La guerra: troppo seria per lasciarla ai generali

diceva Georges Clémenceau

(L’Orologio dell’Apocalisse Nucleare, a che ora è la fine)

articoli di Alessandro Portelli, Enrico Euli, Elena Popova, Yurii Sheliazhenko, Francesco Masala, Andrea Andrillo, Gian luigi Deiana, Maurizio Acerbo, SI Cobas, Luciano Canfora, Andrea Giustini, Ida Dominijanni, Pino Arlacchi, Europe for Peace, Alessandro Gilioli, Angelo d’Orsi, Enrico Piovesana, Giovanni Scotto, Domenico Gallo, Francesco Pallante, Usb, Angelo Gaccione, Franco Astengo

La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali, diceva Georges Clemenceau in altri tempi.

Ma i tempi cambiano, adesso i generali sono prudenti, e i politici sono incendiari, ed è un grave problema.

Vorrei provare a fare un piccolo ragionamento, che riguarda l’ignobiltà dei sostenitori dell’Ucraina che inviano armi, oltre che l’ignobiltà di Zelensky, non certo la nobiltà di Putin.

Intanto provo a fare una ricostruzione dei fatti, spero condivisibile e condivisa.

In questa storia ci sono anche i bari, che si chiamano Usa e Nato (dell’Europa nessuno si senta escluso), che avevano promesso che la Nato non si sarebbe allargata a Est. Nel grande gioco iniziato dopo la caduta del Muro di Berlino gli Usa e la Nato, contrariamente alle promesse di disgelo definitivo, hanno per trent’anni allargato la ragnatela della Nato per soffocare la Russia, questo è un fatto, basta guardare le carte geografiche, una partita a scacchi nella quale la Nato ha conquistato molte caselle che dopo il 1989 erano diventate libere.

Negli ultimi anni la Nato voleva inglobare l’Ucraina, per chiudere la Russia e per potere, se necessario, piazzare i suoi missili sui confini a est, oltre che chiudere il Mar Nero alle navi russe.

Nel 2014 la Russia si è ribellata al gioco Nato, si è ripresa la Crimea, e un referendum nel quale hanno votato i tre quarti degli aventi diritto, e di questi il 96% ha votato per l’annessione alla Russia (sulla legalità di tale determinazioni ci sono diverse opinioni, per esempio qui e qui) e ha sostenuto le due repubbliche russofone del Donbass.

Da allora sono successe molte cose in questi anni, la Russia ha continuato, ignorata, a chiedere che l’Ucraina non entrasse nella Nato, che la Crimea russa venisse riconosciuta e che le repubbliche del Donbass (in una continua situazione di guerra a bassa intensità, ma temo che le vittime non sarebbero d’accordo sull’aggettivo bassa) avessero un’ampia autonomia, e quest’autonomia fu riconosciuta dagli accordi di Minsk, che purtroppo non divennero mai operativi.

Interpretando che le cose stessero diventando pericolose per la Russia, Putin ha insistito che venissero discusse (con Ucraina, Usa, Nato) le sue richieste, per poter raggiungere i suoi obiettivi, evidentemente.

Risposta non pervenuta.

A questo punto ha cominciato ad ammassare le truppe ai confini, per dimostrare che faceva sul serio.

Risposta non pervenuta.

Intanto Usa e Nato, parole di Biden, in caso di invasione non sarebbero intervenuti.

Un aiutino all’invasione, conoscendo la psicologia, le paure e le ambizioni di Putin e così è successo.

Fino a qui la ricostruzione dei fatti.

E invasione e guerra ci sono state, mai così prevedibili, previste, auspicate, caldeggiate.

Premetto che non si parla della nobiltà di qualcuno, ma della ignobiltà di tutti.

Di Putin (e della Russia) mi sembra che parlino tutti, o quasi, male, abbastanza a ragione direi, ma mi interessa qui provare a dimostrare l’ignobiltà di chi sta a occidente della Russia.

Le carte di Zelensky non sono molto buone, i suoi alleati europei lo sanno, ma rilanciano sempre più, mandano armi, forse qualche volontario, foreign fighters buoni, chissà.

Il primo ignobile è il comico Zelensky, che non fa ridere, ha messo sul tavolo da gioco non il suo tesoro personale (al sicuro nei paradisi fiscali), ma la vita di 42 milioni di ucraini, un piatto pesante, la Russia ha accettato la partita.

In altri tempi uno come Zelensky sarebbe stato giustiziato per tradimento, ama il suo paese così tanto da spostare i suoi soldi al caldo, ma gioca con la vita dei connazionali.

(Qualcuno dirà che i conti nei paradisi fiscali li hanno tutti, ma è una bugia)

Zelensky ha detto l’altro giorno che l’entrata dell’Ucraina nella Nato non è nei piani (non poteva dirlo e scriverlo un mese fa?), intanto fa i suoi appelli alle armi in videoconferenza nei parlamenti occidentali, che gli tributano standing ovation.

 

Dove sta l’ignobiltà dell’Europa?

Ci sono tanti motivi, eccone alcuni:

per aver scelto di seguire gli interessi Usa, tra cui la distruzione nei fatti dell’Europa, un suicidio;

per dare armi ai mercenari ucraini, come se fosse normale, come se buttare la benzina nel fuoco lo facesse spegnere prima;

per aver scelto di aumentare gli stanziamenti di guerra nei bilanci statali (sapendo che le spese “sociali” diminuiranno nella stessa misura, almeno), per aver scelto di impoverire i cittadini europei, ormai solo nazionali;

per non aver fatto niente per scongiurare la guerra.

 

Quali sono gli obiettivi dell’Europa?

Comprare il gas del fracking Usa a prezzi tripli rispetto ai prezzi del gas russo?

Sostituire Putin con un ubriacone come Eltsin? E se a sostituire Putin fosse uno Stalin?

Rubare le risorse naturali russe, come si è fatto in Iraq e in Libia?

Ottenere manodopera a buon prezzo, di visi pallidi?

Far ripartire le economie nazionali col traino delle imprese di costruzioni italiane, francesi e tedesche?

Sostenere le imprese di armamenti, che contribuiscono al finanziamento dei politici vanesi, elargiscono tangenti (scusate, si dice commissioni) ai politici, e che magari li assumono a fine carriera?

E cosa succederà se e quando la Scozia e la Catalogna si staccheranno da Gran Bretagna e Spagna, referendum o bombe?

E cosa succederà se e quando fra 25 anni la Germania, riarmata, democraticamente un po’ nazista, metterà i suoi missili contro la Francia per riprendersi Alsazia e Lorena?

Qualcuno si ricorderà di questi mesi?

Si ricorderà qualucuno che il Kosovo serviva per piazzare basi Nato, e che l’Ucraina potrebbe avere la stessa destinazione d’uso?

 

Lasciamo da parte gli Usa, il paese più terrorista del mondo non ha bisogno di motivi per fare quello che fa, è la sua natura, nelle banconote, in filigrana, sotto In God We Trust (Crediamo In Dio), è scritto Shock And Awe (Colpisci E Terrorizza).

 

Il motto delle Nazioni Unite sarà Mors Tua Vita Mea, visto l’incessante impegno dell’Onu per la pace.

 

Intanto seguiamo, impotenti, la partita a poker.

 

L’ipotesi più probabile è che la Russia otterrà (quasi) tutto quello che chiedeva, e che la guerra prevedibile, prevista, auspicata, caldeggiata sarà stata inutile, e naturalmente anche l’Ucraina otterrà una pace a condizioni ottime.

Solo che all’accordo di pace si poteva arrivare prima della guerra, se solo l’ignobile Europa si fosse adoperata in quella direzione.

Alla fine i vincitori saranno i Padroni universali, i Masters of War, i signori delle guerre, e i sicuri perdenti, che novità, la povera gente.

La Russia sarà considerata dalla comunità internazionale (così si autodefiniscono i paesi della Nato) uno stato reietto, perché ha fatto una guerra sbagliata, a differenza degli Usa e degli stati europei, che, come sanno tutti, fanno solo guerre giuste.

E la Cina, seduta sulla riva del fiume, guarda i cadaveri (degli stati) passare, sapendo che poi toccherà a lei.

Probabilmente negli Usa qualche pazzo starà sperando in un’altra guerra mondiale in Europa, e per la terza volta in un secolo gli Stati Uniti d’America salverebbero l’Europa e il mondo.

Una proposta: e se al tavolo per discutere un duraturo accordo di pace sedessero solo i pacifisti ucraini e i pacifisti russi?

Francesco Masala

 

 

 

 

 

Industria della paura in azione: come i media hanno sostituito il Covid con Putin – Pino Arlacchi

 

Il delirio bellicista e antirusso dei media europei deve certo preoccupare, ma non oltre un certo punto. State certi che gli stereotipi apocalittici del tipo “Il mondo non sarà più quello di prima”, “La più grande crisi dopo il 1945”, “Sull’ orlo della terza guerra mondiale” non dureranno a lungo. Verranno dismessi non appena si profilerà un nuovo Grande Nemico al posto di Putin e della Russia.

