La caduta finale dell’Occidente
articoli e video di Sergio Bologna, Matteo Saudino, Papa Francesco, Pubble, Giacomo Gabellini, Elena Basile, Jeffrey Sachs, Nicolai Lilin, Scott Ritter, Rostislav Ishchenko, Antonio Mazzeo, Emmanuel Todd
Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo
La Russia potrebbe dover affrontare le stesse questioni che gli USA hanno affrontato al momento del crollo dell’URSS. Traduciamo un’intervista al politologo Rostislav Ishchenko che dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello di responsabilità globali.
Intervista a Rostislav Ishchenko* a cura di Aleksey Peskov.
Alla data del 24 febbraio, si sono compiuti esattamente due anni dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale (SVO). Allora sembrava a tutti che, anche se ci sarebbero state difficoltà, queste non sarebbero durate a lungo, gli aeroporti “intorno all’Ucraina” sarebbero rimasti chiusi inizialmente solo per una settimana. Si sbagliavano.
Poi intervennero i paesi occidentali, e anche lì l’orizzonte della pianificazione era calcolato in settimane, al massimo mesi: armiamo l’Ucraina, colpiamo la Russia con sanzioni, e tutto lì crollerà come un castello di carte. Ma si sbagliavano anche loro.
In due anni, la Russia ha potenziato i muscoli e allenato il cervello, mentre l’Occidente sta vivendo dissidi interni e gravi problemi economici. E a qualcuno viene l’idea, in questo momento, che ci convenga prolungare il conflitto, tipo: “aspettiamo – e l’Occidente crollerà da solo”. Sarebbe bello, giusto? Ma le speranze che, non appena i paesi occidentali si siano rotti, tutti i problemi della Russia finiscano all’istante, sono state dissipate nel corso di una conversazione con «Svobodnaya Pressa» («Stampa Libera») dal politologo, commentatore di MIA “Russia Today”, Rostislav Ishchenko…
“SP”: Rostislav Vladimirovich, quando è iniziata l’operazione SVO contro l’Ucraina, si trattava solo dell’Ucraina – ma in poco più di un mese la situazione si è trasformata in un nostro confronto con l’Occidente, con la NATO. E si è scoperto che la NATO non è così potente come pensavamo noi e loro stessi, e che in due anni di confronto con la Russia, la situazione per i paesi occidentali è diventata piuttosto infelice, e soprattutto – non si vedono tendenze al miglioramento. Possiamo in qualche modo utilizzare l’attuale situazione a nostro vantaggio?
– La Russia ha iniziato l’attuale campagna, tra l’altro, non contro l’Ucraina, ma per l’Ucraina – e l’ha iniziata per la sicurezza comune, e non solo per la propria. La Russia, come ha dichiarato e continua a dichiarare, aderisce al principio della “indivisibilità della sicurezza”: non può essere che io stia bene e voi stiate male. Se vi sentite in assoluta sicurezza a mie spese, mentre io mi sento in pericolo, cercherò in qualche modo di uscire da questa situazione. E in un bel momento scoprirete di non essere più al sicuro.
Quindi la posizione della Russia è chiara. Come è chiara la posizione degli Stati Uniti e della NATO che sta sotto il loro controllo. Negli USA, la stabilità interna dipende dalla posizione dell’America come egemone globale, perché altrimenti non potrebbero garantire un eccesso di consumi all’interno del paese. Se la posizione cambia, inizieranno a impoverirsi, e la situazione potrebbe rapidamente sfuggire di mano. In altri termini, hanno bisogno di trovare una qualche risorsa esterna che assicuri sia l’egemonia sul pianeta che la stabilità interna.
“SP”: Quindi, si tratta di derubare qualcuno?
Esattamente. E contavano di trovare le risorse necessarie derubando la Russia e la Cina. Poiché non sono riusciti a realizzare il loro piano immediatamente, hanno pensato di risolvere il problema entro un periodo di tempo prevedibile.
Quando anche questo periodo prevedibile non ha portato ai risultati sperati, gli Stati Uniti hanno deciso che prima avrebbero derubato l’Europa Occidentale e poi si sarebbero occupati della Russia e della Cina. Sì, hanno derubato l’Europa, ma non hanno considerato che se derubi il tuo stesso alleato, finisci per indebolire te stesso.
Gli Stati Uniti hanno indebolito l’Europa, ma non hanno risolto il loro problema strategico. E ora si trovano in una situazione di “zugzwang” (la posizione dello scacchista per cui ogni mossa è svantaggiosa, ndt) aggravata dalla pressione del tempo, senza più alcuna mossa per evitare lo scacco matto e senza tempo per escogitare qualcosa o semplicemente aspettare che passi il brutto momento.
Devono affrontare la Cina, la Russia, in più fare qualcosa per il Medio Oriente, l’Europa… e allo stesso tempo risolvere numerosi seri problemi interni.
“SP”: E a noi che ci viene di male? Siediti e aspetta che passi il cadavere del nemico…
– L’ondata di problemi del nostro avversario sta crescendo, ma la Russia non dovrebbe cercare benefici in questo. Dobbiamo pensare a come evitare di ritrovarci con uno stato nucleare che salta in aria dall’interno.
Ricordate cosa preoccupava di più gli Stati Uniti nei primi anni ’90? Il crollo dell’URSS e la dispersione delle armi nucleari tra le ex repubbliche sovietiche. E finché non le hanno raccolte tutte in un unico posto, in Russia, la loro percezione era di assoluto allarme. E se ora gli USA esplodessero dall’interno, e le armi nucleari finissero in diversi stati, anche noi saremmo molto preoccupati.
E i problemi in Occidente stanno crescendo. Prendete, per esempio, le proteste degli agricoltori. Quando tutto è iniziato, gli esperti occidentali – sottolineo, occidentali – che conoscono bene tutti i problemi dei loro movimenti di opposizione, sindacali, alternativi, dicevano: che faranno i contadini? Usciranno, bloccheranno le strade per un po’, poi se ne andranno – non saranno supportati dalla massa principale dei lavoratori, perché hanno interessi diversi.
E invece: i contadini non se ne vanno, anzi, il loro movimento diventa internazionale, sono supportati dai lavoratori di altri settori, dai trasportatori e – cosa che sembrava incredibile – dai residenti delle città che rimangono bloccati dagli agricoltori. Il sistema è entrato in risonanza e non è più in grado di stabilizzarsi da solo. Si sta disintegrando davanti ai nostri occhi.
