La Coppa del mondo in Brasile: un’opportunità o un rischio per il paese?

di David Lifodi

Il 12 giugno è la giornata d’apertura dei mondiali di calcio in Brasile: la Seleção apre la massima competizione calcistica affrontando la Croazia a San Paolo, ma Brasil 2014 non è esclusivamente, o soltanto, pallone. Aldo Zanchetta, nel suo mininotiziario America Latina dal basso, ha scritto di divorzio in vista tra il Brasile e il football, un intellettuale e analista politico di prim’ordine come Raúl Zibechi descrive il paese che ospita i mondiali come una pentola a pressione pronta a scoppiare da un momento all’altro, il professor Julio Monteiro Martins, brasiliano doc, sottolinea che alcuni progetti urbani avranno ricadute positive, da quelli legati alle nuove arterie urbane che uniscono aree ancora isolate delle grandi città fino a progetti di produzione di energia solare, come nel caso del nuovo stadio di Recife.

Tutti e tre sostengono delle posizioni condivisibili sotto molti aspetti: di certo, ha ragione Monteiro Martins quando afferma che mai un risultato di un mondiale di calcio ha avuto per il Brasile una tale importanza politica: se la Seleção conquisterà la Hexa, il sesto titolo mondiale, Dilma Rousseff sarà rieletta al primo turno alle presidenziali di ottobre, in caso contrario le proteste torneranno subito e raddoppiate. Calcio e politica, come già avvenuto per l’Argentina dei militari nel 1978 e la Francia multiculturale del 1998, si intrecciano. Buona parte dei sondaggi indicano che più della metà dei brasiliani sono ostili al grande evento. Il giornalista brasiliano Éric Nepomuceno evidenzia il caso della Confederazione Brasiliana di Football (Cbf), gestita da José Maria Marin, definito un “mascalzone” per la sua collaborazione con la dittatura militare che si instaurò nel paese dal 1964 al 1985, tanto da far arrestare il giornalista Vladimir Herzog, morto a seguito delle torture in carcere. Marin è tuttora consulente di quella Fifa (Fédération Internationale de Football Association) che i brasiliani percepiscono come un’entità che ha espropriato i brasiliani della Coppa del mondo. I torcedores evidenziano la vergognosa gestione della vendita dei biglietti, a prezzi improponibili per un brasiliano medio. Un pezzo del Jornal do Brasil racconta come solamente un terzo dei biglietti sia destinato al pubblico brasiliano: il resto sarebbe già stato assegnato a partner commerciali, ospiti della stessa Fifa, vip o presunti tali. La Coppa è per i turisti che se lo possono permettere, hanno dichiarato alcuni degli intervistati al Jornal do Brasil, di certo non per il popolo. Poco prima dell’inizio dei mondiali, il Brasile ha ospitato il Campeonato mundial alternativo de futebol da rua. L’agenzia di notizie Adital ha intervistato Sergio Haddad, tra i fondatori del Forum sociale di Porto Alegre e che, attualmente, lavora con la ong Ação Educativa. Haddad spiega: “Le proteste dei brasiliani non sono contro il campionato in se stesso, ma verso alcune politiche di stato e certi problemi che deriveranno dallo svolgersi dei mondiali, a partire dalle spese per organizzare il mondiale in un paese che necessiterebbe di maggiori investimenti nel campo della sanità, dell’istruzione e del trasporto”. Il futebol da rua, nato negli anni Novanta nella città argentina di Moreno (Gran Buenos Aires) come pratica sociopedagogica per favorire l’integrazione delle comunità in un contesto sociale molto complesso, ha preso piede in Brasile per combattere le pratiche razziste e discriminatorie e mostrare che è possibile giocare a calcio rispettando le differenze e promuovendo la pace.  Raúl Zibechi, autore di Brasil potencia. Entre la integración regional y un nuevo imperialismo, sottolinea che il primo ad essere preoccupato per ciò che potrebbe succedere durante i mondiali è proprio il governo. Il giornalista uruguayano, nel suo articolo Brasil: la olla de presión puede estallar, pubblicato su numerosi siti di controinformazione, precisa di concordare con questo pensiero, peraltro non espresso da lui, ma dal ministro Gilberto Carvalho, sul quotidiano O Estado de São Paulo dello scorso 29 aprile. Parallelamente ai mondiali, riflette Zibechi, ci sono almeno tre fenomeni che potrebbero portare ad un’esplosione sociale difficilmente controllabile: la crescita delle mobilitazioni nelle favelas contro la polizia, l’apparizione dei rolezinhos, i giovani manifestanti già comparsi sulla scena a dicembre, perlopiù afrobrasiliani, per manifestare nei grandi mall di megalopoli come San Paolo e Rio de Janeiro e allontanati con violenza da militari e guardie private (chiamate da solerti impiegati e clienti di alto rango dei centri commerciali), infine due drammatiche morti nelle favelas avvenute in primavera, della giovane Claudia Silvia Ferreira e del ballerino di Tv Globo Douglas Rafael da Silva, entrambe, ancora una volta, per mano della polizia. I mondiali potrebbero quindi rappresentare un’occasione per scatenare una vera e propria battaglia contro i militari: ad esempio, il sociologo José Claudio Alves ha definito le Unidades de Polícia Pacificadora  (Upp) come una forza di occupazione e non uno strumento di gestione pacifica dei conflitti. È in questo contesto, denota Zibechi, che le grandi opere per i mondiali di calcio sono considerate dai favelados come un ulteriore insulto alla loro dignità. Ad esempio, scrive il giornalista di Brecha, la favela carioca Morro da Providencia ha un’unica piazza occupata da una stazione della funicolare per permettere ai turisti di giungere in un luogo sicuro per scattare le proprie fotografie in totale sicurezza. Gli stessi concetti sono stati espressi dalla lettera aperta alla società civile Que