Non è questione di geopolitica. O di valori e di passioni. Ma di interessi. Gli interessi dell’industria della paura che semina panico e rancore allo scopo di vendere copie ed alzare ascolti. Un’industria subdola, alleata di quella militare, soprattutto americana, che va in giro per il mondo in cerca di nemici mortali da combattere.

Parliamo di una macchina mediatica che si nutre di calamità reali da gonfiare fino all’ inverosimile, vedi Covid, per poi sgonfiarle e passare ad altro. Parliamo di un vento mercenario che trasforma crisi limitate in disastri soffiando sul fuoco della guerra e delle armi, vedi Russia-NATO-Ucraina. Parliamo di un esercizio di cinismo informativo che monta e smonta allarmi epocali senza dare spiegazioni, vedi terrorismo islamico e conflitti mediorientali.

E’ da qui, dal recente declino delle guerre in Medioriente, e dal parallelo calo degli attentati terroristici, che bisogna partire per capire le ragioni più nascoste della guerra in corso.

Il partito della paura ha due forze motrici: l’industria mediatica e quella della sicurezza. Entrambe hanno ridotto in schiavitù la politica organizzata. Dopo l’11 settembre 2001 i temi dominanti della fabbrica del panico sono stati la guerra al terrorismo ed ai regimi mediorientali nemici delle cosiddette democrazie liberali. Gli Stati Uniti e gli europei tramite la NATO hanno condotto una serie di guerre tanto sanguinose quanto disastrose negli esiti: in Iraq si è sterminato quasi un milione di persone per installare un governo…filo-iraniano; in Afghanistan si è stati sconfitti da un’armata di straccioni, e in Siria, dopo aver promosso una guerra civile da mezzo milione di morti, è rimasto al potere Assad.

Il tutto con l’entusiastico sostegno dei mezzi di comunicazione e dei produttori di armamenti schierati a difesa della democrazia e della libertà.

Nel 2016 Trump ha preso atto del fiasco ed ha iniziato un ritiro delle truppe occidentali concluso da Biden con la fuga dall’ Afghanistan. I profeti di sventura preconizzavano un’impennata della violenza, del caos e dei conflitti. Si è verificato l’esatto opposto. Venuta meno la causa scatenante, che era l’intervento occidentale, vittime e attentati terroristici si sono ridotti di oltre la metà, e continuano a ridursi in Medioriente e nel resto del mondo. Tra Siria ed Irak, la riduzione delle vittime supera il 90%, e il principale problema dell’Afghanistan oggi è la fame e non più la guerra.

Gli sventurologi erano in ansia. Il mondo rischiava di diventare più sicuro, e il loro business poteva soffrirne malamente. Declinato il grande scontro di civiltà, dove trovare il nuovo Satana da sconfiggere per salvare appalti, lettori e ascoltatori?

La lotta all’ immigrato ha funzionato poco, perchè è andata a beneficio del solo complesso mediatico e dei partiti populisti, lasciando a secco la componente militare ed i partiti di governo. La lotta alla criminalità aveva una sua potenzialità, ma è stata ostacolata dall’ improvvido declino, soprattutto in Europa, della violenza criminale.

L’ arrivo inaspettato del Coronavirus è stata la classica manna, ma è durato solo un paio di anni.

Finchè non è arrivato Putin con la sua guerra sciagurata contro l’Ucraina che sembra fatta su misura dell’industria della paura, e della paga dei soldati à la Riotta. I politici scadenti dell’UE ora non sanno come affrontare una crisi molto meno grave di quella dei missili a Cuba che nel 1962 ci ha portati davvero a un soffio dalla guerra nucleare. Ma allora c’erano in scena statisti come Kennedy e Krusciov, e l’industria della paura non era così potente.

 

(Articolo pubblicato su il Fatto Quotidiano dell’11 marzo)

 

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scrive Ida Dominijanni:

 

Voglio sperare che malgrado l’ottusità imperante sia ancora possibile essere solidali e con-passionevoli con le e gli ucraini che stanno vivendo in un inferno e parlare male, anzi malissimo, del loro governo. Almeno questo è stato finora possibile anche nelle situazioni di militarizzazione bipolare del dibattito pubblico, che però militarizzato e bipolare come adesso non è mai stato e dunque è possibile che anche quello che sto per scrivere venga tacciato di connivenza con l’Autocrate. Me ne infischio e lo scrivo lo stesso.

Non è vero che Zelenski è soprattutto un abile comunicatore. E’ anche un politico furbastro, e con i suoi paragoni à la carte con l’11 settembre 2001 e il 7 novembre 1989 non fa solo show, fa politica. Ora si comincia a vedere con chiarezza quello che fino a pochi giorni fa si lasciava soltanto supporre, cioè che il premier ucraino ha in testa una precisa linea politica, che consiste nel dividere ciò che resta della Ue portandone dalla sua parte i membri più destri e guerrafondai (Polonia, Cechia e Slovenia che già gli hanno fatto un bell’inchino andando a fargli visita senza il placet di Bruxelles, ma anche la Finlandia, probabilmente i paesi baltici e gli altri stati ex-Urss), rompere o indebolire i rapporti con la Germania e il resto dell’Europa occidentale e stringere un’alleanza di ferro con gli Usa e il Regno unito. Non si spiega diversamente il suo discorsino di oggi al Bundestag (“Ogni bomba che ci cade sulla testa alza un muro con l’Europa che non ci dà la fly zone”) che fa il paio con quello di ieri al Congresso Usa.

Peggio di lui c’è la vicepremier, che ieri notte alle 4 ha rilasciato un’intervista alla Stampa in cui dice 1) che la terza guerra mondiale è già in atto, che quindi 2) lei vuole la Nato in campo e che comunque 3) l’Ucraina non cederà un millimetro dei suoi territori.

Il popolo ucraino sta attraversando l’inferno e merita, lo dico col cuore e con la ragione, tutta la nostra solidarietà, ma il suo è un governo populista, nazionalista e guerrafondaio, che si sta attrezzando a una guerra fatta con le armi e l’addestramento Usa-Nato, i civili armati uno per uno, i reparti speciali neonazi e mercenari vari. Prima ce ne accorgiamo e diamo un taglio alla mistica di Zelenski martire della libertà democratica meglio è.

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LETTERA DELLO STORICO ANGELO d’ORSI AL DIRETTORE DE LA STAMPA MASSIMO GIANNINI

Gentile Direttore,

ho collaborato alla “Stampa” per decenni, e sono stato allontanato, senza una parola, naturalmente, con l’arrivo di Molinari, giunto al giornale a portarvi il suo carico di sionismo e iperatlantismo (e già allora di russofobia).

Avevo sperato che un giornalista proveniente da “la Repubblica” come Lei, avrebbe compiuto uno sforzo di riequilibrare l’orientamento di questa testata a cui sono rimasto legato. Invece no. E i vostri servizi, se così vogliamo chiamarli, sulla guerra in Ucraina, lo dimostrano, in modo avvilente. Ma con la prima pagina di oggi il giornale da Lei diretto ha toccato il fondo della disonestà giornalistica: una immagine relativa alla strage compiuta due giorni fa dalle truppe governative di Kiev ai danni dei civili di Donetsk (14 morti), viene presentata in modo che il pubblico pensi che siano stati i russi cattivi. Siamo oltre ogni artifizio giornalistico, lo lasci dire a uno che è iscritto all’Ordine dal 1971, e che ha avuto nel 2021 la targa d’argento come veterano del giornalismo piemontese. Uno che è stato allievo di Norberto Bobbio, e oltre ad aver insegnato per più di 40 anni all’Università, ha lavorato per le maggiori testate italiane, e anche qualche testata straniera, pubblicando molte centinaia di articoli.

Mi aspetto che il giornale domani, con lo stesso rilievo faccia una formale autocritica e spieghi, come e quando e da chi ha ricevuto la foto, chi ne sia l’autore, come la foto è giunta a voi (e se avete i diritti di utilizzo), e in quale situazione è stata scattata.

Aggiungo che tutta l’impaginazione, dai titoli dei commenti tutti a senso unico, fino al pezzo che vorrebbe essere sarcastico su Luciano Canfora, e che fa ridere solo chi l’ha scritto, è a di poco inquietante. State spingendoci verso la terza guerra mondiale, consapevolmente o meno. La storia non vi ha proprio insegnato nulla. Che pena.

Segnalerò comunque l’episodio all’Ordine. E smetterò di comprare, ovviamente, il Suo giornale.

Saluti

Angelo d’Orsi

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Bombe sui bambini o disinformazione? Cosa sappiamo di quanto successo a Mariupol – Andrea Giustini

 

Prima che essere un esempio di devastazione da guerra, il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol è un caso esemplare di confusione mediatica. Dichiarazioni, articoli di giornale, narrazioni, si sono rapidamente rincorse e smentite, rendendo impossibile farsi un’idea chiara di cosa sia successo il 9 marzo scorso. E questo non solo perché, come era prevedibile, la versione russa e quella ucraina sulla situazione all’ospedale sono diverse. Ma anche perché, in alcuni casi, sono le fonti di una stessa parte a divergere.