E tutti questi problemi sono sorti per l’Occidente perché, invece di trovare un accordo con la Russia, hanno scelto la via del confronto, valutando erroneamente sia le risorse russe sia le proprie. Ma a causa di quanto sta accadendo, non ci saranno vantaggi per la Russia, solo nuovi problemi.
“SP”: Di quali problemi stiamo parlando?
– Proprio come l’Occidente ha affrontato il problema di privatizzare lo spazio che l’Unione Sovietica si è lasciato alle spalle, così anche noi dovremo affrontare compiti simili. Lo spazio non viene mai abbandonato. Non ammette il vuoto.
Si può dire quanto si vuole che non ci serve l’Ucraina, non ci serve l’Europa, ma se da lì se ne va un padrone, se ne deve necessariamente presentare un altro. Soprattutto se i popoli locali non sono in grado di governarsi da soli, e sono sempre alla ricerca di un nuovo padrone.
Questa è la sorte dei limitrofi, e il mondo intero è principalmente composto da limitrofi. Ci sono da due a otto grandi potenze, a seconda dei criteri di grandezza, e tutte le altre semplicemente gravitano intorno a loro. E a questo punto graviteranno verso la Russia.
Sì, in questo momento ciò è vantaggioso per noi, poiché queste oscillazioni ci sostengono a danno degli Stati Uniti. Non tutto il mondo è con loro, ma il 60% del mondo è già con noi, e questo ci aiuta, ma…
Ma poi ci troveremo nella stessa situazione in cui gli Stati Uniti si sono trovati con la scomparsa dell’URSS: gli USA sono diventati l’egemone mondiale. Supponiamo che non ci troveremo in questa situazione da soli – ci sarà la Cina, ci sarà qualcun altro, ma in ogni caso – la responsabilità della pace ricadrà su di noi. Almeno – anche su di noi. Possiamo riconoscerlo o no, ma saremo chiamati a risponderne. La gente busserà da noi.
Stanno già arrivando: per sedare delle controversie, risolvere contraddizioni, chiedere aiuto. E quando diciamo, per esempio, che abbiamo preso buone posizioni in Africa, significa che prima la gente del posto andava con i propri problemi dai francesi e dagli americani, ma ora per scoprire chi è il leader principale e chi è secondario, vengono da noi. E chiunque venga nominato leader, il secondo sarà ridimensionato. E anche questo sta diventando un nostro problema.
E poi: ci sono anche gli stessi nostri problemi con il crollo dell’Occidente, con il quale dovremo fare qualcosa. Non si fermeranno nelle loro attività suicide, avendo già superato molti traguardi intermedi dove avrebbero potuto fermarsi. E se non distruggeranno il mondo intero, non si fermeranno sulla strada dell’autodistruzione, e dovremo fare qualcosa al riguardo. Noi. E non perché lo vogliamo ardentemente o per qualche inclinazione alla beneficenza. Un Occidente distrutto è un problema per la nostra sicurezza.
“SP”: Quindi, quanto più velocemente l’Occidente si disintegra, tanto più la Russia deve essere pronta a prendersi la responsabilità della pace. E pronta non solo a parole, ma in grado di assumersi questa responsabilità. Tecnicamente.
Assolutamente. Non esiste potere senza responsabilità. E se ci sono coloro che passano alla nostra zona di influenza, insieme al potere su di loro riceviamo anche una certa quota di responsabilità per loro.
Proprio come eravamo responsabili per l’intero Patto di Varsavia, per il COMECON e per tutto il sistema mondiale del socialismo. Solo che ora sarà chiamato in modo diverso.
Gli Stati Uniti erano anche responsabili per i loro alleati, ma ascoltate cosa dice ora Trump riguardo alla NATO e agli europei. È più o meno lo stesso discorso che si faceva da noi al momento del crollo dell’Unione Sovietica. Noi abbiamo dato da mangiare alle repubbliche, ora se ne andranno e staremo anche meglio. Egli afferma che non sosterrà quei paesi della NATO che spendono per l’alleanza meno del 2% del loro bilancio. Dice che non sosterrà Taiwan, perché ha rubato l’industria agli americani. Da un lato è un approccio pragmatico, ma dall’altro è un approccio che priva gli Stati Uniti dei propri alleati.
Gli alleati non sono lì per amore, ma per reciproco beneficio. Ci deve essere un ritorno. Che sia uno spazio strategico, o vantaggi economici o altro, ma otteniamo qualcosa di necessario per noi. E anche gli alleati vogliono ricevere un qualche ritorno. Tutte le relazioni alleate sono sempre state costruite in questo modo: voi a noi, noi a voi.
Pertanto, non appena gli alleati americani si indeboliscono e fanno pendere l’equilibrio verso la nostra parte, tutta la responsabilità che era loro ricade su di noi.
SP”: Quindi, il crollo dell’Occidente non dovrebbe renderci felici, perché ci porterà enormi problemi?
Enormi problemi, sì. Ecco perché bisogna negoziare. Putin ha cercato di negoziare con l’Occidente non perché ami particolarmente l’Occidente. Ama molto la Russia e non voleva causarle problemi inutili. Diceva: facciamo un accordo e tutto andrà bene, voi avete il vostro giardino, noi abbiamo il nostro. Voi non interferite con noi e noi non tocchiamo voi.
Ma l’Occidente non poteva vivere fisicamente nel regime proposto, il sistema che hanno costruito negli ultimi 30 anni. Sebbene la proposta fosse molto ragionevole per loro. Ma non sono stati in grado di ristrutturarsi e non hanno voluto.
Ci troveremo davanti allo stesso problema, perché il sistema che ha lottato e vinto, e il sistema che deve essere costruito e sviluppato, sono sistemi diversi. Quindi, il nostro problema principale non è la vittoria sull’Occidente, soprattutto perché questa vittoria la vediamo già, ma il problema è la costruzione del mondo futuro.
Un mondo che non sia solo confortevole e comodo, ma anche vantaggioso per tutti.
Fonte: https://svpressa.ru/politic/article/406017/
Pubblicato anche su: https://visionetv.it/il-problema-russo-non-e-sconfiggere-loccidente-ma-cosa-farne-dopo/.
Traduzione dal russo a cura di Pino Cabras.
Scott Ritter – Le menti degli uomini disperati
“O malvagità, sei veloce a entrare nei pensieri degli uomini disperati!”
—Romeo e Giulietta, Atto 5, Scena 1
Con queste parole, William Shakespeare, l’immortale bardo, cattura la psicologia degli uomini che, credendo di trovarsi di fronte a una situazione per la quale non c’è speranza di risoluzione, intraprendono azioni che inevitabilmente li condurranno alla morte.