um grito de gol não o abafe a nossa história, divulgata in occasione del I Encontro dos Atingidos, svoltosi all’inizio di maggio Belo Horizonte e significativamente intitolato Quem perde com os megaeventos e megaempreendimentos. Nella lettera si parla di mondiali e Olimpiadi 2016 come strumenti di militarizzazione della società a discapito delle classi popolari, viene evidenziato che almeno 250mila persone sono state sgomberate dal proprio insediamento per far posto alle grandi infrastrutture create per le due competizioni sportive, infine si sottolineano gli aspetti più autoritari della Lei Geral da Copa, che creerebbe enormi zone rosse a ridosso degli stadi dove l’unica autorità ad aver potere sul territorio sarebbe la Fifa. Tra le operazioni di “pulizia sociale” nei pressi degli impianti sportivi ha fatto scalpore quanto raccontato sul sito www.sportallarovescia.it, che ha parlato  della lotta popolare per scongiurare l’abbattimento dell’Universidade Indigena nei pressi del mitico Maracaná di Rio de Janeiro, peraltro sottoposto ad un totale rifacimento che ne ha diminuito di molto la capienza e la cui struttura è stata modificata ad uso e consumo delle maggiori multinazionali del settore sportivo. L’Universidade Indigena, scrive la redazione di www.sportallarovescia.it, “rappresenta da decenni non solo un luogo dove mantenere viva la memoria e la cultura dei popoli indigeni, ma anche un punto di riferimento per chi da loro discende. La terra stessa dove si trova il Maracaná ha un valore più che simbolico e per i nativi era un territorio sacro. Anche per questo, per molti, questo stadio così popolare era speciale, con quest’area tra il mistico e il magico”. Al tempo stesso, il professor Julio Monteiro Martins invita a non fare di tutta l’erba un fascio. Nell’intervista pubblicata lo scorso 8 maggio in blog, a proposito di una favela vicina proprio al Maracaná, diceva che è stata la mafia locale ad occupare le baracche lasciate vuote per forzare uno scontro ed ottenere dei vantaggi, ed è stato contro di loro che il governo ha inviato la polizia, e non nei confronti degli antichi residenti, già indennizzati dall’esecutivo e trasferitisi alcuni mesi prima. Sulle manifestazioni contrarie alla Coppa del mondo ci va molto cauto anche Emir Sader, altro esponente di spicco del Forum Sociale di Porto Alegre: “Quante volte”, ha scritto, “una rivendicazione in se stessa giusta scatena un conflitto che finisce per avere un risultato opposto da quello desiderato”. Lo scenario degli scontri violenti con la polizia dello scorso giugno ha visto la presenza attiva di molti esponenti di estrema destra, come avevano riconosciuto in molti, tra cui lo stesso Zibechi, anche se il focolaio della rivolta, all’inizio, era stato propagato dal piccolo, ma combattivo movimento libertario Passe Livre e le contestazioni alle modalità di gestione del grande evento planetario provengano da organizzazioni sociali tutt’altro che di destra. È in questo contesto, però, che l’opposizione potrebbe sfruttare al massimo un eventuale scenario di caos che si potrebbe verificare durante lo svolgimento dei mondiali per creare una campagna mediatica contro il governo di Dilma Rousseff. Sader cita significativamente la posizione di João Pedro Stedile, storico esponente dei Sem Terra, che pure non è mai stato tenero verso Lula, Rousseff e il Partido dos Trabalhadores, ma che in questo caso ritiene sconsiderato approfittare dei mondiali per avere pochi secondi di notorietà tramite scontri che danneggerebbero non solo l’immagine del paese, ma quella di un governo che, seppur con notevoli contraddizioni, ha portato il Brasile a svolgere un ruolo di leader nell’integrazionismo latinoamericano e non solo, a partire dalla sua capacità di ergersi a difesa dello strapotere militare statunitense. Sader sottolinea, inoltre, come sia la stampa della destra economica internazionale, soprattutto The Economist, The Wall Street Journal e il Financial Times, ad augurarsi un fiasco totale del paese sotto gli occhi del mondo intero, in modo tale da tirare la volata alla destra in vista della campagna elettorale per le presidenziali di ottobre, che si annuncia già rovente. Per Sader, le manifestazioni contro i mondiali corrono il rischio di essere utilizzate dalla destra per attuare una campagna contro il Brasile che promuove programmi contro la fame, la miseria e le ingiustizie sociali. Sulla stessa lunghezza d’onda il professor Julio Monteiro Martins, secondo il quale una strumentalizzazione dei mondiali servirà solo per aprire nuove prospettive ad una destra che potrà contare, come sempre, sull’appoggio della potentissima Rede Globo per destabilizzare il Planalto.

Una cosa è certa: mondiali di calcio ed elezioni nello stesso anno, per giunta a distanza di pochi mesi, rappresentano due sfide importanti, ma al tempo stesso assai ardue e non prive di insidie per un paese che nel 2014 commemora i cinquanta anni dal golpe militare che rovesciò João Goulart (popolarmente conosciuto come Jango) e i sessanta dal suicidio di Getúlio Vargas: tra un mese potremo tracciare un bilancio e capire se l’intuizione di Lula di portare il mondiale in Brasile abbia realmente pagato o meno.

 

 

 

 

Redazione
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Un commento

  • DB ha l’abilità dei cani da tartufo. Scova super collaboratori nei più riposti meandri di questa nostra orrenda società atomizzata.

    Lifodi più che un David è un Golia dell’informazione sull’america latina. Un Golia che non può essere sconfitto perché è anche David! Non me ne vorrà se mi affretto a copiare il presente e qualcun altro dei suoi post…

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