La crudeltà del metallo

Una pillola di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia su «Tetsuo – The Iron Man»

Pochi film mi hanno sconvolto, sconcertato, schifato, inebetito, esaltato, orripilato come «Tetsuo – The Iron Man» (1989) del regista giapponese Shinya Tsukamoto, che

di questo film cura ogni aspetto, anche gli effetti speciali, donando una pietra miliare al cinema cyberpunk non solo giapponese.
Niente a che vedere con il celebre supereroe marvelliano: «Tetsuo – The Iron Man» narra le vicende di un uomo qualunque, feticista del metallo, il quale inserisce di forza materiali metallici nel proprio corpo, aspirando a diventare un supereroe proprio come Tony Stark.
Investito da un incauto guidatore, contagerà quest’ultimo con la sua smania di diventare un essere superiore. Come un vero e proprio morbo, dalle membra del guidatore iniziano a fiorire escrescenze metalliche che andranno sempre più velocemente a ricoprire il suo corpo, fino a produrre vere e proprie protuberanze dotate di una coscienza propria, creando così una dicotomia schizofrenica tra mente e corpo. Preso da violente pulsioni sessuali, arriva addirittura a uccidere la sua ragazza in un amplesso violento, trasformandosi poi in un carro armato lanciato alla conquista del mondo.
Realizzato in sedici millimetri, con un montaggio serratissimo che porta all’estremo le tecniche dei videoclip e accompagnato da una musica dissonante, il film esplode in schegge deliranti che ricordano il cinema mostruoso di David Lynch e gli innesti di David Cronenberg.
«Il corpo è vezzeggiato nella perversa certezza della sua inutilità, nella totale certezza della sua non resurrezione» scrive il filosofo francese Jean Baudrillard (da «Video delle mie brame» sulla rivista «Panorama» del 24 settembre 1984: citato in «Il sogno della merce» a cura di Vanni Codeluppi, Lupetti, Roma 1994).
Niente di più vero per questa visionaria pellicola: il corpo è reso merce nella società dei consumi, un bene di cui disporre a piacimento, sia da vendere che da acquistare, possibilmente trasformato. Viene mutato a seconda della convenienza del prodotto realizzato a tavolino e per il quale si studia l’assetto migliore per trovare accoglimento. In questo caso, il metallo è talmente vivo da prendere il sopravvento sulla carne, in un delirio erotico compulsivo che richiama il bisogno smisurato di merce inutile che ogni giorno viene propinata nelle sante messe televisive, televendite o spot pubblicitari, contenitori il cui unico scopo è uniformare i bisogni e il cervello delle persone nel modo più gradito agli sponsor.
La sconcertante e aperta violenza dell’industria, della chirurgia estetica e dei mass media, trova aperta ribellione proprio nel corpo pesantemente violentato, trasformato e infettato da questa brama di eros e thanatos che trova nell’amplesso finale una naturale forma di sublimazione. La trasformazione in carro armato dotato di coscienza propria è quanto di più coerente e visionario il cinema di fantascienza abbia prodotto in questi anni, con un chiaro rimando (non so quanto volontario) alla mitica pellicola «Il dottor Stranamore» del regista Stanley Kubrick, con il quale condivide la stessa “pulsione di morte” ma non la medesima ironia.

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