In questa situazione torbida, testate giornalistiche italiane non hanno comunque mancato di sospendere la deontologia professionale. Scegliendo arbitrariamente di trasmettere una sola versione, quella Ucraina, e spesso elevandola senza motivo a fonte certa e verificata, abbandonando oltretutto l’uso del condizionale. Ma le informazioni giunte, sino ad ora, non sono sufficienti per giudicare i fatti di Mariupol, rendendo evidente come siano necessarie verifiche e conferme.

La notizia del bombardamento dell’ospedale pediatrico è stata data in primis dal premier ucraino Zelensky. Le sue parole, accompagnate da un video, sono state: «persone, bambini sono sotto le macerie. È un’atrocità! Per quanto tempo ancora il mondo sarà un complice che ignora il terrore? No fly zone adesso!». Tuttavia, quasi nello stesso momento, Pavlo Kyrylenko, attuale governatore del Donetsk Oblast, dichiarava che nell’attacco erano rimaste ferite 17 persone, ma che a quanto si sapeva non era morto nessuno: né donne né bambini.

Da parte russa, poco dopo, è arrivata una decisa smentita, carica di accuse di fake news. Dmitry Polyanskiy, primo deputato e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite della Russia, ha polemizzato per il modo in cui mezzi d’informazione occidentali e le stesse UN hanno parlato dell’accaduto: «Ecco come nasce una fakenews. Abbiamo avvertito nella nostra dichiarazione del 7 marzo che questo ospedale è stato trasformato in un oggetto militare dai radicali. Molto inquietante che l’ONU diffonda queste informazioni senza verifica»…

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LAVORATORI CONTRO LA GUERRA

 

 

 
Verso la mobilitazione generale del 22 aprile a Roma. Il Coordinamento Nazionale Lavoratori Portuali USB lancia una giornata di lotta per il 31 marzo a Genova. Dalle ore 6 presidio presso il Ponte Etiopia. Ore 10:30 assemblea nazionale operaia presso il CAP di Via Albertazzi. Il prezzo del conflitto lo pagheranno i lavoratori con licenziamenti e carovita. Non un centesimo, un fucile o un soldato per la guerra. Blocchiamo i nostri porti al traffico di armi. È l’ora della variante operaia.

Come lavoratori portuali non abbiano nessuna intenzione di restare indifferenti di fronte ai nuovi venti di guerra che soffiano di nuovo in Europa.
Questo conflitto, che ha una genesi che va ben oltre la ricostruzione di comodo dei nostri media nazionali e dei nostri politici, come ogni guerra nella storia avrà delle pesanti conseguenze per tutti i noi. A pagarne le spese saranno proprio i lavoratori e le lavoratrici. In Ucraina e Russia ovviamente, ma anche nei paesi Europei, attraverso l’aumento del costo dei beni energetici come gas e petrolio e delle spese militari. Tutto ciò porterà a dei contraccolpi devastanti per il nostro paese. I licenziamenti di massa e le ristrutturazioni, che non si sono mai fermate, andranno avanti senza sosta. Milioni di lavoratori, già in difficoltà a seguito della crisi pandemica, si ritroveranno con aziende chiuse e stipendi più bassi. Con l’aumento del carovita e nessun adeguamento salariale complessivo a partire dai minimi tabellari, il potere di acquisto sarà ridotto drasticamente. Il Prezzo della benzina che ha raggiunto prezzi record (2,50 € per litro) inciderà anche sulla mobilità dei lavoratori e sul costo dei prodotti finali a partire anche da quelli alimentari.
Tutto ciò mentre il nostro Governo, utile servo della Nato e degli interessi Americani, cerca di trascinarci ancora di più nel conflitto con invio di risorse economiche e sanzioni. Politiche che alimentano solo il conflitto. Perché è nostra convinzione che l’economia di guerra e i traffici d’armi che questa determina sono una delle principali cause dei conflitti e della loro deflagrazione quando le classi dirigenti li alimentano, operando in palese spregio delle leggi nazionali secondo cui l’Italia ripudia la guerra e si astiene da ogni fornitura e supporto militare alle parti belligeranti. Quello che dovrebbe essere un punto fermo della vita politica e civile del nostro Paese, da decenni ormai è stato completamente messo in soffitta in ossequio ad interessi industriali e geopolitici del tutto estranei ai lavoratori. Il tema della guerra e quello del lavoro sono strettamente collegati. Tenerli separati sarebbe un errore, soprattutto per noi lavoratori portuali che lavoriamo a stretto contatto con le merci e non vogliamo essere complici della guerra movimentando armamenti di qualsiasi tipo e qualsiasi destinazione nei nostri scali. Per questi motivi il coordinamento nazionale dei portuali USB ha deciso di lanciare una giornata di mobilitazione a Genova in occasione dell’arrivo nel porto della nave Saudita Barhi carica di armamenti statunitensi.
In queste settimane i nostri lavoratori hanno effettuato un lavoro di monitoraggio negli scali in cui siamo presenti denunciando qualsiasi movimento di armamenti, da Genova a Livorno, passando per Trieste e Civitavecchia. All’aeroporto di Pisa i lavoratori USB si sono già rifiutati di caricare armamenti su un aereo civile che, sulla carta, avrebbe dovuto trasportare aiuti umanitari. Abbiamo deciso di convergere su Genova il 31 marzo promuovendo anche un’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici impegnati su questi fronti. Un momento importante di lotta e confronto che servirà anche per confermare la nostra adesione alla mobilitazione del 22 aprile a Roma quando i lavoratori dell’industria, del commercio, della logistica, del trasporto e dei porti scenderanno in sciopero e porteranno direttamente a Roma, di fronte ai palazzi del potere, la loro rabbia e la loro determinazione.
Coordinamento Nazionale Porti Usb
José N.

da qui

 

 

 

“Zelensky salito al potere con un colpo di Stato, guerra è tra Russia e Nato” – Luciano Canfora

 

(Umberto De Giovannangeli intervista Luciano Canfora)

 

Una voce fuori dal coro. Per “vocazione”. Controcorrente, anche quando sa che le sue considerazioni si scontrano con una narrazione consolidata, mainstream. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), è così. Sempre stimolante, comunque la si pensi. E le sue riflessioni sulla guerra d’Ucraina ne sono una conferma.

* * * *

Professor Canfora, in queste drammatiche settimane, in molti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo ad Est. Qual è la sua di definizione?

Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici… Ciò che sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato. Per interposta Ucraina. Che si è resa pedina di un gioco più grande. Un gioco che non è iniziato avanti ieri ma è cominciato almeno dal 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev che cacciò Yanukovich.

È una guerra tra potenze. Quando i vari giornaletti e giornalistucoli dicono ecco gli ex comunisti che si schierano…Una delle solite idiozie della nostra stampa. Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.

 

C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia non era tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o la sua adesione all’Ue, quanto il sistema democratico che in quel Paese ai confini con la Russia si stava sperimentando. Lei come la pensa?

Usiamo un verso del sommo Leopardi: “Non so se il riso o la pietà prevale” dinanzi a schemi di questo tipo…

 

Dalla poesia alla prosa…

Se dobbiamo ritenere che sia democratico chi arriva al potere dopo un colpo di Stato, perché quando in Ucraina fu cacciato il governo in carica quello era un golpe, come quello di al-Sisi in Egitto contro i Fratelli Musulmani. Ognuno è libero di dire le sciocchezze che vuole ma adoperare queste categorie per salvarsi la coscienza, è cosa poco seria. Il figlio di Biden è in affari con Zelensky. Zelensky è un signore che dice di voler combattere per degli ideali, ma questi ideali hanno anche dei risvolti meno idealistici…

 

Vale a dire?

Il Guardian, non la Pravda, nell’ottobre del 2021 fece un ritratto di Zelensky, dal punto di vista affaristico, molto pesante. Incitiamo i nostri simpatici gazzettieri ad andarsi a leggere il Guardian dell’anno passato per avere un ritratto realistico di Zelensky. Dopodiché non mi scandalizzo, perché quando si usano le parole libertà e democrazia c’è odore di propaganda lontano un miglio. O parliamo seriamente o facciamo propaganda. La propaganda peraltro è cosa molto seria, basta non crederci.

 

C’è chi accusa la Russia di disinformatia…

Beh, anche il nostro apparato informativo è spaventoso, da quel punto di vista lì. Non ho nessuna tenerezza per la disinformatia russa, però lo spettacolo della nostra stampa, cartacea e televisiva, è peggio del Minculpop. A confronto il Minculpop è un’Accademia dell’Arcadia. Una stampa con l’elmetto, in cui dalla mattina alla sera non si fa altro che blaterare, urlare, protestare, piangere, sentenziare, per creare una psicosi di massa. Devo confessarle che nonostante ne abbia viste tante in vita mia, sono rimasto piuttosto stupito di cotanta prontezza, che fa pensare ad a ordini precisi, con cui la stampa si sia messa l’elmetto. Una cosa francamente penosa. Anche nella psicologia diffusa. Le racconto questa: l’altro ieri ho incontrato un tizio per la strada che mi ferma e mi dice: “Professore, ma lei cosa pensa di quel pazzo di Putin?”. “Qualche responsabilità c’è anche dall’altra parte”, gli rispondo. “Ah”, dice, “ma allora lei la pensa come me”. Questo è un episodio emblematico. Siamo arrivati all’autocensura per timore di scoprirsi. Come durante il fascismo, quando si diceva ma allora anche Lei è contro… Siamo ridotti a questo. Lanciamo almeno un campanello d’allarme affinché la stampa ridivenga dignitosa. Se ce la fa.

