La cosa importante
Peninnah, il Kenia, le mutilazioni genitali e i matrimoni precoci
di Maria G. Di Rienzo (*)
Alcuni uomini hanno minacciato di usare incantesimi di magia nera contro di lei. Altri vanno da suo marito a consigliargli di picchiarla e si offrono di fare loro il “lavoro”, se lui è troppo tenero di cuore. Uno è arrivato alla sua porta con un machete, minacciando di ucciderla. «E non parlano neppure alle mie spalle, me lo dicono in faccia: Devi smettere di dire alle donne che hanno diritti, perché non ne hanno. E devi smettere di dire alle ragazze di lottare. Perché insisti con questa storia dell’eguaglianza?».
Questa è la vita di Peninnah Tombo, 59enne, attivista kenyota per i diritti umani delle donne. La sua “colpa” è aiutare le ragazze Masai a evitare matrimoni precoci e mutilazioni genitali e a completare i loro studi. «Mi dicono che devo smettere di fare questo. Come se istruire le persone fosse una brutta cosa. Sono vecchi, pensano a dar via le figlie prima che possono e non gli piace che le bambine invece vengano da me, perché io impedirò che si sposino così piccole. Quando nasce loro una figlia, è come se la moglie avesse partorito un oggetto, una merce. E non vogliono che le figlie vadano a scuola, perché se ci vanno imparano di avere dei diritti».
Una donna Masai non può possedere una casa o del bestiame, spiega l’attivista, i suoi figli sono visti come una proprietà paterna e alcuni uomini tengono persino sotto sequestro le carte d’identità delle loro mogli: «Gli uomini prendono decisioni per noi. Anche se hai un bambino che sta morendo, non puoi vendere una mucca per comprargli medicine, se non c’è tuo marito. Le donne cucinano, puliscono, badano ai piccoli, lavano la biancheria, portano acqua, mungono le mucche e si curano degli altri animali. Il lavoro degli uomini è star seduti a guardare mentre tu fai tutto. Poi se ne vanno in città a passare il tempo con gli amici, perché tanto non stanno facendo nulla di importante».
Peninnah non ha avuto una sorte diversa da quelle delle altre donne: a 4 anni si prendeva cura del bestiame di suo padre, a 11 è stata mutilata (le mgf sono proibite ora in Kenya ma alcune tribù continuano a praticarle): «Ti tengono la testa girata, così non vedi quel che fanno alla bambina in fila prima di te. Ti dicono che se gridi o piangi ti bastoneranno a morte. Ma il dolore è così forte che le lacrime neppure riescono a formarsi. Puoi morire di emorragia, di infezione, e le complicazioni possono ucciderti più tardi o restare con te tutta la vita. E ha un costo psicologico, perché è come la morte, come quando perdi una persona o una creatura che ami». Peninnah è ancora arrabbiata con chi poteva opporsi e non l’ha fatto, come i suoi genitori: «E’ per questo che sono abbastanza forte da dirlo io, il no, e di salvare le ragazze. L’esperienza che io ho attraversato non la auguro a nessuno, specialmente se posso fermarla».
Un anno dopo, quand’era dodicenne, suo padre decise di darla in moglie. L’uomo scelto ne aveva già tre. Peninnah fuggì con una donna che lavorava in chiesa e che la iscrisse a scuola, ben distante da casa. Finite le superiori, ha fatto un corso da infermiera. Suo padre morì quando aveva 19 anni e quando ne compì 22, lo zio le arrangiò un matrimonio con un uomo che aveva già una moglie: «Se avessi potuto decidere liberamente non mi sarei mai sposata. Ma avevo già rifiutato un matrimonio. Non potevo rifiutare il secondo, o mi avrebbero considerata maledetta».
Nel 1992 ha fondato Nasuru Ntoiye (“Salviamo le bambine”), un’organizzazione che mira a cancellare mutilazioni genitali e matrimoni precoci. «Stiamo cercando di cambiare il modo in cui viviamo. Stiamo cercando di informare ragazzi e ragazze, così che loro possano cambiare la nostra comunità. Io faccio volontariato nei gruppi giovanili. Dico loro: Siete fortunati ad avere qualcuno che vi parli di queste cose, perché nessuno ne ha mai parlato a me quando ero piccola. Non dobbiamo mai stancarci di parlare con loro».
Il marito di Peninnah è “tollerante”, dice lei. Fino a che Peninnah gli porta l’acqua per il bagno e il pranzo dalla cucina, non ha niente da dire sul suo attivismo. «Ogni tanto fingo di dimenticarmene, per vedere se porta dentro i secchi da solo. Non succede mai. Persino dopo essere riuscita ad avere un’istruzione non posso dire a mio marito di arrangiarsi. Ma posso sopportare sia i secchi dell’acqua sia gli insulti degli uomini, perché salvare le bambine è più importante».
(*) Ripreso da «Lunanuvola», il bel blog di Maria G. Di Rienzo