La crisi della riproduzione e la formazione di un nuovo “proletariato ex lege”
Intervista di Francesca Coin a Silvia Federici (*)
Negli anni Settanta siete state le prime a parlare contro il lavoro domestico mostrando come il processo di accumulazione nelle fabbriche iniziasse sul corpo delle donne. Cosa è cambiato in questi anni?
Il lavoro gratuito è esploso, quello che noi vedevamo allora dall’angolatura specifica del lavoro domestico si è diffuso a tutta la società. In verità, se guardiamo alla storia del capitalismo vediamo che l’uso del lavoro non pagato è stato enorme. Se pensiamo al lavoro degli schiavi, al lavoro di riproduzione, al lavoro agricolo dai campesinos ai peones in condizioni di semi-schiavitù, ci rendiamo conto che il lavoro salariato è stato in realtà una minoranza circondata da un oceano di lavoro non pagato. Oggi questo oceano continua a crescere nelle forme di lavoro tradizionali ma anche in forme nuove, perché ora anche per accedere al lavoro salariato devi fare quantomeno una parte di lavoro non pagato. In Grecia mi hanno detto che ormai è necessario fare sei o sette mesi di lavoro non pagato nella speranza di trovare un lavoro pagato, quindi in varie situazioni si ripete la stessa dinamica: ti assumono a titolo gratuito, lavori sei o sette mesi e poi ti lasciano a casa. La coercizione del lavoro non pagato è ormai una pratica sempre più diffusa. Le scuole da questo punto di vista sono state le prime a servirsene. In questo caso è stata centrale l’idea dell’addestramento. Il training viene presentato come un beneficio per lo studente ma in verità lo spreme sin dai primi anni. L’età, infatti, si sta accorciando, si comincia a parlare di lavoro gratuito già nella high school. Nei giornali in questi giorni si parla molto di worker gig. Gig è un’espressione che viene dal mondo musicale dal jazz, una gig è un pezzo improvvisato, ora questo concetto viene applicato al mondo dell’impiego. Si tratta di prestazioni a chiamata senza alcuna garanzia che estendono il modello Uber a tutti i settori, a indicare una precarizzazione della vita trasversale al mondo del lavoro che ha raggiunto livelli elevatissimi. Questo è importante dal punto di vista del femminismo, in particolare dal punto di vista di quelle femministe che consideravano l’ingresso nel lavoro salariato come una sorta di avanzamento o di emancipazione, mentre si prefigura sempre più come lavoro non pagato.
Tu avevi già indicato tempo fa come la crisi del fordismo fosse contraddistinta dal ripetersi di “crisi riproduttive” caratterizzate dall’erosione di tutte le sicurezze sociali. La trasformazione degli ultimi quarant’anni è stata quasi stupefacente, da questo punto di vista, perché da un lato ha reso sistema il lavoro non pagato e dall’altro ha tentato di renderlo invisibile attraverso un discorso colpevolizzante che attribuisce le cause dell’agonia sociale odierna a chi più ne fa le spese. Penso per esempio alla narrazione che produce e stigmatizza “i furbi del cartellino” – se ne parla in questi giorni – a nascondere lo smantellamento del welfare dietro il bisogno di disciplinare tutti quei soggetti che – si dice – “vivono alle spalle della società”. Che implicazioni ha tutto questo nelle relazioni sociali?