 

I pacifisti che hanno manifestato sabato scorso a Roma, sono stati additati da più parti come dei “filo-Putin”…

È maccartismo puro. Non mi stupisce questo, una volta si diceva sono pagati per questo. È talmente in malafede dire una cosa del genere che non merita neanche un’argomentazione complessa. Perché rivela da sé la natura maccartistica, persecutoria, isterica, di falsa coscienza di una tale valutazione. È chiaro che tutti auspichiamo che si torni a una vera situazione pacifica. Ma ricordiamoci il passato, però…

 

Ricordiamolo, professore.

Gorbaciov auspicò la Casa comune europea. E fu respinto. Aggiungiamo anche che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, nacque la Comunità degli Stati Indipendenti, di cui facevano parte l’Ucraina, i Paesi baltici, l’Asia centrale russa, la Georgia. La Comunità degli Stati Indipendenti è un concetto. Comunità vuol dire qualche cosa. Se tu dopo un colpo di Stato, quello del 2014, cominci a chiedere di entrare nella Nato, stai disattendendo un impegno preso non molti anni prima. Ci vuole una Conferenza per la sicurezza europea. Una via di uscita. Se esistesse l’Unione Europea, che purtroppo non esiste, la soluzione sarebbe quella di prendere una iniziativa per una Conferenza per la sicurezza in Europa. Di cui gli Stati Uniti non fanno parte. Invece l’Europa è ingabbiata dentro la Nato il cui vertice politico e militare sta negli Stati Uniti. Il comandante generale della Nato per statuto deve essere un generale americano. Il segretario generale della Nato per entrare in carica, anche se si chiama Stoltenberg ed è norvegese, deve avere il placet del governo degli Stati Uniti. Imbavagliati così, balbetteremo sempre.

 

In queste settimane di guerra, ci si è molto esercitati nella decodificazione dei vari discorsi pronunciati da Putin, nei quali il presidente russo ha evocato la Grande Guerra Patriottica, la Madre Terra Russia, il panrussismo etc. Da storico: non c’è da temere quando un politico, soprattutto se questo politico ha in mano una potenza nucleare, sembra voler riscrivere la Storia?

Questo mi pare evidente. Solo che il paragone storico più calzante sarebbe un altro…

 

Quale?

Quello che un ottimo studioso italiano, Gian Enrico Rusconi, quando la Nato si affrettò a disintegrare la Jugoslavia, intitolò un suo libro, un bel libro, a riguardo Rischio 1914. Ci siamo dimenticati che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, la Nato ha voluto, pezzo a pezzo, mangiarsi lo spazio intermedio fino ai confini della Russia? E il primo ostacolo era la Jugoslavia. E quando ci fu la secessione della Croazia, analoga se vogliamo alla secessione del Donbass, il primo a riconoscere il governo croato fu il Papa e il secondo fu il governo federale tedesco. E tutti applaudivano. La secessione della Croazia era un gioiello, una bellezza. Adesso la secessione del Donbass è un crimine. Rischio 1914. Lo dico con allarme. Sul Corriere della Sera, una voce sensata, quella di Franco Venturini, dice: ma ci rendiamo conto che Zelensky sta continuando a chiedere l’intervento militare della Nato, cioè vuole la Terza guerra mondiale…Ce ne rendiamo conto o no?

 

Lei come giudica la decisione del governo italiano di inviare equipaggiamenti militari all’Ucraina?

L’Unione europea, che purtroppo non esiste, avrebbe dovuto avere una politica unica su questo come su altri terreni. È piuttosto sconcertante e politicamente sbagliato che ognuno vada per conto suo. Nel caso particolare l’Italia vuole fare la prima della classe. Spero che si mantenga entro limiti accettabili per la controparte, stante che noi abbiamo in casa le basi Nato. Se continuiamo a scherzare col fuoco, facciamo quello che Zelensky insistentemente chiede. A questo proposito mi permetto di raccontare una cosa che peraltro è verificabile. Giorni fa, sulla Rete Tre della televisione, in un talk show c’è in studio una studiosa ucraina, e viene mandato in onda un discorso di Zelensky che viene tradotto, in simultanea, in italiano. A un certo punto, la studiosa ucraina dice “attenzione, la traduzione è sbagliata”, perché lui sta dicendo altro. “E che sta dicendo, le chiede la conduttrice?”. “Sta dicendo che bisogna che la Nato intervenga militarmente”. La traduzione voleva occultare questo. Figuraccia della televisione italiana. Rischiamo di raccontarle queste cose, perché tra breve, non so, leggeremo il Vangelo secondo Riotta? Spero di no.

 

Se qualcuno alzasse l’indice accusatorio e dicesse: ecco, il professor Canfora ha svelato di essere un nostalgico del tempo che fu…Come risponderebbe?

Io non credo di aver manifestato nostalgie nel momento che mi sono più volte espresso intorno agli scenari conseguenti alla sconfitta dell’Unione Sovietica nella Guerra Fredda. Nessuno, però, può toglierci il diritto di dire quello che ha scritto, poco prima di morire, Demetrio Volcic. E cioè che la situazione di equilibrio esistente al tempo delle due super potenze, garantiva la pace nel mondo. Demetrio Volcic. Spero che sia considerato al di sopra di ogni sospetto.

da qui

 

 

 

PUZZLE – Gian luigi Deiana

 

tasselli di una comprensione provvisoria

non possiamo rinunciare a comprenderla questa situazione, perchè avvolge e sconvolge; ma siamo certo impediti, anzichè aiutati, da chi ne sa più di noi: chi ne sa più di noi, infatti, o è rabbiosamente zittito oppure si è piegato a ingannare, avendo di già conquistato la promozione e il ruolo con l’ inganno di se stesso; quindi dobbiamo provare da soli, un tassello per volta;

i tasselli ineludibili sono quelli più equivoci e sono sostanzialmente tre, come in ogni costruzione teatrale: il protagonista, l’antagonista e la regia; cioè putin, zelenski, e il posizionamento dell’ucraina nel risiko globale, cioè chi lo guida;

anche un bambino capirebbe che per prima cosa andrebbe spiegato il risiko, ma è proprio questo che “non” viene spiegato, nonostante l’opera di decine di leader politici, centinaia di esperti, migliaia di giornalisti, milioni di profughi e miliardi di ostaggi, cioè noi; quindi, per oscurare la comprensione del risiko (cioè dell’oggettività storica, strategica, economica e sociale dell’ucraina) si deve soggettivizzare l’esposizione del problema, polarizzandola sul soggetto protagonista e sul soggetto antagonista; il problema diventa così, magicamente, una narrazione, e il risultato di questa magia è che sfuma l’identità di chi guida il gioco e scompare ogni razionale ipotesi di soluzione; infatti questa, se c’è, è sempre più affidata al caso, cioè al caos;

il divenire del caos, ora dopo ora, non viene a sua volta fermato o almeno rallentato, per il fine necessario di una possibile comprensione della sua organicità, del suo contesto e di una sua possibile tregua: al contrario viene letteralmente spezzettato e poi “rimontato” attraverso addizioni enfatiche di particolari, come nella tecnica del film: il piano lungo di un palazzo in fiamme, l’interno di una stazione, o il primo piano di una persona in carrozzina: tutto fa film, purchè se ne perda il senso; scomparendo la possibile fine, ne scompare anche la verità dell’inizio;

quindi, come la soggettivazione nasconde la verosimile oggettività, rendendo questa invisibile, così la particolarizzazione nasconde il contesto intero, rendendolo ininterpretabile; il problema, invisibile e ininterpretabile, diventa irrisolvibile, e la soluzione è il caos;

tuttavia, dato che questa è la condizione interpretativa prevalente, benchè invertita rispetto a come dovrebbe essere, cedo anche io qui al terreno scivoloso della soggettivazione, e cominciamo appunto da putin e da zelenski;

PUTIN: di putin conosciamo la prassi, che oggi si sta esprimendo con l’opzione per la guerra; non conosciamo la teoria, che balena a tratti attraverso una estrinsecazione probabilmente insincera; personalmente considero pessima la prassi, nonostante essa adduca oggettive e gravissime ragioni di controversia (la nato, il donbass ecc.) ma non nascondo il timore che la teoria possa essere ancora peggiore; la controversia può essere risolta senza guerra; la guerra pratica a sua volta non è necessariamente il peggio: distrugge e uccide, ma lo fa nel “limite” fattuale dello spazio e del tempo; invece la mente teorica che la muove, virtualmente, può non sottostare al vincolo del “limite”, in quanto nessuno le vieta di sostituire il dato fattuale con metafisiche allucinatorie; la patria, la “patria”, può sempre essere assunta come metafisica allucinatoria, e la visione della grande madre russia vi si presterebbe perfettamente; di qui ad allucinazioni destinali, ore fatali e rivalse planetarie il passo può essere anche breve, se esso trova risposte simmetriche dalla parte opposta; e infatti, purtroppo, le trova;

dunque: è indispensabile riportare l’illimitatezza della teoria allucinatoria che balena talvolta in putin (madre russia ecc.) alla limitatezza pur tragica della prassi sul campo, la guerra; e di qui riportare la prassi sul campo, la guerra, alla controversia gestibile con negoziati; la guerra sta in mezzo, tra il caos mondiale e la trattativa diplomatica; non sembra esservi altra scelta;