Anche se ambientata nella Mantova del XIV secolo, in Italia, la tragedia di Shakespeare potrebbe facilmente essere trasportata nel tempo fino alla Francia di oggi, dove il presidente francese Emmanuel Macron, nel ruolo di un moderno Romeo, dopo aver appreso della scomparsa del suo vero amore, l’Ucraina, decide di commettere suicidio incoraggiando l’invio di truppe NATO in Ucraina per confrontarsi militarmente con la Russia.
Macron stava ospitando la scorsa settimana una riunione di crisi, convocata per discutere delle condizioni deteriorate sul campo di battaglia in Ucraina a seguito della cattura russa della città fortezza di Adveevka. Alla riunione hanno partecipato alti rappresentanti degli Stati membri della NATO, tra cui gli Stati Uniti e il Canada.
“Non dovremmo escludere che potrebbe esserci bisogno di sicurezza che giustifichi alcuni elementi di dispiegamento”, ha detto Macron durante una conferenza stampa convocata dopo la riunione. “Ma vi ho detto molto chiaramente quale posizione la Francia mantiene, che è un’ambiguità strategica alla quale aderisco”.
Gli altri partecipanti alla riunione si sono immediatamente affrettati ad annunciare che, dal loro punto di vista, non c’era “ambiguità strategica”: l’invio delle forze NATO in Ucraina non era in discussione.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, presente ai colloqui di Parigi, ha respinto senza mezzi termini la proposta di Macron. “Quello che è stato concordato fin dall’inizio tra di noi e con gli altri vale anche per il futuro”, ha dichiarato Scholtz, “ovvero che non ci saranno soldati sul suolo ucraino inviati da Stati europei o Stati NATO.”
La dichiarazione di Scholz è stata ripresa da altri leader della NATO, lasciando la Francia sola a sopportare le conseguenze dell'”ambiguità strategica” di Macron.
Anche mentre la NATO si affrettava a chiarire la posizione di Macron, la Russia ha reso piuttosto chiaro quali sarebbero state le conseguenze di un qualsiasi dispiegamento precipitoso di forze NATO in Ucraina. Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, ha dichiarato che, in caso di dispiegamento NATO in Ucraina, “non dovremmo parlare della probabilità ma dell’inevitabilità [di una guerra diretta con la NATO]. È così che lo valutiamo”.
Peskov ha osservato che la maggior parte dei paesi NATO partecipanti alla conferenza di Parigi “mantiene una valutazione abbastanza sobria dei potenziali pericoli di un’azione del genere e del potenziale pericolo di essere direttamente coinvolti in un conflitto caldo, coinvolgendoli sul campo di battaglia”.
Il portavoce del Cremlino ha inoltre posto l’accento sulla posizione di Macron riguardo alla “necessità di infliggere una sconfitta strategica alla Russia”, un obiettivo condiviso dagli Stati Uniti e dal Segretario Generale della NATO.
Putin risponde
Nel suo discorso annuale al Parlamento russo, tenuto pochi giorni dopo che Macron ha tenuto la sua conferenza stampa, il presidente russo Vladimir Putin ha eliminato ogni ambiguità sulle conseguenze di qualsiasi intervento della NATO in Ucraina.
“Ricordiamo il destino di coloro che una volta hanno inviato i loro contingenti sul territorio del nostro paese”, ha detto Putin, facendo riferimento alle passate invasioni della Russia da parte di Hitler e Napoleone. “Ma ora le conseguenze per gli eventuali interventisti saranno molto più tragiche”.
E, solo per sottolineare il punto, Putin ha proseguito descrivendo gli ultimi progressi della Russia nel campo delle armi nucleari strategiche – un nuovo missile da crociera a propulsione nucleare, il Burevestnik, che è nelle fasi finali di sviluppo, e il dispiegamento di missili balistici intercontinentali pesanti Sarmat e testate ipersoniche Avangard che sono immuni dalle difese antimissile occidentali.
Putin ha fatto notare che due di queste nuove armi russe – lo Zircon e il Kinzhal – sono state impiegate in servizio durante il conflitto ucraino.
“I leader della NATO devono capire che anche noi abbiamo armi capaci di colpire obiettivi sul loro territorio”, ha detto Putin. “Tutto ciò che stanno inventando ora, spaventando il mondo con la minaccia di un conflitto che coinvolge armi nucleari, che potenzialmente significa la fine della civiltà – non se ne rendono conto?”.
La prova più chiara disponibile che i leader della NATO non si rendono conto delle conseguenze delle loro azioni arriva sotto forma di una trascrizione di una conversazione, pubblicata dalla redattrice capo di RT, Margarita Simonyan, sulla sua pagina sul social network VK, in cui quattro alti ufficiali militari tedeschi discutono su come avrebbero pianificato di attuare le istruzioni loro date dal ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius riguardo alla consegna del missile da crociera Taurus all’Ucraina.
Come risulta dalla trascrizione, le assicurazioni del cancelliere tedesco Scholz che la Germania non sarebbe stata coinvolta direttamente nel conflitto ucraino erano poco più che una menzogna.
Oltre a discutere le questioni logistiche relative al trasferimento di queste armi, gli ufficiali tedeschi hanno discusso del loro possibile impiego, compreso il modo in cui potrebbero essere utilizzate per attaccare il ponte di Crimea che collega la penisola di Crimea con la Russia meridionale.
“Il ponte [di Crimea] a est è difficile da colpire, dato che è un bersaglio piuttosto ristretto, ma il Taurus può farlo, e può anche colpire depositi di munizioni”, ha osservato uno degli ufficiali tedeschi, provocando la risposta di un altro, il quale ha dichiarato che “c’è un’opinione secondo cui Taurus riuscirà a gestire la situazione (colpire il ponte di Crimea) se verrà utilizzato l’aereo da caccia francese Dassault Rafale”.
Scholz è stato reticente ad unirsi alla Gran Bretagna e alla Francia, che hanno trasferito rispettivamente i missili a lungo raggio Storm Shadow e Scalp all’Ucraina.
“Ciò che viene fatto in termini di controllo degli obiettivi e relativo controllo degli obiettivi da parte di inglesi e francesi non può essere fatto in Germania”, ha detto Scholz dopo l’incontro di Parigi, riferendosi al ruolo indiretto svolto da Gran Bretagna e Francia consentendo ai piloti ucraini di lanciare i missili Storm Shadow e Scalp da aerei SU-24 modificati.
