La bolla speculativa e il crollo delle biciclette

Un secolo fa, una bolla speculativa colpì il mercato delle biciclette, tra Borsa e investitori spericolati. Con annesso, successivo, crollo.

di Andrea Baranes (*)

Speculare significa scommettere su qualche evento futuro.
Compro qualcosa scommettendo sul fatto che il prezzo in futuro salirà, per poi rivenderlo e realizzare un profitto (sui mercati è possibile anche fare il contrario, scommettendo sul crollo di un titolo).
Da questa semplice considerazione, è chiaro che quanto più i prezzi variano, e quanto più velocemente lo fanno, tanto maggiori sono le possibilità di guadagnare.
Se il prezzo di un determinato bene non fluttua nel tempo, non posso trarre profitto dalla differenza tra acquisto e vendita. Al contrario, quanto più ampie e rapide sono tali fluttuazioni, tanto più vantaggioso diventa lanciarsi nella scommessa.

Non solo la speculazione si nutre quindi dell’instabilità dei prezzi ma, in una spirale perversa, è proprio la speculazione a creare questa stessa instabilità, funzionale a realizzare i profitti ricercati dagli speculatori. Più si scommette su un determinato titolo, più i prezzi impazziscono e maggiori sono le possibilità di profitti a breve termine, attirando così nuovi squali.

Come si crea (e come scoppia) una bolla finanziaria

Un elemento fondamentale è che i mercati finanziari tendono a muoversi in gregge. Quando il prezzo di un titolo inizia a salire, gli investitori acquistano. L’aumento della domanda ne fa salire il prezzo, attirando nuovi investitori, che creano nuova domanda e così via. In questo modo si gonfia una bolla finanziaria, fino al momento in cui i prezzi finiscono per essere enormemente sopravvalutati. A quel punto, anche un evento limitato può spingere alcuni a vendere, e parte l’effetto valanga. Le vendite fanno scendere il prezzo, il che porta a nuove vendite e la bolla scoppia.

In questo modo i mercati procedono tra ondate di euforia e di panico o, in altre parole, attraverso la creazione e lo scoppio di bolle finanziarie.
Chi è in posizione di forza compra per primo quando i prezzi sono ai minimi e vende per primo quando sono ai massimi. Chi arriva per ultimo, solitamente i piccoli risparmiatori (a volte chiamati “il parco buoi”), fa il contrario: acquista quando un titolo è sulla bocca di tutti perché a un prezzo incredibile e rimane buon ultimo con il cerino in mano dopo lo scoppio della bolla.

La bolla speculativa delle biciclette nel Regno Unito

È cosi da secoli. Per lo meno dalla metà del XVII secolo, con la famigerata Bolla dei Tulipani, spesso considerata la prima del capitalismo moderno. Tutti volevano i tulipani, i prezzi salivano attirando nuovi acquirenti, fino a raggiungere nel 1636 prezzi al di fuori di qualsiasi ragionevolezza. Una singola asta andata male, nel 1637 scatenò i primi dubbi, le prime vendite e nel giro di pochi mesi la rovina per migliaia di persone.

Il quotidiano Les Echos riporta l’esempio della “bolla delle biciclette” nell’Inghilterra di fine XIX secolo. Un periodo di rapido sviluppo delle bici, nel momento in cui le automobili non erano ancora diffuse. Nel solo 1896 furono depositati oltre 4.000 brevetti. In quegli anni moltissime società decisero di quotarsi in Borsa per cercare fortuna, la bici sembrava l’affare del momento. O meglio, come riporta l’articolo, «la bicicletta fece la fortuna degli speculatori più furbi e la rovina di chi è saltato sul “treno in corsa” troppo tardi e si è dimenticato di scendere in tempo, prima del crack».

Sempre nel solo 1896, i valori di Borsa delle società che producevano biciclette o loro componenti furono moltiplicati per tre, salvo perdere i tre quarti del loro valore nel giro di un paio d’anni. Su 141 titoli legati alla bicicletta e quotati a Londra, «quasi 9 su 10 fallirono o furono assorbiti da altre società prima del 1900».

In chiusura l’articolo segnala come questo crack «ricordi da vicino la debacle delle compagnie ferroviarie nel 1845-50 sempre nel Regno Unito». Ma la bolla delle biciclette ricorda – con le dovute distinzioni – ogni bolla finanziaria nella storia, fino alla dot-com, quando le imprese legate a internet videro un aumento spropositato di valore tra il 1997 e il 2000, per poi crollare nel corso di quello stesso anno.

La finanza ignora i fondamentali economici

L’aspetto più ironico – se non paradossale – è che il neoliberismo, l’ideologia che domina il pensiero economico da quasi mezzo secolo, si basa sull’idea dei “mercati efficienti”. Semplificando, se tutti vogliono qualcosa e/o l’offerta è scarsa, il prezzo salirà, ma l’aumento del prezzo ridurrà la domanda e si troverà un nuovo equilibrio. In maniera speculare, se un prodotto è molto abbondante e/o la domanda è scarsa, il prezzo scenderà rendendolo più conveniente e si tornerà nuovamente all’equilibrio.
I mercati dovrebbero quindi essere lasciati liberi da qualsiasi “distorsione” legata all’intervento pubblico. Sono appunto efficienti per definizione e in grado di auto-regolarsi: in ogni momento il prezzo rappresenta tutta l’informazione ed è il punto d’incontro tra domanda e offerta.

Peccato che il mercato più fondamentale e centrale dell’intero sistema, ovvero il mercato dei soldi – la finanza – funzioni in maniera diametralmente opposta. Più il prezzo sale più tutti si lanciano a comprare, ignorando i fondamentali economici.
Al posto dell’efficienza postulata dalle teorie, troviamo un alternarsi di euforia e panico e un procedere tra instabilità e crisi. Instabilità e crisi che non sono un fastidioso effetto collaterale dell’attuale sistema finanziario, ma la base stessa del gioco.

(*) Tratto da Valori.
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alexik

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