ZELENSKI: zelenski è visibilmente un soggetto-immagine; egli non presenta nè una propria teoria nè una propria prassi; appare sempre in travestimento, sempre in acconciatura e sempre in posa da attore; egli necessita di un pubblico sempre più speciale, di fronte al quale recita sempre a soggetto, anche se non rinuncia a recalcitrare; egli sfida putin al faccia a faccia e imputa all’occidente la colpa di non proteggere lui, zelenski, fino in fondo; denuncia questa colpa dell’occidente non come un limite trattabile nella prassi, ma come principio di una meritata apocalisse; quindi zelenski, che visibilmente muove una prassi di guerra come guerra per procura, ovvero come vicario bellico dell’occidente, muove di suo una teoria allucinatoria antagonistica e altrettanto pericolosa rispetto a quella del protagonista: l’ enunciazione destinale della stirpe cosacca e del suo presidente eroe come baluardo sacrificale della civiltà;

LA REGIA, ovvero la parte dell’ucraina nel risiko globale: la parte dell’ucraina nel risiko globale dovrebbe ragionevolmente essere quella scritta in secoli di storia: una lunga linea di neutralità e scambio che corre dal mar baltico al mar nero, dalla scandinavia al crogiolo mediorientale; una linea “felice” per chi la abita e per le due parti di cui questo luogo (il cui stesso nome significa frontiera) è da sempre l’incontro; tale fu il senso del trattato di brest litovsk col quale il morente impero germanico e la nascente unione sovietica prefigurarono nel 1918 la giusta indipendenza dell’ucraina e della bielorussia, cosa invece ripudiata brutalmente da putin contro lo stesso lenin; tale fu il senso dell’accordo tra gentiluomini su cui avevano confidato gorbaciov e reagan e su cui tutta l’unione europea ha nicchiato ben sveglia; tuttavia, questa prospettiva felice, scritta nelle cose e peraltro obbligata è andata rapidamente in pezzi; a cancellarla non è stata una teoria allucinata di metafisica russa, nè il narcisismo patriottico di una netafisica cosacca investita da una missione fatale, ma una teoria allucinata di metafisica occidentale; questa, come in molte altre immani recenti sciagure (iraq, afghanistan, libia) ha infatti fabbricato in ucraina una specie di rivoluzione immaginaria, poi nota come euromaidan 2014, secondo uno schema già tragicamente collaudato in molti altri contesti come rivolta arancione e già troppo spesso tradotto in colpi di stato, guerre civili e catastrofi umanitarie;

a questo punto non possiamo fare a meno di tornare alla metafisica allucinatoria più profonda, quella del primato dell’occidente, e quindi del presunto diritto-dovere di “questo” occidente di imporre al mondo il proprio copione come prescrizione destinale, e di imporlo “con ogni mezzo”, anche e soprattutto con la menzogna elevata a suprema filosofia;

un elemento fondamentale della costruzione falsa con cui si è montata la pseudorivoluzione del 2014 nota come maidan sta nella enunciazione secondo cui (cito marcello sorgi, dichiarazione di ieri 15 marzo) il popolo ucraino ha sperimentato nel tempo recente, con la propria indipendenza, con la pratica della democrazia e col capitalismo anni di benessere a cui oggi non può più rinunciare; ebbene, i dati economici mostrano invece che rispetto a paesi in condizioni analoghe, come bielorussia e polonia, l’economia ucraina è tracollata, che l’impoverimento è straordinariamente ampio e che la tenuta del sistema fino a questi giorni di guerra è dovuta essenzialmente a massicci interventi europei; trattandosi di uno dei paesi potenzialmente più ricchi del mondo, come mai la sua popolazione è rimasta così povera, e in cambio di cosa? e perchè la sua leadership sedicente ‘democratica’, europeista e violentemente antirussa ha puntato le sue priorità sull’alleanza militare anzichè sull’economia civile, e perchè l’unione europea ha fatto da balia a questa follia? come sempre, chi scriverà questo capitolo di storia dovrà sorvolare sulle chiassate di questo presente, sui capricci dei personaggi e sulle sparate di propaganda, e andare alla radiografia della società reale e del suo mutamento: tendenze demografiche, composizione degli interessi economici, classi sociali: dinamiche sulle quali non vi è allucinazione che tenga;

MORALE PROVVISORIA: un dato particolare non può mai dimostrare una verità universale, ma può essere utile a confutarne la presunta verità; prendiamo in considerazione la questione “nato”, forse il dato particolare più importante nella genesi del conflitto; oggi zelenski afferma, scenicamente deluso ed offeso, di aver capito che l’ucraina non entrerà nella nato: e dunque, perchè non lo ha detto chiaramente un mese fa? un mese fa il premier tedesco scholz disse a putin che l’ipotesi di un ingresso dell’ucraina nella nato “non è in agenda”: e dunque, perchè non ha invece detto che tale ipotesi non sussiste per niente? ci voleva un mese di guerra per dire una cosa così semplice? può essere che la questione fosse per putin solo un pretesto oltre che una ragione, ma a conti fatti e alla luce di questo, quale coscienza fra questi ha ora in carico una pur piccola parte dei morti?

unioni sacre: stirpe cosacca, madre russa, elmo di scipio, america first… : ovvero?

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scrive Andrea Andrillo

 

Stasera porto i miei figli a mangiare una pizza. Non hanno nulla di diverso dai ragazzini che fuggono dalla guerra. Neppure niente che li differenzi troppo dai ragazzi che fuggono dalla povertà su un barcone

Sono meno biondi, oppure meno scuri sulla pelle, dipende da quale altro ragazzo o ragazza (in fuga da qualcosa), io possa usare come paragone

Ma sono ragazzi e prima erano bambini. Li ho cresciuti e ho cercato di proteggerli. Non sono migliore di un padre che difende i suoi figli nel buio e nel gelo dei boschi al confine dell’Europa. Sono solo stato più fortunato

Ho pensato “stasera porto i ragazzi a mangiare una pizza e gli chiedo scusa per ciò che noi adulti stiamo facendo al mondo”

Poi ho pensato no, meglio di no. Ridiamo, scherziamo. Teniamo la guerra lontano da loro. Teniamo noi adulti lontano da loro

Poi ho letto l’ennesimo post delirante, fra tanti post deliranti che mi sono imposto di non leggere. Diceva che “noi sardi” non abbiamo coraggio come gli ucraini, che dobbiamo appoggiare la loro guerra (non aiutarli a tornare in pace), e dobbiamo farlo a qualunque costo, fosse pure una guerra atomica

Ho pensato, “ma razza di coglione, se ti aggredisce stasera un gruppo di infami che punta una pistola in fronte a te e a tuo figlio, gli dai il portafoglio o gli fai vedere come sei coraggioso e fai in modo che gli sparino fra gli occhi?”

Fate sedere i vostri figli sul vostro cazzo di divano di merda e ditegli che avete deciso di giocare con il loro domani, non con il vostro, che tanto avete già vissuto e non avete capito un cazzo del perché.

E visto che ci siete, spiegate anche a uno dei bambini ucraini arrivati qui, bambini che non dormono per paura delle bombe, spiegategli che al posto di volere aiutare il loro Paese a far pace e liberarsi del loro aggressore senza far loro altro male, intendete foraggiare la guerra al punto di rischiare di portare qui quella stessa guerra dalla quale sono scappati.

Vorrei sentirvi mentre spiegate ai bambini che siete coraggiosi, mentre state sul vostro divano a parlare di come fottergli il domani.

Ah, e sia chiaro, “noi sardi” un cazzo.

Voi non mi rappresentate un cazzo. Non vi ho mai visto per strada a chiedere una Sardegna più libera e cosciente di sè.

Vi ho visto bisticciare con mezzo mondo senza mai combinare un cazzo che non fosse il vostro personale interesse.

Così, perché sia chiaro quanto avete rotto i coglioni e quanto sarebbe opportuno, di fronte a tutto questo orrore, che ai vostri figli voleste bene davvero.

E la smetteste di delirare e rompere i coglioni ai miei.

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La Camera chiede aumento delle spese militari al 2% del PIL: 104 milioni al giornoEnrico Piovesana

 

Questa mattina la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari) un Ordine del giorno collegato al cosiddetto “Decreto Ucraina” proposto dalla Lega Nord e sottoscritto da deputati di Pd, Fi, Iv, M5S e FdI che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Prodotto lnterno Lordo. Nella parte dispositiva del testo approvato si legge come tale risultato dovrebbe essere raggiunto “predisponendo un sentiero di aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione” mentre nell’immediato si debba agire per “incrementare alla prima occasione utile il Fondo per le esigenze di difesa nazionale”.

