La comune comitanza-6
di Maia Cosmica
A tutti coloro che scorgono orizzonti infiniti..
Quando comincia il cielo?
La vita di un comitato ha ritmi suoi propri finché ci si trovi tra persone che sentono lo stesso problema e la stessa voglia di risolverlo, insieme. Poi acquisisce un ritmo scandito dai tempi burocratici, quando si abbia da interagire con le varie amministrazioni pubbliche e/o private, infine una turbolenza che riflette il caos di idee, spunti, decisioni anche improvvise per determinare quella volontà comune che nel frattempo ha preso sostanza, forma, azione… e storia.
Non ci hanno fatti entrare tutti, una delegazione soltanto. Delegazione, parola sfuggente nel vocabolario comitatese, se c’è qualcosa che qui non c’è è proprio la delega, né al tecnico, né al politico, né all’amico di turno, qui ognuno viene con la propria testa, le proprie gambe (quando può) e ognuno è una voce, ben che vada si possono sentire in coro, le voci, tante e diverse, ma si è mai sentita la delegazione di un coro?? Aspetto.
Un orologio solare. Non c’è dubbio! È proprio un orologio solare! Uno di quelli incisi e affrescati su muro, con lo stilo sporgente la cui ombra segna l’ora. Le ore vere, locali. Le ore nostre ma non quelle che siamo abituati a leggere regolate sul fuso orario della mia zona di mondo ma quelle di questo punto del mondo, con le sue caratteristiche uniche, con la sua storia e il suo tempo che gli è proprio e proprio di chiunque passi da qui. Linee orarie in verticale, linee calendariali, orizzontali. A chi voglia ascoltarlo, ha da raccontare una storia grande come il cielo! Illimitata ma che ogni giorno comincia, ogni giorno finisce. Ho sempre pensato che un orologio solare sia come una porta che conduce dalla terra al cielo e viceversa, dal passato al futuro in questo presente che si ripete mai uguale a sé stesso mentre scorro i segni del tempo all’indietro o in avanti, da linea a linea, come un’ombra proiettata da un corpo finché è immerso nella luce, ombra nell’ombra nell’attesa di nuova luce. Poesia pura, appesa sotto uno stilo, sotto l’asse del mondo, come una ragnatela tessuta dal ragno del tempo, lineare solo per chi ne voglia vedere un pezzo alla volta rinunciando alla vista nel suo insieme, labirintica, spiraliforme… avvolgente. Un coro di voci.
Ma quando comincia il cielo? Quando comincia a prendere vita raccontando la sua storia questo disegno dell’ingegno umano e cosmico? Il quadrante, in questo caso, è orientato a Est… sta lì ad aspettare che l’orizzonte si riveli alla luce, lontano lontano, là dove arrivano gli occhi più acuti, la dove si spinge l’ombra lieve e lunghissima del segna-tempo, là dove la mente può espandere la propria sensazione di esistenza, là dove pare possibile il contatto crepuscolare, evanescente, sognato, che all’improvviso si trasforma nell’urto della luce gentile del mattino, gentile all’apparenza, mentre ti chiude l’orizzonte intorno come una cinta di sicurezza, come mura di luce e l’ombra dell’asse del mondo si allinea cantando la sua prima ora. È cominciato. Ma se stessi ogni mattina qui, in attesa che la luce si riveli a noi, troverei la stessa evanescenza, lo stesso sogno impossibile, lo stesso contatto evitato e desiderato, lo stesso sussurro di un’eco lontana che è la storia ripetuta infinite volte, pazientemente, finché non giunge ai sensi distinta, forte, sicura della propria verità. Ogni volta coglierei una parola in più, o in meno, ogni mattina sarebbe diversa dalle altre e così questo pezzo di vita appeso a un muro mi rivelerebbe la magia e lo spettacolo che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e secondo, ogni loro frazione infinitesima, portano con sé. Ogni volta imparerei a tendermi un pochino più in là, oserei andare incontro alla luce fluendo insieme a questo punto di mondo verso la sua fonte, inseguendo la mia ombra che pare giungere prima di ogni altro senso. Scoprirei così che non siamo soli, io e l’asse del mondo, terra e cielo intorno a noi sembrano anch’essi sospesi nella stessa tensione irrisolvibile, impegnati nel tentativo di disegnare la linea mancante. Irrisolta.
Seguo la storia che l’orologio solare continua a raccontarmi di sé, di me e di chiunque sia qui, ora per ora, mentre ci muoviamo senza muoverci, intorno a noi stessi e intorno alla nostra stella, mobile anch’essa nello spazio del cosmo, una storia sgranellata come sabbia in una clessidra, che nel suo scorrere sembra solida come una colonna finchè, diradandosi, svanisce, a granelli e finisce. Così aspetto che finisca e la simmetria delle attese inizia a infastidirmi. Non occorre però che mi sforzi, la fine è nell’inizio come in uno specchio e allora gioco anch’io! Oltre al disegno che ho davanti, in trasparenza ce n’è un altro, il suo speculare. Non ho bisogno di sensi, basta rendere trasparente il muro e immaginarsi dalla parte opposta al quadro, o, se si preferisce, all’orizzonte opposto, là dove c’è un punto che racconta l’altro pezzo di storia, il conto è presto fatto: latitudine simmetrica rispetto all’orizzonte, declinazione opposta, verso Ovest. Ed eccomi all’istante dall’altra parte del mondo, dall’altra parte del quadro! Al di là dello specchio, nel mondo che a volte appare, dopo la pioggia, ai nostri piedi, quando una pozzanghera d’acqua apre il proprio varco verso la realtà a testa in giù e la preoccupazione maggiore è non bagnarsi i piedi. Piedi per terra!
La delegazione è uscita, le facce raccontano già la storia che non abbiamo raccontato insieme, che non abbiamo ascoltato insieme e per un attimo guardo con commozione quell’orologio solare appeso al suo orgoglio dimenticato, fiero commesso di un compito affidatogli come un dono che intreccia nelle profondità della terra le radici di ogni albero aperto al cielo e congiunge ogni storia alle infinite altre, come un poeta o un cantore fuori dal tempo, capace ancora di esercitare la propria arte con maestrìa e umiltà ma ignorato da glorie infrante, orgogli feriti, tempi rubati. E per un battito di ciglia intravedo, nella sua saggezza trasparente, il mondo all’incontrario che sta al di là, dove pensiamo sia tutto finito e dove invece si rinnova continuamente uno sfuggevole e desiderato inizio. Quando comincia il cielo.