La conchiglia, l’arte, il pitecantropo

di Giorgio Chelidonio

La preistoria (anzi il suo studio, cioè la paletnologia) è “scienza del dubbio”… Proprio per questo è intrigante perché,

essendo tuttora talmente parziale la nostra conoscenza di un tempo geologicamente così breve (2,5 milioni di anni!) c’è sempre qualcosa da scoprire, qualche stereotipo consolidato da superare, qualche “anello mancante” (micro o macro) da riconsiderare, qualche piccola novità capace di gettare luce sull’evoluzione crono-culturale locale, a volte con valenza regionale o persino globale.
Sembra proprio quest’ultimo il caso del recente annuncio di aver rilevato su una conchiglia – reperto di vecchi scavi a Trinil/Giava – (
nota1) tracce di incisioni geometriche, oltreché di perforazioni intenzionali. Così titolavano il 3 dicembre scorso le news de «Le Scienze»:
“Quando Homo erectus inventò le decorazioni geometriche. L’invenzione dell’incisione geometrica è da attribuire a Homo erectus, e non al più moderno Homo sapiens” (nota 2)
In un’unica “nuova scoperta” si sono condensati vari cambiamenti più o meno clamorosi. Provo a riassumerli:

  • il reperto in questione fa parte di una raccolta fatta nel 1891 da E.Dubois (l’antropologo olandese cui si deve la prima definizione di Pithecanthropus erectus, probabilmente il primo ominino a raggiungere il sud/est asiatico) e accuratamente conservata preso l’Università di Leiden. Da un nuovo studio ad indirizzo malacologico si è potuto dedurre che molte conchiglie (166 analizzate) erano state intenzionalmente raccolte per scopi alimentari e che circa 1/3 portavano segni di foratura intenzionale, accuratamente centrata nel punto adatto a causare l’apertura del bivalve. Inoltre dall’analisi dei fori si è ipotizzato (evidentemente in assenza di manufatti litici adatti allo scopo) che siano stati fatti usando denti di squalo, un strumento opportunistico che si stima sia stato allora naturalmente disponibile in quel territorio;
  • dopo oltre 120 anni dalla loro raccolta, datandole con il metodo di laboratorio detto “39AR/40AR” cioè una tecnica radiometrica basata sul potassio/argon (nota 3) si è ottenuta una datazione compresa fra un massimo di 0.54 +/- 0.10 milioni di anni e un minimo di 0.43 +/- 0.05 milioni di anni, pari a quasi 500 mila anni fa. Inoltre nello stesso strato in cui erano contenute le conchiglie (che il Dubois definì Hauptknochenschicht, cioè “strato principale delle ossa”) vennero trovate varie ossa di ominini, fra cui una calotta cranica, finora datate fra 1 e 0,7 milioni di anni fa. Conseguentemente, si è dovuto ridurre di almeno 200 mila anni la datazione dell’intero sito. Si aggiunga che i bordi di alcune di queste conchiglie presentano tracce derivanti dall’essere state utilizzate come coltelli per macellare carne di animali.