Ciò significherebbe, citando le cifre fornite dal Ministro della Difesa Guerini (mentre qui trovate la valutazione di spesa militare del nostro Osservatorio Milex), passare dai circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Nel corso della stessa seduta è stato anche approvato l’Ordine del giorno a firma Gagliardi che chiede un “incremento della spesa annuale complessiva del settore difesa in misura non inferiore al 3,5 per cento del totale del bilancio finale dello Stato”. Allo stato attuale delle cose, anche considerando il totale della spesa pubblica compresi gli interessi sul debito, ciò configurerebbe una spesa minima di circa 26,5 miliardi di euro quindi abbastanza prossima al livello attuale di spesa militare (e molto inferiore alla linea derivante dal rapporto del 2% con il PIL).

Ricordiamo che l’indicazione di spesa di almeno il 2% del PIL in ambito NATO deriva da un accordo informale del 2006 de Ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo da raggiungere entro il 2024), in cui si è anche indicata una quota del 20% di tale spesa da destinarsi ad investimenti in nuovi sistemi d’arma. Queste dichiarazioni di intenti al momento non stono mai state ratificate formalmente dal Parlamento italiano con un voto avente forza legislativa e quindi non costituiscono un obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato. Inoltre la quota indicata del 2% rispetto al PIL non ha mai avuto una giustificazione specifica e di natura militare (dettata da esigenze operative) ma è stata usata come spinta alla crescita della spesa. Va infine notato che collegare preventivamente un livello di spesa pubblica con un parametro che comprende anche la produzione di ricchezza privata, ed è soggetto a fluttuazioni indipendenti dalle decisioni fiscali, rende del tutto aleatoria e scollegata da reali esigenze la definizione tecnica e concreta di tale spesa.

Questo il testo integrale…

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Tanto per incoraggiare la pace – Tonio Dell’Olio

 

Si è approfittato del Decreto Ucraina per coronare il sogno che fu di tutti i ministri della difesa di questo nostro Belpaese: far crescere la spesa di armi per decreto e consenso. Nella giornata di ieri la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza un ordine del giorno che impegna il governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del Pil.

La furbata di approfittare dell’emozione del momento, era partita dalla Lega ma è stato sottoscritto da quasi tutti i capigruppo della Commissione Difesa. Nei prossimi dieci anni, si dovrà passare dagli attuali 25 miliardi di budget a circa 40. Tra la massa di coloro che hanno votato a favore (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari) ce ne sono moltissimi di quelli che gridano “Viva il Papa” ogni volta che ripete di ridurre la spese delle armi a favore di quelle sociali. E ci sono pure quelli che dicono che bisogna creare un clima di fiducia tra le nazioni con la cooperazione e il dialogo. Di cosa stiamo parlando esattamente? Stando alle cifre fornite dal ministro Guerini, si tratterebbe di passare da circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Avete letto bene: 104 milioni di euro al giorno. E adesso pensate a quante cose si potrebbero realizzare in questo nostro Belpaese con 104 milioni al giorno.

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REPORT DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DI DOMENICA 13 MARZO – SI Cobas nazionale

 

Per la costruzione di un opposizione internazionalista alla guerra in Ucraina e al militarismo, fuori e contro ogni schieramento imperialista.

 

Nella mattinata di domenica più di 150 tra lavoratori, militanti sindacali, politici e attivisti hanno risposto all’appello lanciato dal SI Cobas prendendo parte all’assemblea nazionale (su zoom) contro la guerra in Ucraina e più in generale contro il clima di escalation bellicista in atto su scala internazionale.
Dopo l’introduzione del SI Cobas, hanno animato il dibattito compagne e compagni di Pasado y presente del marxismo rivoluzionario, Centro di documentazione contro la guerra di Milano, Comitato immigrati in Italia di Roma, Carmilla on line, Comitato 23 settembre, Jacobin (redazione per l’Europa), Tendenza internazionalista rivoluzionaria, Laboratorio Politico Iskra, Collettivo di fabbrica GKN, delegati operai e dirigenti del SI Cobas, Movimento No Muos, Fronte della gioventù comunista, Sinistra anticapitalista, Partito Comunista dei Lavoratori, Comitato contro le guerre e il razzismo di Marghera, Movimento dei disoccupati 7 novembre, Sgb.
Dagli oltre 20 interventi è emersa una sostanziale omogeneità di intenti riguardo la necessità di dar vita a uno spazio comune di confronto, orientamento e iniziativa che abbia come sua discriminante l’opposizione a tutti i fronti in campo, con la ovvia priorità di denunciare l’apporto dato dal “nostro” capitalismo, dal “nostro” stato, dai “nostri” governi, e dalle alleanze di cui l’Italia è parte (NATO, UE), allo scoppio della guerra in corso.
L’assemblea ha espresso in modo chiaro la propria opposizione all’aggressione operata dalla Russia di Putin, con il suo portato di distruzioni, morte, impoverimento e migrazioni di massa, e l’ha inquadrata come la manifestazione della volontà, da parte di Mosca, di rilanciare il nazionalismo grande-russo per allargare la propria sfera di influenza, e si è pronunciata per il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina.
Nel contempo, ad onta degli ipocriti proclami “pacifisti” del governo Draghi e del suo codazzo scodinzolante (media e sindacati confederali in testa), si è preso atto che l’Italia è già entrata in guerra con l’invio di armi e truppe aggiuntive ad Est, le sanzioni, una campagna russofobica ossessiva fino al delirio.
Il governo e i media stanno utilizzando l’ondata emozionale di solidarietà con la popolazione ucraina sotto attacco per armare ulteriormente il governo reazionario di Kiev, e spingere gli ucraini ad essere la nostra carne da macello per affermare contro la Russia non certo la propria libertà, ma gli interessi del capitalismo italiano e del blocco imperialista a guida USA-Nato, di cui l’Italia è parte integrante – non per nulla da molti anni dominano le vicende dell’Ucraina le imposizioni del FMI.
Questa linea di condotta è in piena continuità col sostegno accordato incondizionatamente da Italia, UE e Nato, sempre in chiave anti-russa, alle formazioni ultranazionaliste ucraine che da oltre 10 anni attuano una sistematica persecuzione delle popolazioni e dei proletari filorussi del Donbass.
Di fronte alla ripresa di spinte scioviniste in ogni paese e al rischio reale di una precipitazione della guerra su scala mondiale, le realtà di classe e anticapitaliste non hanno governi “amici” a cui legarsi, né tantomeno “mali minori” per cui tifare, bensì la necessità di mettere all’ordine del giorno il lavoro di denuncia e l’opposizione a tutti i fronti in campo, rilanciando la parola d’ordine dell’internazionalismo proletario quale unica strada per fermare la guerra ed evitare contrapposizioni fratricide tra i lavoratori.
A tal fine, è essenziale collegare la campagna contro la guerra alla lotta contro le sue conseguenze immediate sulle condizioni materiali e di vita dei lavoratori e dei proletari, a partire dal carovita, dall’aumento di bollette e tariffe, al costante peggioramento dei livelli salariali, ai licenziamenti di massa e alla sempre più pesante stretta repressiva nei confronti delle lotte sociali e sindacali.
Per questo, l’assemblea ha a larga maggioranza condiviso la proposta di partecipare alla manifestazione nazionale lanciata dagli operai della Gkn per il prossimo 26 marzo a Firenze, con uno spezzone unitario caratterizzato dal no di classe e internazionalista alla guerra in Ucraina e a tutte le guerre imperialiste.
Allo stesso tempo, si è manifestata un’ampia convergenza sulla necessità di porre con forza all’ordine del giorno la convocazione, per i prossimi mesi, di uno sciopero generale su questi temi, la cui definizione concreta sarà naturalmente di competenza delle strutture del sindacalismo di base e combattivo, e di far sì che a ridosso del 1 maggio si possa dar vita ad una nuova occasione di confronto in presenza, capace di allargare il raggio d’azione a quelle realtà sindacali e a quei movimenti sociali e politici che in Europa e su scala internazionale condividono i medesimi obbiettivi.

– chiunque fosse interessato a ricevere la registrazione video dell’assemblea o a contribuire alla costruzione delle prossime iniziative può scriverci all’indirizzo: assemblea279@gmail.com

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scrive Maurizio Acerbo

 

Bisogna ritirare immediatamente aerei italiani dalla Romania. Dopo le parole del generale Goretti solo un governo e un parlamento di irresponsabili può continuare a far finta che sia normale che i nostri Eurofighter volino al confine con l’Ucraina correndo il rischio di essere coinvolti direttamente nel conflitto.

Il trattato NATO non ci impone di partecipare a operazioni in paesi vicino alla Russia. E’ una scelta che deriva dal servilismo verso la NATO e gli USA del nostro ceto politico che sta tradendo l’articolo 11 della Costituzione. Bisogna ritirare aerei, navi e soldati dall’Europa orientale subito. Il generale ha detto che rischiamo ‘la fine’. Solo degli irresponsabili possono far finta di non aver sentito.