“Tutti coloro che hanno avuto a che fare con questo sistema lo sanno”, ha osservato Scholz, suggerendo la necessità di un ruolo diretto da parte del personale militare tedesco nel puntamento e nell’utilizzo del missile Taurus.
“I soldati tedeschi non devono mai e in nessun luogo essere collegati agli obiettivi raggiunti da questo sistema (del Taurus)”, ha detto Scholz, aggiungendo “nemmeno in Germania”.
Scholz, a quanto pare, comprende le potenziali conseguenze del coinvolgimento tedesco nel targeting e nell’utilizzo di eventuali missili Taurus utilizzati dall’Ucraina contro la Russia.
“Questa chiarezza è necessaria”, ha detto Scholz. “Mi sorprende che questo non commuova alcune persone, che non pensino nemmeno se da ciò che facciamo potrebbe emergere una partecipazione alla guerra”.
Chiaramente c’è una disconnessione tra il cancelliere tedesco e il suo ministro della Difesa.
Nel caso in cui gli ufficiali tedeschi e il loro ministro non fossero riusciti a “realizzare” le potenziali conseguenze delle loro azioni, l’esercito russo, il giorno dopo il discorso di Putin al parlamento russo, ha effettuato quello che ha definito “un lancio di addestramento al combattimento di un missile balistico intercontinentale PGRK Yars a propellente solido montato su veicolo, dotato di testate multiple”.
Il missile Yars, lanciato dal sito di prova di Plesetsk situato a sud di San Pietroburgo, può trasportare tra tre e sei testate nucleari indipendentemente mirabili.
Secondo il Ministero della Difesa russo, “le testate d’addestramento sono arrivate nell’area designata presso il poligono di addestramento di Kura nella penisola di Kamchatka” dopo aver percorso una distanza di quasi 4200 miglia.
Quando ero un ispettore delle armi, tra il 1988 e il 1990, lavorando presso l’impianto di produzione di missili di Votkinsk, abbiamo ispezionato il missile balistico intercontinentale SS-25 “Topol”, predecessore del missile “Yars” recentemente testato dalla Russia.
Quando i primi tre missili ispezionati sono usciti dalla fabbrica, gli ispettori statunitensi hanno iniziato a denominarli con il nome di città nordamericane che potrebbero essere teoricamente i loro obiettivi – Pittsburgh, Des Moines e Chicago. Le autorità di Washington, D.C., hanno rapidamente scoraggiato questa pratica, data la sensibilità che si accumula sulla questione della guerra termonucleare.
Ci si deve chiedere se i soldati russi responsabili del lancio del missile Yars abbiano preso il tempo per dare un nome alle loro testate, e se lo hanno fatto, quali città avrebbero scelto per battezzarle.
Non c’è dubbio che se i soldati russi si fossero rivolti all’ex presidente Dmitri Medvedev per consigli dopo aver ricevuto la notizia della conversazione intercettata, le testate sarebbero probabilmente state nominate con il nome di città tedesche – Monaco, Berlino, Francoforte, Amburgo, Norimberga, Düsseldorf.
“Il nemico eterno, i tedeschi, sono diventati di nuovo i nostri arcinemici”, ha sbottato Medvedev in un post sul suo canale Telegram.
I tedeschi sarebbero ben consigliati a riflettere a lungo e con attenzione sulle loro azioni, azioni che potrebbero precipitare un conflitto che, come ha notato Putin, “potenzialmente significa la fine della civiltà – non se ne rendono conto?”
Non se ne rendono conto?
“O malvagità, sei veloce a entrare nei pensieri degli uomini disperati!”
I perché di questa inutile guerra e come se ne esce – Jeffrey Sachs
La guerra d’ucraina compie due anni. Due anni di massacri, morti, distruzioni e dissesti economici che avrebbero potuto essere facilmente evitati. La verità è venuta a galla: questa è una guerra causata da un cinico sforzo trentennale degli Stati Uniti per mantenere la Russia debole, anche attraverso l’espansione della Nato in Ucraina. L’Europa, purtroppo, è uno dei due grandi sconfitti della politica statunitense, il più grande dei quali è naturalmente l’ucraina.
Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero spinto per l’allargamento della Nato negli anni 90, contrariamente alla promessa fatta a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe mossa “di un pollice verso est”. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero allargato la Nato a 10 Paesi tra il 1999 e il 2004: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia nel 2004. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se la Nato non avesse bombardato Belgrado per 78 giorni di fila nel 1999, facendo a pezzi la Serbia. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero abbandonato unilateralmente il Trattato sui missili anti-balistici e non avessero iniziato a schierare i missili Aegis vicino alla Russia.
Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non si fossero impegnati a espandere la Nato all’ucraina e alla Georgia nel 2008. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero sostenuto il violento colpo di Stato contro il presidente ucraino Viktor Yanukovich nel 2014. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa (e Francia, Germania e Ucraina) avessero rispettato l’accordo di Minsk II nel 2015-‘21 per dare autonomia al Donbass. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa avessero negoziato con Putin le proposte della Russia per un nuovo accordo di sicurezza tra Washington e Mosca nel dicembre 2021. E non ci sarebbe stata nessuna guerra oggi se gli Usa non avessero bloccato l’accordo tra Ucraina e Russia che stava per essere finalizzato ad Ankara, in Turchia, nel marzo 2022.
Mentre tengono questo atteggiamento anti-russia, gli Stati Uniti incolpano costantemente la Russia. Ma il punto è che mirano da oltre 30 anni a mantenerla debole e geopoliticamente sottomessa. E il motivo è questo: gli Usa mirano a essere e a rimanere l’egemone globale del mondo, cioè la potenza mondiale con un “dominio a tutto campo” in tutte le parti del mondo, compresa l’europa. Questa politica comporta il fatto che una Russia forte costituisce una minaccia per l’egemonia statunitense, anche se non è una minaccia reale per gli Stati Uniti e per l’europa. Ora gli Usa stanno perseguendo lo stesso approccio nei confronti della Cina, adottando misure commerciali, tecnologiche, militari e finanziarie anti-cinesi per cercare di indebolire Pechino, incolpandola al contempo per il deterioramento delle relazioni.
Il fatto è che il presidente Vladimir Putin non avrebbe permesso alla Nato di entrare in Ucraina, su un confine comune di 2.000 km, tantopiù in quanto gli Usa sono dediti a operazioni segrete di “regime change” e a una politica di indebolimento della Russia. Questa ferma opposizione all’allargamento della Nato è evidente almeno dal 2007 (se non da prima), quando Putin chiese la fine dell’allargamento in un discorso molto pubblicizzato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. E da allora fu sempre molto chiaro. Putin lanciò l’operazione militare speciale il 24 febbraio 2022 con l’obiettivo circoscritto di costringere l’ucraina a tornare al tavolo dei negoziati. E la mossa funzionò. Zelensky stava per accettare la neutralità. Ma gli Usa intervennero e dissero all’ucraina di abbandonare il tavolo dei negoziati. Gli Stati Uniti sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino pur di indebolire la Russia.