È il mondo sottosopra. Sino agli anni Settanta c’è stata una politica fordista – in verità si tratta di una politica che precede il fordismo e che si fonda sull’investimento da parte dello stato nella riproduzione della forza lavoro. Si tratta di una concezione che culmina con il New Deal al fine di creare una forza lavoro più docile e più produttiva. alla fine dell’epoca fordista questa concezione salta. Dall’in- vestimento statale si è passati alla finanziarizzazione del lavoro di riproduzione, quello che una volta lo stato sussidiava oggi lo si deve pagare. una volta che il sussidio statale è stato eliminato, la riproduzione è diventata un momento di accumulazione. La rimozione dei sussidi ha costretto gli studenti a farsi carico di un debito enorme, quindi ci troviamo oggi con una popolazione studentesca fortemente indebitata prima ancora di entrare nel mondo del lavoro. Lo stesso è avvenuto nel campo della salute e nel campo dell’assistenza sociale, sopratutto per quanto riguarda l’assistenza agli anziani, il day-care e gli asili nido. Gli Stati uniti sono stati all’avanguardia di questo processo. Negli Stati uniti chi ha bisogno di assistenza deve pagare somme consistenti e i pochi assistenti sociali che sono rimasti sono oberati di lavoro. C’è stata una taylorizzazione del lavoro d’assistenza, in questi anni. Da un lato la spesa sociale è stata tagliata e dall’al- tro i servizi sono stati taylorizzati. Dunque oggi coloro che praticano l’assistenza sociale si trovano con un numero di utenti raddoppiato mentre aumenta anche il lavoro non pagato. Questa riduzione al minimo dei servizi è al centro della crisi di riproduzione che stiamo vivendo. Si tratta di una crisi che colpisce anzitutto le donne, i bambini e gli anziani, con forme molto drammatiche. La situazione nelle nursing home, negli ospizi per gli anziani è preoccupante in quanto l’insufficienza di personale viene compensata con una continua medicalizzazione. I maltrattamenti nelle istituzioni di cura siano diffusi e continui. Gli anziani vengono spesso sedati e legati al letto. Non a caso il numero di suicidi tra loro è molto aumentato. L’uso dei farmaci è pratica comune anche tra i bambini nelle scuole al fine di costringerli a essere docili e disciplinati. Questo risvolto della crisi della riproduzione è il risultato del passaggio dalla spesa sociale al mercato. Ciò significa che devi assumerti il costo della riproduzione e in molti ambiti questo ha conseguenze letali per la popolazione. tu fai riferimento anche a un altro aspetto della crisi della riproduzione e cioé al public shaming – i rituali di svergognamento pubblico con cui si accusano i pochi che ancora godono di un minimo di sussidio statale di essere dei privilegiati e dei fraudolenti. Questi malcapitati vengono messi alla berlina e accusati di essere la causa dell’impoverimento del budget quasi fossero loro che dissestano l’economia. In Italia il public shaming ha raggiunto livelli vergognosi. Mi pare importante ribadire che si deve rifiutare con forza l’idea che il dissesto finanziario dello stato sia dovuto al misuso del sussidio statale, e dire che è una responsabilità diretta dello stato che in tanti casi costringe il proletariato alla criminalità. Ci stanno costringendo a essere criminali per sopravvivere perché hanno tagliato le forme di sussistenza e di accesso legale alla riproduzione in modo tanto drastico che non è possibile sopravvivere per grosse fasce della popolazione senza entrare nell’illegalità: senza vendere un po’ di droga, senza la prostituzione, l’assegno falso. È per questo che gli Stati uniti, il paese guida nell’applicazione del neo-liberalismo, è anche il paese guida per la creazione di una società carceraria, cioé di una società dove sistematicamente, come sistema di governo, si incarcera una grande parte della popolazione perché non è fonte di reddito e perché è vista come potenzialmente sovversiva e combattiva, come una popolazione che, essendo stata storicamente discriminata, può reclamare riparazioni per quello che gli è stato tolto. e quindi viene preventivamente incarcerata e esclusa da quelle poche vie legali che gli sono rimaste per la sopravvivenza, in un circolo vizioso e perverso. Marx sottolineava come lo sviluppo del capitalismo portasse alla formazione di un proletariato ex lege. potremmo dire che la formazione di un proletariato ex lege è al giorno d’oggi un fenomeno sistematicamente perseguito a livello globale. Lo vediamo chiaramente nel caso dell’emigrazione. per sopravvivere è sempre più spesso necessario entrare nella illegalità e questo permette poi allo stato di intervenire con violenza sulla forza lavoro.
Stavo leggendo recentemente dei dati sulla Grecia che osservavano come lo smantellamento della spesa pubblica vada contro le donne due volte, la prima volta perché i tagli alla spesa sociale lasciano a casa anzitutto le donne assunte in modo predominante nei settori dell’assistenza sociale e la seconda perché i tagli costringono le donne a tornare a svolgere ruoli tradizionali di assistenza e di cura non pagati. Si diceva anche che la violenza sulle donne dovrebbe essere interpretata come cartina tornasole del clima di violenza sociale introdotto dalle politiche di austerità.