Bisogna ritirare subito aerei, navi e soldati italiani dall’Europa orientale subito!

Rilanciamo la mobilitazione per la pace e la Costituzione.

Sabato 19 saremo davanti alla base di Camp Darby a Pisa da cui partono ogni giorno voli carichi di armi destinate all’Ucraina.

 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

 

 

Il voto della Camera a favore dell’aumento delle spese militari dimostra che in parlamento c’è il partito unico della NATO e della guerra. Inutile perdere tempo con il bipolarismo che è solo una truffa. Sulle questioni essenziali sono sempre d’accordo.

Portare la spesa militare da 25 a 38 miliardi annui offende la nostra Costituzione e milioni di italiane/i che da anni subiscono le conseguenze dei tagli alla spesa sociale e sanitaria.

Invece di bloccare l’aumento delle bollette e dei prezzi dei carburanti il governo e i partiti pensano solo a legittimarsi come fedeli sudditi di Washington.

 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

 

 

 

Yurii Sheliazhenko: “Vi spiego perché i guerrafondai russi e ucraini si ritraggono a vicenda come nazisti e fascisti”

 

Stanotte Yurii Sheliazhenko del Movimento pacifista ucraino ha inviato questa riflessione a tutte le sezione di EBCO-BEOC, tra cui il Movimento Nonviolento. Ve la proponiamo in traduzione italiana a supporto delle voci di chi – in Ucraina e in Russia – è contro la guerra.

La crescente animosità tra Russia e Ucraina rende difficile concordare un cessate il fuoco.
Il presidente della Russia Vladimir Putin insiste nell’intervento militare sostenendo di liberare l’Ucraina da un regime che, come i fascisti, uccide il proprio popolo.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyy mobilita l’intera popolazione per combattere l’aggressione e afferma che i russi si comportano come nazisti quando uccidono i civili.
I media mainstream ucraini e russi usano la propaganda militare per chiamare l’altra parte nazisti o fascisti, giudicando i loro abusi di destra e militaristi. Tutti i riferimenti di questo tipo stanno semplicemente a favore dell’idea che si sta combattendo una “guerra giusta”, facendo appello all’immagine demonizzata di un nemico del passato, radicata nella cultura politica arcaica.

Naturalmente sappiamo che una guerra giusta non può esistere in linea di principio, perché la prima vittima della guerra è la verità, e qualsiasi versione della giustizia senza verità è una presa in giro.
Pensare che uccisioni di massa e distruzione possano costruire giustizia va oltre la sanità mentale.
Al contrario, la conoscenza di azioni nonviolente efficaci e la visione di un futuro migliore per il pianeta, senza eserciti e confini, fanno parte della cultura della pace ma non sono stati diffusi a sufficienza, nemmeno nelle società più sviluppate. Tanto meno in Russia e Ucraina, Stati che hanno ancora la coscrizione e danno ai bambini un’educazione patriottica militare invece dell’educazione alla cittadinanza e alla pace.

La cultura della pace, sottoinvestita e non adeguatamente diffusa, lotta per affrontare la cultura arcaica della violenza, basata su vecchie idee sanguinarie che pretendono di essere giuste e la cui migliore politica si riassume nel divide et impera.

Questa cultura della violenza è probabilmente anche più antica dei fasci, l’antico simbolo romano del potere, un fascio di bastoni con un’ascia al centro, strumento per la fustigazione e la decapitazione e simbolo di forza nell’unità: puoi facilmente rompere un bastone ma non l’intero pacchetto. In senso estremo, i fasci sono una metafora delle persone violentemente raccolte e sacrificabili, private dell’individualità. Un modello di governance attraverso il bastone, non secondo la ragione e attraverso incentivi, come fa un governo nonviolento in una cultura di pace.

Questa metafora dei fasci è molto vicina al pensiero militare, all’etica degli assassini che respinge i comandamenti morali contro l’uccisione. Quando vai in guerra, dovresti essere ossessionato dall’illusione che tutti “noi” dovremmo combattere e tutti “loro” dovrebbero morire.

Ecco perché il regime di Putin elimina crudelmente ogni opposizione politica alla sua macchina da guerra, arrestando migliaia di manifestanti contro la guerra. Ecco perché la Russia e i paesi della NATO si sono vietati a vicenda i media. Ecco perché i nazionalisti ucraini si sono sforzati di vietare l’uso pubblico della lingua russa. Ecco perché la propaganda ucraina ti racconterà una fiaba su come l’intera popolazione è diventata un esercito nella guerra popolare e ignorerà silenziosamente i milioni di rifugiati, gli sfollati interni e i maschi di età compresa tra 18 e 60 anni che si nascondono dall’arruolamento obbligatorio dopo che è stato vietato di lasciare il paese. Ecco perché le persone amanti della pace, non le élite profittatrici della guerra, soffrono di più da tutte le parti a causa delle ostilità, delle sanzioni economiche e dell’isteria discriminatoria.

La politica militarista in Russia, Ucraina e nei paesi della NATO ha alcune somiglianze sia nell’ideologia che nelle pratiche con i regimi totalitari orribilmente violenti di Mussolini e Hitler. Naturalmente, tali somiglianze non sono una scusa da agitare da una parte o dall’altra per motivare qualsiasi guerra e nemmeno una banalizzazione dei crimini nazisti e fascisti. Queste somiglianze vanno oltre l’identità manifestamente neonazista di alcune unità militari che combattono sia dalla parte ucraina (Azov, Settore Destro) che dalla parte russa (Varyag, Unità nazionale russa).

Nel senso più ampio, la politica fascista sta cercando di trasformare l’intero popolo in una macchina da guerra, nelle false masse monolitiche – presumibilmente unite nell’impulso di combattere un nemico comune – che tutti i militaristi di tutti i paesi stanno cercando di costruire. Per comportarsi da fascisti basta avere un esercito e tutto ciò che è legato all’esercito: l’imposizione di un’identità omogenea, un nemico assoluto, la preparazione alla guerra intesa come inevitabile. Il tuo nemico non deve essere necessariamente ebreo, comunista o omosessuale; può essere chiunque, reale o immaginario. La tua belligeranza monolitica non deve necessariamente essere ispirata da un leader autoritario; può essere un messaggio d’odio e una chiamata alla lotta consegnati da innumerevoli voci autorevoli. E cose come indossare svastiche, sfilare con le fiaccole e altre rievocazioni storiche sono facoltative e scarsamente rilevanti.

Gli Stati Uniti sembrano uno stato fascista perché ci sono due rilievi scultorei di fasci nella Sala della Camera dei Rappresentanti? Assolutamente no, è solo un manufatto storico.
Gli Stati Uniti, la Russia e l’Ucraina somigliano un po’ agli Stati fascisti perché tutti e tre hanno forze militari e sono pronti a usarle per perseguire la sovranità assoluta, cioè per fare ciò che vogliono nel loro territorio o sfera di influenza, come se la Forza fosse Giusta.

Inoltre, tutti e tre dovrebbero essere stati nazione, il che significa unità monolitica delle persone della stessa cultura che vivono sotto un governo onnipotente all’interno di rigidi confini geografici e che per questo non hanno conflitti armati interni o esterni.

Lo stato nazione è probabilmente il modello di pace più stupido e irrealistico che si possa mai immaginare, ma è comunque convenzionale. Invece di un ripensamento critico dei concetti arcaici della sovranità della Westfalia e dello stato nazione wilsoniano, i cui difetti sono stati rivelati dall’arte statale nazista e fascista, prendiamo questi concetti come indiscutibili e attribuiamo tutta la colpa della seconda guerra mondiale a due dittatori morti e a un gruppo di loro seguaci. Non c’è da stupirsi che ancora e ancora troviamo fascisti nelle vicinanze e facciamo loro guerre, comportandoci come loro, secondo teorie politiche uguali alle loro, ma cercando di convincerci che siamo migliori di loro.

Per risolvere l’attuale conflitto militare a due binari, Ovest vs Est e Russia vs Ucraina, nonché per fermare qualsiasi guerra ed evitare guerre in futuro, dovremmo usare tecniche di politica nonviolenta, sviluppare una cultura di pace e educare alla pace le prossime generazioni. Dovremmo smettere di sparare e iniziare a parlare, dire la verità, capirci e agire per il bene comune senza danneggiare nessuno. Le giustificazioni della violenza nei confronti di qualsiasi popolo, anche di chi si comporta da nazista o da fascista, non servono. Sarebbe meglio resistere ai comportamenti sbagliati senza violenza e aiutare le persone fuorviate e militanti a comprendere i benefici della nonviolenza organizzata.

Quando la conoscenza e le pratiche efficaci della vita pacifica saranno diffuse e tutte le forme di violenza saranno limitate a un minimo realistico, le persone della Terra saranno immuni dal morbo della guerra.

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Bandiere Russa e Ucraina sul volto. Il coraggio di essere contro la guerra – Elena Popova

 

Riceviamo ancora notizie da Elena Popova, portavoce degli obiettori di coscienza russi. La sua coraggiosa resistenza nonviolenta è nelle azioni di ogni giorno, con la consapevolezza dei propri limiti e la forza di fare la differenza.