Ma la notizia più eclatante è che sulla superficie di una delle conchiglie in questione si sono rilevate tracce di un’incisione zigzagante (visibile solo a luce radente) ma continua, praticata con forza e decisione, probabilmente quando la valva era ancora fresca e ricoperta dal periostraco (nota 4), il rivestimento esterno dei bivalvi. Lo studio, condotto da una nutrita equipe internazionale, fra cui il professor Francesco d’Errico (Università di Bordeaux, uno dei massimi specialisti per lo studio delle micro-tracce d’incisione su pietra o su osso) ha dunque non solo quasi triplicato in sol colpo la più antica traccia di grafismo simbolico, che prima si faceva risalire (da pochi anni) ad alcuni blocchetti di ocra incisi con reticoli geometrici rinvenuti nella grotta sudafricana di Blombos (nota 5) in strati risalenti fra 70 mila anni fa circa. Solo nel 2008, nella medesima cavità, ma in strati più profondi datati a quasi 100 mila anni fa, è riemerso un kit per la produzione e la conservazione di polvere d’ocra: macinelli per sminuzzare, polverizzare l’ocra e una grossa conchiglia usata come contenitore. Fu grande allora lo stupore per un pubblico abituato da decenni a considerare le più antiche forme “artistiche”, cioè espressioni grafiche, come eurocentriche e non più vecchie di 30-40 mila anni. Ma la sorpresa era mediata dall’aver nel frattempo già appreso che i primi Homo Sapiens (nota 6) erano africani e risalivano fra 195 e 150 mila anni fa. Il grafismo della conchiglia di Trinil, la sua datazione a quasi 500 mila anni e l’essere coeva con una calotta cranica di Homo erectus comportano un vero e proprio salto evolutivo all’indietro: dover riconoscere che non la nostra specie, anzi neppure i nostri più prossimi “parenti” evolutivi (i Neandertaliani) ma un gruppo di ominini ben più arcaici (e che non a caso avevamo, inizialmente, definito pitecantropi cioè uomini-scimmia) erano capaci di espressioni grafiche, cioè astratte e forse persino simboliche. Tutto questo significa attribuire all’evoluzione medio-finale di Homo erectus (nota 7) capacità cognitive che credevamo esclusive di Homo sapiens, cioè noi! Ricordo che Homo Erectus viene tuttora considerato specie estinta, vissuta fra 1,9 e 0,143 milioni di anni fa e dotata di una capacità cranica evolutasi fra i 546 c.c (sito georgiano di Dmanisi, datato 1,77 milioni di anni circa) e i 780 c.c. (sito cinese di Lantian, datato a 0,5 milioni di anni fa circa). Credere al binomio “Homo sapiens = arte” era forse una credenza auto-consolatoria? Oppure possiamo trincerarci in uno scetticismo, magari pensando che la conchiglia incisa di Trinil possa essere stato uno scarabocchio casuale? Gli altri dettagli delle nuove deduzioni fatte sui reperti giavanesi confermano anzi che l’evoluzione culturale degli ominini non è stata né lineare né sapiens-centrica: le tracce di forature operate probabilmente con denti di squalo, cioè non con manufatti ma con strumenti opportunistici, suggeriscono che la capacità adattiva sia sempre stata modulata nei singoli ambienti; identica l’indicazione dei bordi di conchiglia usati come strumenti taglienti. Insomma non solo la paletnologia preistorica è (e rimarrà) “scienza del dubbio”, ma soprattutto è necessario liberarsi dal retaggio di vecchi pregiudizi culturali, quelli che, ad esempio, fecero considerare per quasi 2 secoli, “primitivi” gli aborigeni australiani solo perché nel loro isolamento continentale (durato almeno 40 mila anni) non avevano elaborato manufatti metallici. I loro complessi miti fondativi, il cosiddetto “tempo del sogno” (nota 8), rivelavano invece una profonda spiritualità radicata nelle relazioni ambientali, espressa da innumerevoli generazioni in dipinti policromi e simbolici, tuttora conservati in ripari sottoroccia come quelli di Narwala Gabarnmang (nota 9), risalenti fra 28 e 16 mila anni fa circa.
Ma se, a questo punto, l’accavallarsi di date e ripensamenti paletnologici vi avessero un po’ incraniato le idee, leggetevi (o tornate a rileggervi) «Le vie dei canti» (
nota 10) di Bruce Chatwin, o anche la ben più modesta paginetta che ho scritto a questo proposito in un mio ormai introvabile manuale didattico (nota 11). Anche in questo libro, in cui già consideravo la ricerca preistorica come “scienza del dubbio”, concludevo (pp. 236-239) che mi sarebbe piaciuto farne una riedizione dieci anni dopo per vedere come e quanto sarebbe cambiate le nostre convinzioni: ne sono passati 22 e le sorprese non cessano di stupirci!

NOTE (o meglio Links)

  1. http://humanorigins.si.edu/evidence/human-fossils/fossils/trinil-2
  2. http://www.lescienze.it/news/2014/12/03/news/incisioni_geometriche_homo_erectus-2397953/
  1. http://www.treccani.it/enciclopedia/clima-e-ambiente-nel-quaternario_%28Il_Mondo_dell%27Archeologia%29/ + http://it.wikipedia.org/wiki/Datazione_radiometrica
  2. http://www.treccani.it/enciclopedia/periostraco/
  3. http://en.wikipedia.org/wiki/Blombos_Cave
  4. http://it.wikipedia.org/wiki/Homo_sapiens_idaltu
  5. http://en.wikipedia.org/wiki/Homo_erectus
  6. http://it.wikipedia.org/wiki/Tempo_del_Sogno
  7. http://en.wikipedia.org/wiki/Gabarnmung
  8. http://it.wikipedia.org/wiki/Le_vie_dei_canti
  9. https://www.academia.edu/1971229/Apprendimento_ambiente_origini_esplorare_le_radici_del_futuro pp. 183-185 (capitolo “Variabilità e transizione”)

 

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