La violenza è enormemente aumentata in questi anni. È la violenza della guerra permanente. Ormai ogni pochi anni si distrugge un paese. Il mondo è sempre più un luogo di guerra e un sistema carcerario. La violenza capitalistica continua ad aumentare. Lo si vede dalla recrudescenza delle pene e dalla militarizzazione della vita. Oggi negli Stati uniti e in America Latina le polizie sono addestrate dai militari; gli Stati uniti hanno costruito carceri in tutto il mondo; le compagnie e le corporazioni hanno i loro eserciti privati e il numero delle guardie di sicurezza è in continuo aumento. Il modello della violenza sta plasmando la società e la soggettività a partire dalla soggettività maschile. Come sempre si tratta di processi che colpiscono anzitutto le donne. Di recente ho partecipato a un Forum sul femminicidio in Colombia in un porto del pacifico nella zona di buenaventura dove ci sono stati molti massacri. Lì si possono vedere molti dei fattori che contribuiscono a questa violenza. buenaventura è forse uno dei posti più belli del mondo. e’ una città sul pacifico in mezzo a una foresta tropicale meravigliosa ma recentemente contaminata a causa dell’estrazione dell’oro. Le acque e i fiumi che la popolazione usava per la propria riproduzione sono stati contaminati dal mercurio. Quindi ci sono continui scontri, perché la politica estratta porta allo sfruttamento e all’espulsione delle popolazioni locali. In questi luoghi la violenza, sopratutto la violenza contro le donne, serve a terrorizzare la popolazione. Un’antropologa latino americana, Rita Segato, ha scritto un libro interessante a questo proposito. Lei parla di violenza-messaggio, di crudeltà pedagogica nel senso che uccidendo in forme atroci le donne, cioé persone inermi che non sono parte degli eserciti combattenti. Si avverte la popolazione che non può resistere all’espulsione perché si scontra con forze che non hanno pietà. uccidere le donne equivale a dare un messaggio di crudeltà incondizionata. Si deve aggiungere che le donne sono il motore della ripresa dell’economia globale. Negli anni Settanta il lavoro femminile ha riattivato la macchina economica. tradizionalmente le donne si confrontavano con la violenza nella sfera domestica, il marito attraverso la violenza disciplinava la moglie quando questa non compiva il suo lavoro domestico. Oggi le donne per poter sopravvivere devono spesso lavorare in luoghi dove sono particolarmente esposte alla violenza maschile. Si dice che le donne che emigrano dal Guatemala per gli Stati uniti prendano contraccettivi perché sono sicure che nel percorso uomini le stupreranno. Molte cercano forme di sopravvivenza vendendo cose nelle strade così che tutti i giorni si scontrano con la violenza e con la polizia. Il lavoro del sesso, il lavoro nelle maquilas – le nuove piantagioni in cui si lavora anche 14-16 ore al giorno – il lavoro delle venditrici ambulanti.. sono tutte occasioni di violenza. La violenza ha anche un effetto intimidatorio. previene o limita la possibilità di auto-organizzazione. La militarizzazione della vita fa sì che le donne si scontrino sempre più con uomini che lavorano con la violenza: il soldato, la guarda carceraria, la guardia di sicurezza. Questa militarizzazione ha un’influenza sulla soggettività e sui rapporti personali. Fanon scriveva che chi tortura tutto il giorno non può trasformarsi nel marito modello quando torna a casa, perché continuerà a risolvere i conflitti con le modalità a cui è abituato. Questo oggi lo vediamo in una società che è sempre più orientata alla guerra dove lo sfruttamento si regge sulla violenza diretta e questo ha sempre più influenza sui rapporti tra donne e uomini.
Negli anni Settanta mostravate come lo sfruttamento si fosse nascosto nella soggettività, nella femminilità, naturalizzato e reso invisibile al punto che il lavoro delle donne veniva considerato una dote naturale. Trasformare quest’invisibilità in una lotta politica è stato fondamentale per mettere in evidenza la modalità con cui l’accumulazione avviene attraverso il corpo e sul corpo. Il nascondimento dello sfruttamento nella soggettività – penso al lavoro migrante e a La razza al lavoro di Anna Curcio e Miguel Mellino – viene dato talvolta come acquisito ma spesso mi appare, invece, un dato assai sfuggente. Penso all’idea di homo oeconomicus. Si fa ancora un ampio uso di questa categoria, dell’idea di libertà e dell’imprenditore di sé, eppure oggi l’imprenditore di sé non ha più sicurezze, l’unica sua assicurazione sul futuro è lavorare di più a costo ancor più basso, non è questo homo oeconomicus un’altra forma di sfruttamento presentata come emancipazione?