Tuttavia la guerra non sta indebolendo la Russia, che oggi è più forte di due anni fa, militarmente, geopoliticamente ed economicamente. L’europa è rimasta in silenzio, mentre gli Stati Uniti e gli alleati facevano saltare il gasdotto Nord Stream e lasciavano l’europa alle dipendenze del gas naturale liquefatto statunitense a costi molto elevati. Tutto molto triste. Ora la Germania, il presunto “motore” dell’eurozona, è bloccata in una recessione con una crisi economica a lungo termine sempre più profonda.
La maggior parte dei leader europei che favoriscono l’approccio statunitense sono molto impopolari presso i propri elettori. Il problema, ovviamente, è che non stanno perseguendo i veri interessi dell’europa. È ora che l’europa difenda i suoi interessi, che sono la pace, lo stop all’allargamento della Nato all’ucraina, un sistema di sicurezza basato non sulla Nato ma sull’osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e il ripristino delle relazioni economiche con la Russia. L’ucraina potrebbe essere in pace – e in sicurezza – come Paese neutrale, con confini negoziati (per esempio, la Crimea rimarrebbe parte della Russia e sede della flotta navale russa del Mar Nero) e altre condizioni. Questa possibilità era sul tavolo già nel marzo 2022 e potrebbe essere realizzata anche ora al tavolo di un negoziato.
L’europa deve scegliere se seguire l’egemonia degli Usa nella guerra perpetua contro la Russia e la Cina, o se invece dotarsi di un sistema di sicurezza proprio che risponda ai suoi reali bisogni e interessi. In questo sistema, la Russia giocherebbe un ruolo costruttivo e l’ucraina sarebbe un Paese neutrale sostenuto dalla sicurezza collettiva in Europa.
La propaganda degli 007 per la guerra mondiale – Elena Basile
La relazione dell’intelligence italiana al Parlamento illustrata dalla direttrice del Dis Elisabetta Belloni e dal sottosegretario Alfredo Mantovano è purtroppo un riepilogo di luoghi comuni della propaganda Nato senza alcun approfondimento o dato di rilievo. Il ministro Antonio Tajani se ne renderà forse conto. È preoccupante che le competenze dell’intelligence siano, volutamente o meno, incapaci di una visione strategica fondata sulla conoscenza reale degli scacchieri internazionali nei quali si opera. Ci uniamo a Emmanuel Todd che nel suo bellissimo libro La defaite de l’Occident si domanda come sia possibile che l’intelligence occidentale abbia preso un abbaglio cosìī grande con la Russia, assecondando una politica di sanzioni economiche e una graduale discesa in guerra militare della Nato al fianco dell’Ucraina, nel presupposto che in pochi mesi Putin sarebbe caduto e gli occidentali avrebbero avuto a Mosca un governo più debole e malleabile per le loro mire espansionistiche. Bastava guardare ai dati economici per capire che dal 2000 al 2017 la Russia si era trasformata e aveva aumentato la sua forza economica e politico militare. Bastava, secondo Todd, guardare agli indici come le morti da alcolismo per comprendere il progresso reale della società russa. Bastava essere consapevoli che la mortalità infantile in Russia è inferiore a quella statunitense o che la percentuale di ingegneri russi (proporzionalmente alla popolazione ) è superiore a quella americana, per modulare la nostra strategia verso Mosca e non prendere una simile batosta in pieno viso.
Purtroppo le relazioni dell’intelligence sono una parodia di quello che studi e statistiche attenti dovrebbero essere. Il duo Mantovano-Belloni attribuisce, senza naturalmente fornire alcuna prova, al distacco dalla Via della Seta cinese la possibilità per l’Italia di proteggere i propri interessi economici e strategici. Ma di fatto, con una politica poco dignitosa e incapace di seguire i veri interessi europei e italiani, stiamo obbedendo al diktat degli Usa, basato sui loro interessi concreti. Appoggiamo la visione patologica che ha portato alla disintermediazione tra capitale e politica. La globalizzazione termina e saranno gli interessi politici americani a indicare se possiamo collaborare con Mosca e Pechino anche se commerci e investimenti con gli emergenti e il Sud globale sono un’opportunità di sviluppo economico e di pace.
L’intelligence ci dice inoltre che dobbiamo difenderci dalla disinformazione russa, una guerra ibrida che influenza le prossime elezioni in ben 76 Paesi. Ci sarebbe da ridere se questa propaganda di guerra non fosse foriera dei mostri che si avvicinano. I turisti della storia ci stanno portando alla terza guerra mondiale mentre noi riempiamo ignari i ristoranti e consumiamo contenti, sicuri che il nostro benessere non possa finire grazie alle azioni scellerate di incompetenti al potere. L’intelligence ovviamente non ha posizioni autonome, ma fa copia-e-incolla dei rapporti dell’intelligence Nato e Ue. Il Parlamento europeo che vota compatto che la Russia è uno “Stato terrorista”. Josep Borrell, l’alto rappresentante Ue per gli affari esteri che su Gaza sembra folgorato sulla via di Damasco, ha difeso la chiusura dei canali d’informazione russi in Europa e a chi gli chiedeva se la censura non fosse contraddittoria per le democrazie liberali non ha risposto nulla. L’Europa è ormai in preda al maccartismo. Bolla unilateralmente la disinformazione russa senza accorgersi che l’Ucraina, gli Usa e la Nato sono altrettante fonti di propaganda. Stiamo gradualmente abbandonando la democrazia liberale. I propositi terrificanti dell’intelligence di punire gli agenti di disinformazione e l’indecente passività della premier di fronte a Zelensky che parla di “troppi filoputiniani in Italia” ci fanno temere tempi cupi.
Caro Zelensky, l’Italia non è in guerra. La Costituzione ci protegge. Siamo una democrazia. In Ucraina lei ha abolito l’opposizione e manda in prigione i dissenzienti, come in Russia. A Roma possiamo ancora esprimere il nostro pensiero e giudicare liberamente le relazioni internazionali. Secondo molti in Italia, lei ha svenduto il suo Paese agli interessi angloamericani. Dovrebbe invece pensare al suo popolo, scegliere la mediazione, la neutralità, le riforme democratiche e avvicinarsi all’Europa senza confliggere con gli interessi del suo grande vicino. Sfugga all’abbraccio mortale di BlackRock che ha il volto di Biden e delle altre marionette che portano il suo Paese e l’Europa alla distruzione.
