversa gli stati di tutto il mondo e che obbedisce a logiche ben definite. “Dopo tanti anni – sottolinea l’ex pm – mi sembra di vedere come in un film quel giudice di Trento che si rode per lo stop inflitto all’inchiesta mentre scopre le proprietà del PSI riguardo a quelle società indagate nelle operazioni di esportazioni di armi. Lo vedo recarsi a Roma, incredulo e deciso ad andare fino in fondo, per un incontro con il ministro di Grazia e giustizia Mino Martinazzoli con in mano un esposto contro l’onorevole Craxi (che conservo come ricordo). Dopo averlo letto, il ministro mostra un volto serio e accigliato e dice: ‘Se anche il presidente del Consiglio, intervenendo in quel modo, dovesse avere sbagliato, io, come ministro di Grazia e giustizia, che cosa potrei fare?’”.
Un’inchiesta smembrata
Nel 1996 un ex collega di Torre Annunziata (Na) chiede a Carlo Palermo di aiutarlo a rintracciare vecchi documenti. “Il 10 novembre (‘96, ndr) andai a Venezia. Nell’archivio del tribunale, insieme a un magistrato della locale procura e agli investigatori, scoprii che quegli atti erano quasi tutti spariti, distrutti, cancellati. Ne restavano frammenti in uno scantinato. Faldoni aperti, fogli sparpagliati a terra. L’inchiesta di Trento finita così, fatta a pezzi. La denuncia che presentai non ha mai avuto una risposta”. La consapevolezza di Carlo Palermo racchiude una profonda amarezza. “Oggi sarei un bugiardo se dicessi che già allora sapevo tutto. No, non avevo capito molto. Mi ero però imbattuto in alcuni nomi importanti, non solo italiani ma anche stranieri, e avevo intuito che tutto era collegato: dalla droga alle armi, dai servizi deviati al terrorismo e alla politica, dal Libano alla Sicilia, a Trapani, agli americani e ai russi, ai turchi e ai siriani”…
La massoneria universale e i Rosacroce dietro le vicende italiane dell’ultimo secolo – Egidio Morici
Servizi segreti, politica, magistratura, imprenditoria. Sono gli ambiti attraverso i quali la loggia P2 si era infiltrata nello Stato per controllare le istituzioni e realizzare il “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. Ma sia la magistratura che la Commissione Anselmi avrebbero limitato la loro azione ad accertare la responsabilità dell’appartenenza dei singoli alla P2, tralasciando invece quella dell’istituzione massonica nel suo insieme.
“Una etichettatura degli appartenenti puramente formale”, la definisce così Carlo Palermo, nell’audizione del 17 marzo 2022 in Commissione antimafia.
Sostituto procuratore della Repubblica di Trento dal 1975 al 1984 e di quella di Trapani fino al 1989, Carlo Palermo era nel mirino di Cosa nostra, che nel 1985 provò ad ucciderlo con un’autobomba a Pizzolungo. L’attentato provocò invece la morte di una donna di 30 anni, Barbara Rizzo e dei suoi due figli gemelli di 6 anni, Giuseppe e Salvatore Asta.
Secondo l’ex magistrato, non sarebbe stata sufficientemente approfondita la reale finalità della massoneria nel suo insieme, con conseguenze visibili fino ai nostri giorni.
Nessuna indagine sulla “superloggia di Montecarlo”, un “Comitato ristretto” fatto di circa 30 persone a cui Gelli affidava l’operatività a livello internazionale.
E soprattutto nessuna indagine su documenti di estrema importanza, recuperati dallo stesso Palermo e contenuti tra gli atti del processo sul Centro studi “Scontrino” di Trapani.
Ce n’è uno in particolare, rimasto da sempre nell’ombra: “il manifesto dei Rosacroce”.
Sono scritti massonici sequestrati nel 1982 dai giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, subito dopo l’acquisizione dei documenti della P2. Ma, sottolinea l’ex magistrato, mentre questi ultimi sono stati approfonditi più volte sia dalla Commissione Anselmi che dall’autorità giudiziaria e dagli studiosi, il materiale che lui aveva recuperato a Trapani era stato subito ignorato e dimenticato.
Quegli atti invece sarebbero stati molto importanti, perché avrebbero rivelato “l’esistenza di un’altra massoneria, diversa da quella nota”: la “massoneria universale” o “massoneria internazionale”, che avrebbe “interferito nei fatti oggetto di quasi tutte le più importanti indagini della magistratura italiana – si legge nella relazione dell’audizione – per i suoi rapporti con il potere politico, la criminalità mafiosa e le interferenze con la pubblica amministrazione”.
Una struttura massonica con l’obiettivo di “condizionare il governo del mondo”, ristretta a famiglie e a dinastie “rappresentative della storia dell’umanità”, che perseguirebbe obiettivi di lungo termine, al di là della durata dei singoli governi, in grado di sopravvivere anche a quei regimi con finalità opposte a quelle proprie.
A capo dei Rosacroce e punto di riferimento di questa massoneria universale, precisa il dottor Palermo in base ai documenti ritrovati, ci sarebbe stato Aleister Crowley, che durante la sua permanenza in Italia (dal 1920 al 1922) fondò a Cefalù l’Abbazia di Thélema.
Nei suoi riti cè il costante richiamo alla cabala e ai culti legati al sangue, oltre alla “teorizzazione eseguita nei primi anni del ‘900 dei forni crematori come metodi sacrificali, idee che poi sono state recepite ed acquisite da ideologi che le hanno praticate”.
Tra gli scritti trovati dall’ex magistrato al Centro studi “Scontrino” di Trapani c’è anche l’obiettivo di questa élite massonica, ovvero quello di tendere “all’unità dei popoli, all’unità delle religioni, all’annullamento delle religioni, alla realizzazione attraverso la scienza della divinizzazione dell’uomo”.
Ma dietro, secondo il dottor Palermo, ci sarebbe il vero obiettivo della massoneria universale, ovvero la “spersonalizzazione dell’umanità” da parte di “questi soggetti che elitariamente ritengono di essere i proprietari nel mondo, i gestori del mondo”.
E proprio la massoneria universale sarebbe intervenuta attivamente anche nelle vicende storiche e di cronaca che hanno interessato il nostro Paese nell’ultimo secolo, dal “lodo Moro” degli anni ’70 alle privatizzazioni e le partecipazioni statali negli anni ’90, fino al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di oggi.
Per comprendere quale sia stato il reale intervento della massoneria universale nel nostro Paese, spiega Palermo, gli eventi andrebbero letti in una prospettiva di lungo periodo “e non limitarsi ad una visione a breve termine come invece si è soliti portati a fare”.
Grazie a Francesco per la segnalazione di un libro che definire intrigante è il minimo, proprio per gli squarci di mondi a noi decisamente sconosciuti.