«La fila» di Basma Abdel Aziz: universo distopico e allucinato
di Monica Macchi (*)
“Perché nessuno di loro parla o protesta,
perché nessuno se ne va?”“
Yayha, con quella pallottola in corpo,
era l’unica prova vivente
che ancora non erano riusciti ad insabbiare.”
In una città senza nome durante una rivoluzione fallita, con pudore denominata “Gli Sciagurati Eventi”, Yayha Gad el-Rabb Said viene colpito dalle forze di sicurezza ma “la Porta”, nuova e misteriosa autorità di governo, ha dichiarato che i chirurghi non sono autorizzati a rimuovere le pallottole dai corpi senza preventiva autorizzazione scritta.
Così i sei capitoli del romanzo iniziano tutti con secche comunicazioni scritte che ci tengono informati sulle sue condizioni di salute mentre Yayha cerca disperatamente le sue radiografie e poi si mette in fila per chiedere a quello Stato che l’ha ferito il permesso di essere curato.
E Yayha non è solo: dove prima c’erano spinte rivoluzionarie ora c’è una fila di persone che elemosinano servizi di base: in questo universo distopico e allucinato incontriamo tra gli altri, Mahfouz, stupratore e poi martire; Nagi, giornalista che denuncia inascoltato le ingiustizie del nuovo governo; Amani che scompare misteriosamente e Ines, adepta di una nuova religione, la “Burocrazia Invisibile”.
Per 140 giorni, tanto dura il romanzo, la fila non fa che allungarsi ed auto-organizzarsi in una nuova normalità che diventa il nuovo status quo in cui il dissenso viene irreggimentato: il romanzo si dipana come una ferocissima satira sugli impatti psicologici di una società totalitaria e sulla passività instillata che diventa spaventosamente normale quando l’emergenza permanente mette tutto in attesa.
La realtà non è (più) un problema e tutto si risolverà da sé, semplicemente: così Yayha muore dissanguato appena prima che “la Porta” neghi che ci sia un proiettile.
Basma Abdel Aziz è una sociologa, giornalista del quotidiano indipendente al-Shorouq e neuropsichiatra che si occupa di riabilitazione delle vittime di tortura per il Centro Nadeem (un centro che fornisce assistenza medica e consulenza legale oltre che pubblicare rapporti su violazioni dei diritti umani e segnalazioni di torture e negligenze mediche durante le detenzioni nelle mani della polizia); proprio su queste tematiche ha pubblicato due raccolte di racconti brevi e numerosi saggi con cui ha vinto il Sawiris Cultural Award e l’Ahmed Bahaa-Eddin Award.
La Fila è il suo fulminante esordio nella narrativa, tradotto dall’arabo (narrazione in arabo standard, dialoghi in dialetto egiziano) per Nero Edizioni da Fernanda Fischione (che aveva già tradotto con Elisabetta Rossi “Vita: Istruzioni per l’uso” di Ahmed Naji con le illustrazioni di Ayman El Zorqani dove in una Cairo post-moderna inquinata e piegata alle leggi del consumismo i giovani sono repressi da un nichilismo galoppante – per una scena di sesso Ahmed Naji è finito in carcere per “offesa alla morale pubblica” -).
E’ stato presentato sabato 11 maggio al Salone del Libro-Arena Piemonte alla presenza dell’autrice e di Lucia Sorbera.
Da segnalare anche la copertina dove campeggia uno scatto di Richard Mosse, un fotografo documentarista inglese che ha vinto il Prix Pictet per la serie Heat Maps, realizzata in diversi campi profughi utilizzando una fotocamera militare.
(*) ripreso da oubliettemagazine.com