La difficile guerra dei Gap

25 aprile e oggi – 9

Con questo scritto di emmerre (*) continua il “monografico” – appunti e idee, ovviamente senza pretese di completezza – sulla Resistenza di allora e su un buon uso della memoria ma anche sui fascismi e sulle lotte dell’oggi

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LA DIFFICILE GUERRA DEI GAP

«Perchè dormivano con una pistola sotto il cuscino? Perchè lanciavano bombe? Perchè uccidevano? Gracco era curioso degli uomini: voleva conoscere il perchè delle loro cose».

(Elio Vittorini, «Uomini e no»)

Tra il 1944 e il ’45, sui muri di molte città dell’Italia centro-settentrionale, comparvero manifesti rivolti alla cittadinanza con le ordinanze dei comandi militari germanici e delle autorità fasciste che vietavano severamente la circolazione delle biciclette agli uomini senza specifica autorizzazione. Tale disposizione era stata imposta nel tentativo di impedire i sabotaggi e le veloci azioni armate dei gruppi antifascisti clandestini; in alcuni casi, come in Emilia, il divieto si estese pure all’indossare giacche a vento e mantelli (il tradizionale tabarro), sino a proibire di tenere le mani in tasca.

A rendere non più impunita l’attività dei nazi-fascisti nei centri urbani furono soprattutto i nuclei noti con la sigla GAP, oltre alle SAP e alle diverse Squadre di difesa e d’assalto, ossia di coloro che lo storico Mario De Micheli ebbe a definire come «gli arditi della guerra di liberazione».

La recente uscita del libro di Santo Peli «Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza» (Einaudi) era molto attesa, in quanto la conoscenza di questo aspetto dell’opposizione armata al fascismo rimane senz’altro poco conosciuto ed indagato, anche perché – per lungo tempo – nella sinistra democratica e nell’associazionismo resistenziale è prevalso l’imbarazzo per il carattere “terroristico” di molti attentati gappisti, costati anche vittime innocenti; imbarazzo analogo alla reticenza “patriottica” rispetto al riconoscimento della guerra civile, iniziata nel 1919 e giunta alla resa dei conti nel 1945.

Le aspettative storiografiche sono però andate alquanto deluse, in quanto l’autore ha voluto avvalorare un’immagine dei GAP quale mera filiazione organizzativa del Partito Comunista, ignorando la frequente disorganicità e informalità di una pratica, nonché alcuni precedenti significativi che, in qualche modo, avevano anticipato, anche per modalità operative, le imprese dei «soldati senza uniforme» durante i tragici 600 giorni di Salò.

Sorprende, ad esempio, l’affermazione secondo la quale, prima delle azioni gappiste, «mai, in vent’anni di regime poliziesco e repressivo, alcun gerarca era stato colpito». Anche senza riferirsi all’attentato dell’anarchico Gino Lucetti contro Mussolini e ai numerosi esponenti fascisti eliminati all’estero, non si può ignorare l’uccisione nel 1924 del deputato Armando Casalini, dirigente delle Corporazioni, da parte dell’antifascista Giovanni Corvi per vendicare l’assassinio di Matteotti.

Da ricordare, non di meno, come già nel novembre 1942, un nucleo armato composto dagli anarchici Belgrado Pedrini, Giovanni Zava e Gino Giorgi – definiti da «Il Popolo d’Italia» come pericolosi «malfattori e sabotatori della resistenza morale delle forze armate» – si era scontrato con i fascisti e la milizia a Carrara, Milano e La Spezia.

La storia dei GAP appare non univoca a partire proprio dall’acronimo: nella sua prevalente spiegazione nominale indicherebbe Gruppi di Azione Patriottica, con la variante di Gruppi d’Ardimento Patriottico (secondo lo storico Giorgio Vaccarino), ma è stato interpretato anche come Gruppi d’Azione Partigiana (riportata da De Micheli) e Gruppi d’Azione Proletaria (in alcuni organi di stampa), per non parlare dell’interpretazione presente in un documento della polizia tedesca che parla di Gruppi per Azioni Punitive.

D’altronde, riprendendo la fondamentale lezione di Claudio Pavone, la resistenza vide interagire – e talvolta divergere – la lotta di liberazione nazionale con una lunga guerra civile e di classe iniziata vent’anni prima; questa continuità è peraltro confermata da alcune biografie; ad esempio quella del socialista romano Giuseppe Petronari, già appartenente agli Arditi del popolo nel 1922, che partecipò alla resistenza clandestina dei GAP fino a quando non venne arrestato e fucilato a Forte Bravetta il 20 gennaio del ’44. Analogamente, Umberto Raspi, anarchico e sindacalista dell’USI, già ardito del popolo e combattente anch’egli in Spagna, tornato a Genova, nel 1943 organizzerà le prime Squadre d’azione libertaria nella zona del Ponente ligure (Arenzano) insieme a Antonio Dettori, finendo poi deportato ed ucciso nel lager di Dachau.