Dopo le fughe in avanti di Macron, che ha rivelato come il tabù no boots on the ground (niente stivali, cioè truppe sul terreno) stia venendo meno, è chiaro che se continueremo a votare per queste classi dirigenti andremo inesorabilmente verso la terza guerra mondiale. Dobbiamo scegliere: o noi e la certezza di sopravvivenza del genere umano, oppure loro e il rischio nucleare.
https://www.youtube.com/watch?v=WDB17dabolE&ab_channel=MatteoSaudino-BarbaSophia
Se il manganello prepara la strada della guerra – Sergio Bologna
Repressione. Le cariche di Pisa non sono arrivate per impedire di raggiungere un consolato, ma per stroncare l’istinto di libertà e la voglia di pensare diversamente, cioè di pensare. Media e governo sono già pronti al conflitto bellico. Non servirà più accusare i «centri sociali», diranno la prossima volta che è stato necessario caricare i cortei per lo stato di allerta.
Le manganellate agli studenti arrivano in un clima nel quale la preparazione mediatica all’eventualità di una guerra ormai è conclamata. Le prossime cariche saranno giustificate dallo stato di pre-allerta bellico.
È giusto indignarsi per le manganellate di Pisa, ma sarebbe bene che ci ricordassimo tutti quanti che negli ultimi anni la politica dell’ordine pubblico, indipendentemente da chi faceva il ministro dell’Interno, Angelino Alfano o Marco Minniti, Matteo Salvini o Luciana Lamorgese, ha seguito la prassi d’impiegare forze di polizia totalmente sproporzionate all’entità dei manifestanti, con misure di limitazione della libertà altrettanto sproporzionate alla gravità dei reati commessi (quando di reati si trattava).
Fogli di via per uno striscione attaccato a un edificio pubblico, arresti domiciliari per uno spintone a un poliziotto, fedine penali sporcate per una scritta con bomboletta di vernice su una saracinesca. Complici giunte di sinistra, a Milano, a Bologna, in altre città. Nell’indifferenza e nel silenzio generale. Con un palese intento d’infierire soprattutto sui giovanissimi, per insegnare loro a non essere liberi, secondo la regola «ri-educarli sin da piccoli», propria di tutte le dittature del Novecento.
La cosa che mi fa tristezza, nell’ascoltare i racconti di quelli che dieci anni fa erano ragazzi, studenti del primo/secondo anno, diciamo della generazione dell’Onda, è sentirmi dire che in certi Atenei i loro docenti facevano finta di niente: due, tre al massimo su migliaia di cattedratici, di associati, aprivano bocca per protestare, quando la polizia entrava all’università e picchiava.
Per me è trahison des clercs, un tradimento che mi fa guardare con un po’ di sollievo quando oggi accanto ai giovani manganellati – e ad altri che occupano scuole in solidarietà col popolo palestinese – vedo schierarsi anche alcuni loro insegnanti. L’insegnamento è una missione altissima e devi capire, devi stare vicino a quelli che sono affidati a te, anche se sono in minoranza. Anzi soprattutto se sono in minoranza, un insegnante non può tollerare che qualcuno insegni ai suoi studenti a non essere liberi. Perché di questo si tratta: stroncare l’istinto di libertà, stroncare la voglia di pensare diversamente, cioè di pensare.
A questo avrebbero dovuto servire i manganelli di Pisa, mica a impedire ai manifestanti di raggiungere un consolato o chissà quale obbiettivo «sensibile».
Il cosiddetto «ordine pubblico» è l’ultimo dei pensieri di quella trafila di comando che va dal ministero ai prefetti all’ultimo degli agenti. Educare all’ordine, all’obbedienza passiva, questo è l’ordine di servizio. Per giustificare le cariche, sulla stampa del giorno dopo, basta scrivere che in mezzo ai manifestanti ci sono «individui provenienti dai centri sociali», sottolineando magari che hanno qualche anno più della media e sarebbero dunque professionisti del disordine.
Non mi sembra che sia cambiato molto da Genova 2001 a Pisa 2024, se non per due circostanze.
La prima: l’impunità con cui esponenti politici, parlamentari e giornalisti di quella banda hanno sputato sul presidente della Repubblica, la normalità con cui un funzionario in divisa ha potuto dichiarare «Mattarella non è il mio presidente», cioè la facilità con cui oggi ci si può togliere la maschera e far vedere la propria faccia eversiva.
La seconda, molto più grave: che tutto questo avviene in un clima nel quale la preparazione mediatica all’eventualità di una guerra ormai è conclamata.
Le parole dell’ammiraglio Bob Bauer, una delle massime cariche militari della Nato, nel presentare il 18 gennaio alla stampa le manovre militari in corso nel Mediterraneo e nel Baltico come «le più importanti degli ultimi decenni» sono state esplicite (le traggo da Volerelaluna): «Per molti decenni abbiamo avuto questa idea dell’esercito professionale che avrebbe risolto tutti i problemi di sicurezza ma per una difesa collettiva gli apparati militari attuali non sono più sufficienti, tu hai bisogno di più gente che sostenga gli eserciti È l’intera società che deve sentirsi coinvolta, che le piaccia o no».
Aspettiamoci dunque di vedere la nostra “classe dirigente“ cambiare guardaroba, dismettere tailleurs e gessati e indossare la mimetica.
Poi, se si dovesse andare in guerra, saranno i primi a imboscarsi. A combattere, c’è da scommettere, faranno andare come al solito i giovani come quelli presi a botte. Penso che le prossime cariche della polizia non saranno più giustificate tirando in ballo i «centri sociali». Ci diranno che siamo in stato di pre-allerta.
Dunque la pace che chiediamo non è solo per la Palestina, è per noi.
Il Manifesto 5 marzo 2024
La Leonardo parteciperà alla costruzione di 12 sottomarini nucleari USA – Antonio Mazzeo
Il più ambizioso e costoso progetto delle forze armate degli Stati Uniti d’America per affrontare la tanto invocata guerra nucleare tra una decina di anni: la costruzione di dodici sottomarini a propulsione nucleare armati di missili balistici intercontinentali con testate atomiche da centinaia di kiloton. Un futuro mondiale a tinte fosche a cui darà il proprio contributo la holding regina del complesso militare-industriale italiano, Leonardo SpA, controllata per il 30% dal ministero dell’Economia e delle finanze.