Questa dell’homo oeconomicus, della scelta e dell’auto-impiego, è un’ideologia del tutto neo-liberale. In realtà l’autonomia concessa dall’auto-impiego è limitatissima. Se da un lato l’irregimentazione della fabbrica dalle nove alle diciassette era una prigione è altrettanto una prigione non sapere se tra sei mesi tu potrai avere un reddito che ti permette di vivere, cosicché non hai alcuna possibilità di pianificare e di programmare. Di fatto non c’è niente di emancipatorio nel vivere con una instabilità continua, con l’ansia permanente di fronte alla precarizzazzione della vita. Bifo ne parlava in uno dei suoi libri. Diceva che la precarietà incide nei rapporti personali, crea personalità disposte a un certo opportunismo, costrette a coltivare rapporti sociali in funzione della sopravvivenza. Questo noi lo vediamo anche nei movimenti. Se una volta c’era una separazione netta tra il lavoro e la politica – la politica entrava nel lavoro quando lo si rifiutava ma il lavoro non era un impiego politico – adesso i confini si confondono, e ciò ha conseguenze negative, perché introduce forme di opportunismo nel politico e io credo che questo sia uno dei problemi maggiori che incontriamo oggi.
Lo scorso anno quando eri in Grecia parlavi degli spazi occupati e degli squat di Atene come esperienze importanti per sottrarre le condizioni della riproduzione al comando monetario. In questi anni ci sono state sperimentazioni molto ricche, forme collettive di esproprio nei supermercati, pratiche di auto-riduzione degli affitti e delle bollette, esperienze di riappropriazione della terra, creazione di circuiti economici alternativi capaci di usare la riproduzione come opportunità per liberare la vita dallo sfruttamento. In che modo si disfa questo comando monetario?
Si sfugge al comando del denaro anzitutto difendendo i nostri “beni comuni” e riappropriandosi del controllo e dell’uso della terra, delle foreste, delle acque. Questa oggi è una delle lotte più importanti che si danno nel mondo, e non a caso il capitalismo sta distruggendo intere regioni per assicurarsi che la loro ricchezza minerale non vada in altre mani. La lotta contro l’estrattivismo, così come contro la monocoltura, il transgenico, il controllo delle transnazionali sopra le sementi è al centro della politica dei movimenti sociali in America Latina come anche negli Stati uniti e in Canada. una delle lotte più forti oggi negli Stati uniti è la lotta dei Sioux contro la costruzione di un oleodotto che attraverserebbe il loro territorio connettendo il Dakota con l’Illinois. rappresentanti di popolazioni indigene, oltre a molti altri attivisti, stanno arrivando da varie parti del paese e dell’America Latina per bloccare questo progetto. e’ importante ribadire che queste lotte per la difesa dei beni comuni non sono mai puramente difensive. tutte creano “il comune”. Difendere la terra significa difendere anche la possibilità di controllare il territorio che è fondamentale per la costruzione dell’autonomia e dell’autogoverno. In area urbana gli squat e le reti di organizzazione che le donne creano nelle strade – perché oramai la riproduzione in molti paesi sempre più si sposta nelle strade – creano nuove forme di sussistenza e solidarietà. Nelle favelas brasiliane o nelle villas argentine gli espulsi dalle zone rurali creano nuovi quartieri, nuovi accampamenti dove costruiscono case, orti, spazi per i bambini. Ho visitato una di queste “ville” in Argentina, Villa retiro bis, dove ho incontrato donne che mi hanno fatto un’impressione enorme. Ho avuto la sensazione di qualche cosa di nuovo perché sono donne che vivono in una situazione in cui ogni istante della loro vita quotidiana diventa un momento di discussione politica. Il punto è che qui niente è dovuto, niente è garantito, tutto deve essere conquistato. tutto deve essere difeso. L’acqua, la luce devono essere contrattate con lo lo stato. però non si permette allo stato di organizzare la propria vita. Si lotta con lo stato per avere le sementi, per avere la luce gratis, per avere l’acqua potabile, per avere materiale per potere costruire la strada invece di avere solamente il fango e quindi è sempre una lot- ta continua. Queste donne stanno cercando di creare una loro vita, sono collegate tra loro, hanno creato la casa delle donne, dove ci sono anche spazi per assistenza preventiva. Gli hanno costruito un muro per separare la “villa” dal resto della città, per impedire altre appropriazioni e loro l’hanno distrutto, usano il teatro degli oppressi come forma di formazione politica, per instaurare un dibattito politico tra di loro, per affrontare certi problemi come può essere l’abuso sessuale in un modo anche divertente che invoglia le altre donne a partecipare. ecco, io non so se quanto sta avvenendo avrà la capacità di contrastare la macro-politica, ma so che qualcosa di nuovo sta avvenendo e dobbiamo partire da qui.
Intervista tratta da “Salari rubati. Economia politica e conflitto ai tempi del lavoro gratuito“, a cura di Francesca Coin, Ombre Corte, 2017 (pagg 99-106); ripresa anche da “Nazione Indiana”.