E le componenti politiche che dettero vita alla lotta armata contro i nazifascisti la intesero in modo molto diverso, con ideali e obiettivi tutt’altro che coincidenti, dalla democrazia alla dittatura comunista, dalla monarchia liberale alla repubblica socialista sino al comunismo libertario.

Anche nella scelta di impugnare le armi e di combattere, non mancarono divergenze e differenziazioni su tempi e modalità: tra la guerriglia in montagna e quella urbana; tra squadre operaie di fabbrica e bande partigiane; tra clandestinità totale e parziale; tra sabotaggio di impianti ed agguati mirati per terrorizzare il nemico.

I GAP, in particolare, rispondevano all’esigenza di colpire nei centri urbani l’occupazione nazista e i collaborazionisti fascisti, potendo contare su ridottissime forze, ossia su nuclei di pochi militanti che vivevano nell’illegalità, con falsi documenti e rifugi segreti, mentre invece in un secondo tempo con la costituzione delle SAP (Squadre di Azione Patriottica o Partigiana) entrarono in azione gruppi di antifascisti – non necessariamente comunisti – che, sui posti di lavoro e nel territorio, continuavano a svolgere le loro normali attività.

I primi GAP, inoltre, agivano in base a direttive politiche – provenienti soprattutto dal Partito Comunista di cui in alcuni casi furono il braccio armato – mentre le SAP, generalmente, si legarono maggiormente alla conflittualità di classe, fornendo difesa e sostegno a scioperi ed agitazioni popolari.

La nascita di tali strutture era comunque il risultato anche di dinamiche relativamente spontanee e la loro composizione appare abbastanza eterogenea, pure in quelle più strettamente legate al PCI. Ne fecero infatti parte anche anarchici, comunisti rivoluzionari, socialisti intransigenti e “senza partito”, con una percentuale di donne superiore a quella riscontrabile nelle formazioni partigiane alla macchia.

Un esempio particolarmente significativo è proprio quello citato dalla stesso Peli, riguardante la prima azione compiuta a Torino nell’ottobre 1943, ossia l’uccisione del seniore della Milizia, Domenico Giardina, compiuta dal primo, esiguo, nucleo “gappista” composto dal comunista Ateo Garemi e dall’anarchico Dario Cagno, entrambi fucilati, già puntualmente ricostruita da una ricerca di Tobia Imperato pubblicata sulla Rivista storica dell’anarchismo (Luglio-Dicembre 1995). Appare quindi chiaro che tale nucleo “anarco-comunista”, pur anticipandone il carattere operativo, non fosse ancora un GAP, secondo il modello indicato dalle direttive impartite il mese prima dal PCI mirante all’esclusivo inquadramento di sperimentati militanti comunisti.

A Milano, non meno significativa è la composizione del cosiddetto GAP “Mendel”, formatosi a Baggio, ritenuto da fonti comuniste una «formazione anarchica» e composto da due anarchici (Giovanni Alippi e Maurizio Del Sale), un comunista (Albino Abico) e un “senza partito” (Bruno Clapiz). Attivi nella requisizione di bestiame ad agrari della provincia, nonché in sabotaggi, disarmi e azioni di propaganda, furono arrestati il 28 agosto 1944 e fucilati in via Tibaldi (si veda Mauro De Agostini, Franco Schirone, Per la Rivoluzione sociale. Gli anarchici nella Resistenza a Milano (1943-45), ZIC).

In Liguria, il contributo anarchico e libertario a GAP e SAP risulta particolarmente consistente. Nei GAP confluirono molti anarchici e a Sestri Ponente si ricordano Rinaldo Ponte, Bruno Raspino, Emanuele Sciutto, Ernesto Rocca, Spartaco Graffioni e Carlo Stanchi. Per le SAP è più difficile individuare con precisione squadre e componenti: all’inizio del 1944 viene strutturata la Brigata SAP “Errico Malatesta” guidata dall’anarchico triestino Nicola Turcinovich, dalla quale nasceranno due distinte brigate, la E.Malatesta propriamente detta e la E.Malatesta-bis (poi “Carlo Pisacane”), operanti rispettivamente a Pegli e Cornigliano. Assieme alle SAP della Federazione Comunista Libertaria del genovesato e alle Squadre di azione anarchica “Arenzano”, giunsero a contare circa 400 armati (si veda: Guido Barroero, Anarchismo e resistenza in Liguria, in Rivista Storica dell’Anarchismo, Luglio-Dicembre 1998).