Lo scorso mese di gennaio la controllata Leonardo DRS con quartier generale e stabilimenti negli USA ha sottoscritto un contratto del valore complessivo di 3 miliardi di dollari per fornire il sistema integrato di propulsione elettrica che sarà montato a bordo dei nuovi sistemi di guerra subacquea. Nello specifico Leonardo DRS curerà per conto di US Navy e della società contractor (General Dynamics Electric Boat) la progettazione e la realizzazione del motore elettrico di propulsione principale a magnete permanente e i relativi sistemi di conduzione e controllo. (1)
In vista della commessa miliardaria, i manager di Leonardo DRS hanno sottoscritto nei giorni scorsi un contratto di locazione nell’area metropolitana di Charleston (South Carolina), per sviluppare un impianto che sarà destinato alla produzione avanzata, all’assemblaggio e all’effettuazione delle prove di funzionamento dei sistemi di propulsione navale, con un investimento netto di 120 milioni di dollari. “La prossima struttura del South Carolina consentirà alla società di accrescere la propria capacità di propulsione navale, al fine di razionalizzare il suo sostegno ai programmi prioritari della Marina degli Stati Uniti”, riporta l’ufficio stampa del gruppo industriale. “Le nuove capacità rese possibili da questo investimento avranno un ruolo chiave nella continua espansione dell’integrazione e delle prove dei sistemi di propulsione della nostra società”. L’impianto di Charleston entrerà in funzione a partire del 2026 ed interagirà con gli altri stabilimenti di Leonardo DRS specializzati nel settore della propulsione navale, come ad esempio quelli di Fitchburg (Massachusetts), Menomonee Falls (Wisconsin), Danbury (Connecticut) e High Ridge (Missouri).
“Siamo fieri di poter produrre le componenti della prossima generazione del sistema a propulsione elettrico della nuova classe di sottomarini Columbia con missili balistici”, ha dichiarato Wlliam J. Lynn, amministratore delegato di Leonardo DRS ed ex sottosegretario alla difesa durante l’amministrazione Obama. “La nuova struttura in South Carolina espande la nostra capacità di supportare i clienti della Marina militare degli Stati Uniti d’America in questo ed altri programmi strategici che rafforzeranno la base industriale sottomarina del paese”. Grazie al nuovo impianto di Charleston i manager di Leonardo DRS sperano pure di rafforzare la partnership con le autorità civili e militari, gli operatori economici, le università e i maggiori centri di ricerca statali…
Emmanuel Todd: «Stiamo assistendo alla caduta finale dell’Occidente»
Intervista a cura di Alexandre Devecchio
GRANDE INTERVISTA A «LE FIGARO» – Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell’Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l’autore aveva previsto con precisione il crollo dell’Unione Sovietica. «Le Figaro» spera che, questa volta, il “profeta” Todd si sbagli.
LE FIGARO. – Secondo lei, questo libro ha in particolare come punto di partenza l’intervista che ha concesso al «Figaro» esattamente un anno fa, intitolata “La Terza Guerra Mondiale è iniziata“. Ora lei constata la sconfitta dell’Occidente. Ma la guerra non è finita…
Emmanuel TODD. – La guerra non è finita, ma l’Occidente è uscito dall’illusione di una vittoria ucraina possibile. Non era ancora chiaro per tutti quando scrivevo, ma oggi, dopo il fallimento della controffensiva di quest’estate, e la constatazione dell’incapacità degli Stati Uniti e degli altri paesi della NATO di fornire armi sufficienti all’Ucraina, il Pentagono sarebbe d’accordo con me.
La mia constatazione della sconfitta dell’Occidente si basa su tre fattori.
Primo, la carenza industriale degli Stati Uniti con la rivelazione del carattere fittizio del PIL americano. Nel mio libro, smonto questo PIL e mostro le cause profonde del declino industriale: l’insufficienza della formazione di ingegneria e più in generale il declino del livello educativo, a partire dal 1965 negli Stati Uniti.
Più in profondità, la scomparsa del protestantesimo americano è il secondo fattore della caduta dell’Occidente. Il mio libro è in fondo un seguito a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, di Max Weber. Egli pensava, alla vigilia della guerra del 1914, con giustezza, che l’ascesa dell’Occidente era nel suo cuore quella del mondo protestante: Inghilterra, Stati Uniti, Germania unificata dalla Prussia, Scandinavia. La fortuna della Francia fu di essere geograficamente attaccata al gruppo di testa. Il protestantesimo aveva prodotto un livello educativo elevato, inedito nella storia umana, l’alfabetizzazione universale, perché esigeva che ogni fedele potesse leggere da sé le Sacre Scritture. Inoltre, la paura della dannazione, il bisogno di sentirsi eletto da Dio inducevano un’etica del lavoro, una forte moralità individuale e collettiva. Con, in negativo, alcuni dei peggiori razzismi mai esistiti – anti-nero negli Stati Uniti o anti-ebreo in Germania – poiché, con i suoi eletti e i suoi dannati, il protestantesimo rinunciava all’uguaglianza cattolica degli uomini. Il vantaggio educativo e l’etica del lavoro hanno prodotto un vantaggio economico e industriale considerevole.
Oggi, simmetricamente, il recente crollo del protestantesimo ha innescato un declino intellettuale, una scomparsa dell’etica del lavoro e una cupidigia di massa (nome ufficiale: neoliberismo): l’ascesa si converte in caduta dell’Occidente. Questa analisi dell’elemento religioso non denota in me alcuna nostalgia o deplorazione moralistica: è una constatazione storica. D’altronde anche il razzismo associato al protestantesimo scompare e gli Stati Uniti hanno avuto il loro primo presidente nero, Obama. Non possiamo che rallegrarcene.
E qual è il terzo fattore?
Il terzo fattore della sconfitta occidentale è la preferenza del resto del mondo per la Russia. Questa ha scoperto discreti alleati economici ovunque. Un nuovo soft power russo conservatore (anti-LGBT) ha funzionato a pieno regime quando è diventato chiaro che la Russia reggeva lo shock economico. La nostra modernità culturale appare infatti piuttosto folle al mondo esterno: constatazione da antropologo, non da moralista rétro. E inoltre, poiché viviamo del lavoro sottopagato degli uomini, delle donne e dei bambini dell’ex terzo mondo, la nostra morale non è credibile.
