La disputa
di Fabio Alberti (ripreso da Comune-info )
“L’acquisizione di ricchezze attraverso la guerra nasce dalla natura, infatti l’arte venatoria è una parte di essa e si deve usare sia verso gli animali, sia verso quegli uomini che, essendo nati per obbedire, rifiutano di sottomettersi e tale guerra è giusta per natura“. Juan Ginés de Sepúlveda sintetizzava così la giustificazione della guerra come mezzo di evangelizzazione nella “Disputa del Nuovo Mondo” che lo contrappose al frate domenicano, procuratore degli Indios, Bartolomè de Las Casas nel 1550-51. Il teologo spagnolo si rifaceva alla teoria aristotelica della “servitù naturale” ed aggiungeva: “I filosofi insegnano che alle genti barbare e inumane che aborriscono vita civile conviene stare sottomessi al potere di popoli più umani e virtuosi, i quali, con l’esempio della virtù, delle leggi e della prudenza, loro facciano abbandonare la loro bestialità”. La “Disputa”, convocata dall’imperatore Carlo V, non si concluse con un verdetto chiaro e furono quindi i coloni, prima spagnoli e poi delle altre nazioni europee, a scriverlo.
È probabilmente allora che gli europei, sino ad allora marginali nella storia del mondo, cominciano a interiorizzare l’idea della propria superiorità e a percepirsi come il centro del mondo, soggetti di una storia universale nella quale “il resto” diviene oggetto. L’Altro non europeo in questa storia è sempre un po’ meno che umano. O quando lo è, deve essere educato, alla cristianità, alla civiltà, alla democrazia…
Su questa percezione di sé si sosterrà moralmente lo sterminio della gran parte delle popolazioni americane e la deportazione di 12 milioni di schiavi neri. Poi la spartizione dell’Africa, stabilita a Berlino nel 1884, per “prendersi cura del miglioramento delle condizioni e del loro [degli indigeni] benessere morale e materiale”. Intanto l’altro pezzo d’Europa, la Russia, si “prendeva cura” delle popolazioni della Siberia asiatica.
Nel Mediterraneo la professione di superiorità si affermò più lentamente. Qui l’Occidente era stato di fronte ad una civiltà che aveva regalato all’Europa il caffè, l’algebra e la filosofia greca e prodotto imperi che controllavano il commercio globale. Il lungo conflitto con quel mondo per il controllo del commercio con l’Oriente non aveva sino a quel momento prodotto l’altro non umano. I “saracini” erano infedeli, ma pienamente umani.
La hybris occidentale si estese al Maghreb e al Mashreq con lo smembramento violento dell’impero Ottomano. Napoleone invade l’Egitto, poi la Francia occupa Tunisia e Algeria, poi fu la volta del Regno d’Italia a dichiarare guerra alla Turchia e occupare la Tripolitania e la Cirenaica, infine il britannico Mark Sykes e il francese François Picot si divisero con un tratto di penna sulla carta geografica le ultime spoglie dell’impero, smembrato con la Prima guerra mondiale.
Come scrive Edward Said in “Orientalismo”, l’Europa inventa l’Altro orientale. Ciò permetterà di definire nel trattato di Versailles le popolazioni del Mashreq come “non in grado di resistere da sole nelle condizioni del mondo moderno” giustificando così la colonizzazione dello spazio ex ottomano.
Sepulveda non avrebbe saputo fare di meglio.
Dunque, da cinque secoli l’Altro non europeo è un po’ meno che umano o comunque inferiore e “naturalmente” subordinato o al massimo sotto tutela. Una dominazione ovviamente “per il suo bene”.
Oggi, che la supremazia occidentale è messa in discussione, ci si dice che dobbiamo fare la guerra per difendere l’Occidente (con il corollario del dollaro come moneta di scambio) e che tutti i conflitti attuali sono “un attacco ai nostri valori”. In Ucraina, come in Palestina. Ma quali valori?
Sulla superiorità morale dell’Occidente ci sarebbe molto da dire. È l’Europa che ha prodotto il nazismo, culmine del mito della Nazione e del Razzismo scientifico (entrambe invenzioni europee) e che, come ha acutamente notato il poeta martinicano Aimé Cesaire, ha fatto in Europa e verso popolazioni “bianche” ciò che tutte le altre nazioni facevano in Africa senza troppo scomporsi.
E non si dica che si tratta di cose del passato. Ricordiamo che l’Occidente ha condannato alla morte per fame mezzo milione di bambini iracheni per embargo affermando, come ebbe a dire la segretaria di stato USA, Madeleine Albright, che “ne valeva la pena”. Oppure che l’Europa assiste indifferente e all’affogamento di migliaia di ragazzi e ragazze nel Mediterraneo o che nega il diritto di asilo a persone che scappavano da una guerra di Putin, ma che avevano il torto di essere siriani.
La ferocia che nasce dalla convinzione di avere il diritto di vivere meglio degli altri è di oggi, non di ieri. Ed è questa concezione dell’altro come “un po’ meno che umano”, che fa sì che possano essere espressi ad alta voce pensieri come quelli ascoltati dopo l’eccidio del 7 ottobre.
Questo Israele è diventato davvero un paese europeo, interpretando il mito europeo della Nazione e praticando la colonizzazione, come hanno fatto tutti i bianchi occidentali. È la stessa idea di Stato-Nazione che nel continente ha causato, in due guerre mondiali, cento milioni di vittime, di civili e di ragazzi vestiti con una camicia di forza color kaki e la testa imbottita di idiozie identitarie.
E non può meravigliare il silenzio europeo. L’Europa è abituata. La strage di Gaza, contrariamente a quanto si dice, non è per l’Europa nulla di nuovo.
Non ha nulla da invidiare all’eccidio di Addis Abeba, quando i coloni italiani, in rappresaglia per un attentato, spalleggiati dall’esercito, diedero vita ad una vera e propria “caccia al moro” con il linciaggio indiscriminato di migliaia di civili, dando fuoco alle case e distruggendo le proprietà.
O alla strage di Amritsar quando l’esercito inglese sparò sulla folla, dopo averla rinchiusa nella piazza in cui si era radunata per manifestare contro la Compagnia delle Indie, trucidando centinaia di persone disarmate.
O al massacro di Hai Pong in cui la Francia repubblicana rase al suolo l’intero distretto vietnamita uccidendo a cannonate tra 6 e 20mila persone perché si erano attardate ad abbandonare la zona che la Francia aveva dichiarato sotto la sua sovranità. Si trattava di “dare una severa lezione a quelli che ci hanno aggredito a tradimento”.
O ancora al genocidio (riconosciuto tale dalla Germania) degli Herero e dei Nama quando, dopo aver conquistato con la guerra il territorio, le forze coloniali tedesche avvelenarono i pozzi per causare la morte per fame e sete, nell’intento di liberare il territorio dalla loro presenza. La popolazione nativa fu più che dimezzata.
Tutti questi crimini costituenti il benessere europeo, mai riconosciuti come tali, sono stati archiviati come “dura legge della storia”. Nessuno se ne è presa la responsabilità.
È questa percezione di superiorità, che comprende la convinzione di avere il diritto di vivere meglio degli Altri, che impedisce di provare empatia per gran parte del genere umano e consente la sconcertante differenza di trattamento che hanno le vittime bianche da quelle non bianche. Che si tratti di sfollati ucraini o africani, di immigrati rumeni o africani, di malati di covid europei o cinesi, di bambini israeliani o palestinesi. Quelli che meritano pietà e quelli “un po’ meno”.
Pensiamoci quando ci chiameranno per la prossima guerra in difesa dell’Occidente.