Anche in provincia di Savona, secondo quanto riferisce il sito dell’Anpi, avrebbero agito GAP d’ispirazione anarchica, pur in assenza di ulteriori riscontri.

Partecipazioni individuali di militanti non-comunisti non mancano anche altrove: ad esempio, nella Bassa Pordenonese l’anarchico Mario Betto Spartaco, già volontario internazionalista nella guerra di Spagna, dopo essere stato protagonista delle prime azioni contro i nazifascisti, fece parte dei GAP locali fino a quando – a seguito di divergenze politiche e disciplinari – venne trasferito alla formazione partigiana Gramsci, morendo in combattimento il 15 ottobre 1944 (vedi scheda biografica in Bollettino dell’Archivio “G.Pinelli”, n. 5, luglio 1995).

In relazione alle prime fasi della lotta gappista va inoltre ricordata la rappresaglia che a Firenze, il 2 dicembre 1943, portò alla fucilazione da parte della milizia fascista degli anarchici Oreste Ristori e Gino Manetti, assieme a tre comunisti (Armando Gualtieri, Luigi Pugi, Orlando Storai) a seguito dell’uccisione del colonnello Gino Gobbi, comandante del Distretto militare, da parte di un GAP (per chi vuole approfondire si rimanda a Carlo Romani, Oreste Ristori. Vita avventurosa di un anarchico tra Toscana e Sudamerica, BFS).

Anche nell’ambito delle SAP, la presenza anarchica è riscontrabile in numerose situazioni: nella Torino industriale, alla FIAT-Ferriere Piemontesi, agisce il 33° battaglione SAP “Pietro Ferrero”, sotto la guida del piombinese Ilio Baroni, caduto durante l’insurrezione nell’aprile del ’45; mentre a Carrara operano le SAP-FAI e le SAP “Renato Macchiarini” della città e del piano.

Un altro gruppo, non considerato nel saggio, da cui emerge il carattere spontaneo e la composizione non di partito di certi nuclei sorti per combattere i fascisti, è quello – sul modello SAP – operante nel bolognese e responsabile di alcuni sabotaggi nella zona di Monterenzio, in collegamento con le brigate Garibaldi. A seguito di una delazione, venne sterminato il 1° aprile 1944, con la fucilazione da parte dei fascisti del militante anarchico Attilio Diolaiti, già organizzatore della 7° GAP; della giovane Edera De Giovanni, prima donna resistente caduta a Bologna; il suo compagno, jugoslavo, Egon Brass; Ferdinando Grilli, zio di Edera già detenuto come ostaggio a causa della renitenza del figlio, e i giovani antifascisti bolognesi Enrico Foscardi Dante ed Ettore Zaniboni.

La partecipazione delle donne a GAP e SAP è un ulteriore aspetto poco considerato nel citato saggio di Peli, anche se vi viene riportata l’emblematica opinione del dirigente del PCI, Giorgio Amendola, che a Marisa Musu Rosa – gappista romana – consigliava piuttosto di stare accanto al compagno e «di rammendargli i calzini, la sera».

Se sono note le storie delle gappiste Carla Capponi a Roma e Onorina Brambilla a Milano, molte altre restano ancora nell’ombra, pur se la lotta armata nelle città vide nell’attività clandestina un ruolo delle donne preponderante e senza sconti: basti citare le sorelle Libera e Vera Arduino, entrambe sappiste, fucilate a Torino il 13 marzo del ’45. E – circostanza pressoché ignorata dalla storiografia ufficiale – la loro consistenza e determinazione permise talvolta la nascita di formazioni composte da solo donne, come avvenne nel genovesato dove furono attive ben tre brigate femminili SAP, tra le quali la più nota fu quella intitolata alla memoria della staffetta partigiana della III Brigata Liguria Felicita Noli, Alice.

Storie apparentemente lontane e difficili da comprendere sino in fondo, se non si coglie l’essenza di scelte senza più mediazioni, così come descritte da Vittorini: «vi era soltanto serietà, e la ferocia che è della serietà: perdono ma vendetta insieme».

(*) testo ripreso dalla rivista «Germinal», numero 124, in uscita in questi giorni.

LA VIGNETTA, scelta dalla redazione, E’ di VAURO

 

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