In questo libro, il mio ultimo, voglio sfuggire all’emozione e al giudizio morale permanente che ci avvolgono e proporre un’analisi spassionata della situazione geopolitica. Attenzione, coming out intellettuale in arrivo: nel mio libro mi interesso alle cause profonde e di lunga durata della guerra in Ucraina, piango la scomparsa del mio padre spirituale in storia, Emmanuel Le Roy Ladurie, e confesso tutto: non sono un agente del Cremlino, sono l’ultimo rappresentante della scuola storica francese delle Annales!
Possiamo davvero parlare di guerra mondiale? E la Russia ha davvero vinto? Ci troviamo semmai in una forma di stallo…
Gli americani cercheranno effettivamente uno stallo che permetterebbe loro di mascherare la loro sconfitta. I russi non lo accetteranno. Sono consapevoli non solo della loro superiorità industriale e militare immediata, ma anche della loro debolezza demografica futura. Putin vuole certamente raggiungere i suoi obiettivi di guerra risparmiando uomini e si prende il suo tempo. Vuole preservare quel che ha acquisito nella stabilizzazione della società russa. Non vuole rimilitarizzare la Russia e tiene a proseguire il suo sviluppo economico. Ma sa anche che classi demograficamente vuote stanno arrivando e che il reclutamento militare sarà nei prossimi anni (tre, quattro, cinque?) più difficile. I russi devono quindi abbattere l’Ucraina e la NATO ora, senza permettere loro alcuna pausa. Non facciamoci illusioni. Lo sforzo russo si intensificherà.
Il rifiuto occidentale di pensare alla strategia russa nella sua logica, con le sue ragioni, le sue forze, le sue limitazioni, ha portato a una cecità generale. Le parole fluttuano nella nebbia. Sul piano militare, il peggio deve ancora arrivare per gli ucraini e gli occidentali. La Russia vuole probabilmente recuperare il 40% del territorio ucraino e ottenere un regime neutralizzato a Kiev. E sui nostri schermi televisivi, proprio mentre Putin afferma che Odessa è una città russa, si continua a raccontare che il fronte si sta stabilizzando…
Per dimostrare il declino dell’Occidente, si insiste sull’indicatore della mortalità infantile… In che modo questo indicatore è rivelatore?
Fu nell’osservare l’aumento della mortalità infantile in Russia tra il 1970 e il 1974, e l’interruzione della pubblicazione delle statistiche su questo argomento da parte dei sovietici, che avevo dedotto che il regime non avesse futuro, nel mio libro ‘La Caduta finale’ (1976). Quindi è un parametro che ha dimostrato la sua efficacia. Gli Stati Uniti sono qui in ritardo rispetto a tutti i paesi occidentali. I più avanzati sono i paesi scandinavi e il Giappone, ma anche la Russia è avanti. La Francia sta meglio della Russia, ma si sentono da noi i primi segni di un aumento. E, in ogni caso, siamo qui in ritardo rispetto alla Bielorussia. Questo significa semplicemente che quello che ci viene detto sulla Russia è spesso falso: viene presentata come un paese in declino, enfatizzando i suoi aspetti autoritari, ma non si vede che è in una fase di rapida ristrutturazione. La caduta è stata violenta, il rimbalzo è sbalorditivo.
Questo dato può essere spiegato ma significa prima di tutto che dobbiamo accettare una realtà diversa da quella veicolata dai nostri media. La Russia è certamente una democrazia autoritaria (che non protegge le sue minoranze) con un’ideologia conservatrice, ma la sua società si sta muovendo, diventando molto tecnologica con sempre più elementi che funzionano perfettamente. Dire questa realtà mi definisce come uno storico serio e non un putinofilo. Ogni putinofobo responsabile avrebbe dovuto prendere le misure del suo avversario. Sottolineo costantemente che la Russia ha, assolutamente come questo Occidente che pensava decadente, un problema demografico. La legislazione russa anti-LGBT, se probabilmente seduce il resto del mondo, non porta i russi a fare più figli di noi. La Russia non sfugge alla crisi generale della modernità. Non c’è un contro-modello russo.
Creare un orizzonte sociale con l’idea che un uomo possa veramente diventare una donna e una donna un uomo, significa affermare qualcosa di biologicamente impossibile, è negare la realtà del mondo, è affermare il falso.
Tuttavia, non è impossibile che l’ostilità generale dell’Occidente strutturi e dia armi al sistema russo, suscitando un patriottismo di raduno. Le sanzioni hanno permesso al regime russo di lanciare una politica protezionistica di sostituzione su larga scala, che non avrebbe mai potuto imporre da solo ai russi, e che darà alla loro economia un vantaggio considerevole su quella dell’UE. La guerra ha rafforzato la loro solidità sociale, ma anche loro hanno una crisi individualista, i resti di una struttura familiare comunitaria sono solo un elemento di mitigazione. L’individualismo che muta pienamente in narcisismo si sviluppa solo nei paesi dove regnava la famiglia nucleare, soprattutto nel mondo anglo-americano. Osiamo un neologismo: la Russia è una società di individualismo incorniciato, come il Giappone o la Germania.
Il mio libro propone una descrizione della stabilità russa, poi, muovendosi verso l’ovest, analizza l’enigma di una società ucraina in decomposizione che ha trovato nella guerra un senso alla sua vita, passa poi al carattere paradossale della nuova russofobia delle ex democrazie popolari, poi alla crisi dell’UE, e infine alla crisi dei paesi anglo-sassoni e scandinavi. Questo movimento verso l’ovest ci porta per tappe verso il cuore dell’instabilità del mondo. È un tuffo in un buco nero. Il protestantesimo anglo-americano ha raggiunto uno stadio zero della religione, oltre lo stadio zombie, e produce questo buco nero. Negli Stati Uniti, all’inizio del terzo millennio, la paura del vuoto si trasforma in deificazione del nulla, in nichilismo.
Parlare di democrazia autoritaria a proposito della Russia non è forse un po’ troppo lusinghiero?
Bisogna uscire dalla contrapposizione fra democrazia liberale e autocrazia pazza. Le prime sono piuttosto oligarchie liberali, con un’élite disconnessa dalla popolazione: nessuno al di fuori dai media si preoccupa del rimpasto a Palazzo Matignon. Al contrario, bisogna anche usare un altro concetto per sostituire quelli di autocrazia o di neostalinismo. In Russia, la maggioranza della popolazione sostiene il regime, ma le minoranze – che siano gay, etniche, o oligarchi – non sono protette: è una democrazia autoritaria, nutrita dai resti del temperamento comunitario russo che aveva prodotto il comunismo. Il termine ‘autoritario’ pesa per me tanto quanto il termine ‘democrazia’…