 

Dopo due settimane e mezzo dall’inizio della guerra, ho deciso di trascrivere le mie impressioni.
Oggi ho incontrato un’amica al Centro della Comunità Ebraica in Rubinstein Street. Mi ha detto che nella scuola dove lavora, una ragazza ha pubblicato sul suo Instagram una foto scattata con un amico di Kiev, in cui erano ritratti vicini, con le bandiere russa e ucraina dipinte sul viso.
La scuola è stata contattata. Il preside ha chiamato la ragazza e ha avuto una “conversazione educativa” con lei davanti alla telecamera, chiedendole di rimuovere la foto. La ragazza ha avuto il coraggio di rispondere “Non ho intenzione di farlo”. Quando ha lasciato l’ufficio con le lacrime agli occhi, uno dei suoi insegnanti si è avvicinato a lei per chiederle cosa stava succedendo. E il direttore è intervenuto dicendo: “La lasci sola”.
Adulti! Occupatevi di questa ragazza!
Sono tornato a casa e prima di andare in negozio ho incollato dei volantini alle porte di casa e nel negozio stesso (uso il nastro adesivo).
Capisco molto bene che queste parole non fermeranno i missili e i carri armati. Ma possono dare supporto a qualcuno e aiutare ad affrontare la paura.
Perché il prodotto più tossico della guerra è la paura.
Il testo del mio volantino è:
Cittadini! Vi prego! Abbiate il coraggio di non sostenere la guerra.

San Pietroburgo, 13 marzo 2022

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RIARMO E SPAZIO EUROPEO DI DIFESA – Franco Astengo
 

Ecco come preparano la pace

L
a prima risposta concreta all’invasione dell’Ucraina è stata quella della proposta di riarmo della Germania, intenzionata a portare le spese militari al 2% del PIL. Analogo intendimento è stato espresso dall’Italia le cui forze armate, in determinati settori, appaiono tecnologicamente piuttosto arretrate, specialmente se il quadro strategico complessivo dovesse davvero dirigersi verso una aggiornata riedizione della guerra fredda e della logica dei blocchi.
Allora si possono tentare alcune considerazioni affrettate e approssimative:
1). Sicuramente si verificherà uno spostamento di risorse arretrando da subito a favore dei processi di riarmo il procedere delle due grandi transizioni quella ecologica (verso la quale si profila un combinato: crisi energetica/esigenze militari) e quella digitale. Questo fatto inciderà, a livello europeo, sul Recovery Fund che l’Italia sta faticosamente tentando di tradurre nel PNRR. Situazione internazionale e spostamento di risorse interne incideranno sicuramente anche su altre filiere produttive prima fra tutte quella agroalimentare (ricordate il Pertini del “Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai”: la storia del rapporto burro/cannoni è sempre stata strettamente correlata);
2)
. Sullo slancio del riarmo della Germania si sta tentando da più parti di rilanciare l’ipotesi del cosiddetto “esercito europeo”. Attorno a questa idea sorgono questioni molto complesse, prima fra tutte quella riguardante il controllo politico di questo ipotetico nucleo di forza armata in una situazione nella quale l’UE continua a soffrire di un forte “deficit democratico”. Sorgerebbe anche un problema non facilmente risolvibile di equilibrio tra la costruzione di questa ipotetica “difesa europea” e il mantenimento degli eserciti nazionali (tenuto conto anche della presenza nell’Unione di diversi Paesi governati da “democrature”).
3). L’idea della necessità di accelerare la corsa al riarmo si tradurrà probabilmente in una crescita di profitti per i giganti del settore con relativa concentrazione di profitti e di intelligenza tecnologica.
In un suo rapporto lo “European network against arms trade (anticipato da “Domani”) fa notare come i giganti dell’industria bellica di Francia, Germania, Italia, Spagna trattengono il 70% dei fondi UE del settore e coordinano il 68% dei progetti.
Il fondo per la difesa europea 2021-2027 ha una dotazione di 8 miliardi (i primi programmi a partire dal 2009, trattato di Lisbona, non arrivavano al miliardo) “per ricerca e sviluppo di prodotti militari”. Il report di Enaat su “come l’UE sta alimentando una corsa agli armamenti” prende in esame i progetti pilota: 90 milioni dell’azione preparatoria per la ricerca sulla difesa (Padr) e il mezzo miliardo del programma per lo sviluppo industriale della difesa (Edidp). I principali beneficiari sono Leonardo (23,6 milioni) la spagnola Indra (22,8) e la francese Safran (22,3). Se si considerano anche le aziende sussidiarie, Leonardo, Thales (francese) e la multinazionale Airbus ricevono altre cifre molto importanti: Leonardo 29 milioni.
Il sistema è fatto per favorire pochi colossi privati raggrumando anche la proprietà intellettuale: lo spazio di difesa europea nasce quindi in una situazione di deficit democratico e di concentrazione di risorse economiche e di “know-how”. Ci troviamo in una situazione di pieno rispetto della tradizione storica dell’opacità che ha sempre riguardato il complesso del “militare” e delle logiche di guerra da sempre gestite da soggetti e in dimensioni ai margini della democrazia.

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LA STORIA NON INSEGNA NULLA – Angelo Gaccione


Ancora tuona il cannone,
e ancora non è contenta
di sangue la belva umana…
”.
F. Guccini Auschwitz

Credete che dopo questa guerra e le sue macerie (se resteremo vivi) ne trarranno insegnamento gli Stati, i Governi, i Partiti, i Generali, i Diplomatici, i Giornalisti, gli Intellettuali, gli Opinionisti, i Produttori di Armi, gli Speculatori, la cosiddetta Gente Comune che costituisce il Popolo, la Pubblica Opinione? Nemmeno per sogno. La storia non insegna nulla né ai Governanti né ai Governati che in fatto di sentimenti bellicisti, di volontà omicida e di distruzione, non sono migliori dei carnefici che li governano. Ne abbiamo la prova ogni giorno, e ogni giorno si invocano bombe, sanzioni, interventi armati; a contrapporre armi alle armi, morte alla morte, distruzione a distruzione. Ci siedono accanto costoro, ci sono amici o familiari, hanno con noi frequentazione e condividono altri aspetti del vivere civile, ma in fatto di guerra no. Alla guerra con la guerra. E che ci siano eserciti, basi e alleanze militari, ordigni di sterminio, produttori e spacciatori di armi, spese militari spaventose, non li disturba affatto. Sono perfettamente allineati con gli Stati, i Governi, i Partiti, la Legge che tutto questo permette. Si indignano giustamente davanti ad uno stupro, ma che sia stuprata e violata l’intera umanità (famiglie loro comprese), non li turba più di tanto. Si indignano se vengono a conoscenza di uno spreco nella Sanità pubblica, ma non battono ciglia se ricordiamo loro che di sprechi per la difesa (cioè la guerra) ce ne sono stati per quasi per 2 mila miliardi di dollari solo nel 2020.

La storia non insegna nulla e già si preparano a militarizzare lo spazio: la gara a chi se ne impossesserà prima è cominciata. “Lo spazio è il nuovo dominio militare della guerra” ha detto l’ex presidente americano Donald Trump senza giri di metafore, e il mondo ha fatto spallucce. Guerra e distruzione non insegnano nulla, e Stati e Governi davanti alla carneficina ucraina non mostrano alcuna saggezza. Non parlano affatto di disarmo, di eliminare gli ordigni di sterminio nucleare, di farla finita con le Alleanze militari, di spesa militare, di eserciti, di perseguire la convivenza pacifica fra le Nazioni, di trattare perché l’incubo della guerra venga messo fuori dalla storia proibendo ogni tipo di arma: proprio per nulla. Non si sente dire altro che bisogna aggiungere un nuovo strumento di sterminio, come se non bastassero quelli già presenti. Vogliono un esercito europeo, naturalmente super armato, dotato di armi di sterminio sempre più distruttive, che divori altra ricchezza, che divori altre vite, che si appresti ad altre carneficine, ad altre macerie. I più zelanti si sono già portati avanti e la Germania democratica è corsa ad acquistare i caccia bombardieri F35, ad aumentare le spese militari. Lo farà presto la democratica Italia e tutte le altre democratiche Nazioni d’Europa e del mondo. Gli ex Paesi del Patto di Varsavia non vedono l’ora di potersi intruppare nella Nato, creando altre tensioni ed esponendo i loro popoli ad altri massacri. Basano la loro idea di pace nell’accumulo di armi, non già nella distruzione di esse; nelle alleanze militari, non nel loro scioglimento.

Per ora i popoli, anche quelli che le devastazioni della guerra le hanno subìte, vanno dietro a questa logica folle. Il motto non è: popoli di tutto il mondo convivete pacificamente, ma: popoli di tutto il mondo scannatevi per i luridi interessi dei vostri governanti. E poiché la storia e la guerra non insegnano nulla, ci penseranno le armi di sterminio nucleare a “pacificare” quella che la canzone di Guccini definisce “belva umana”, cancellandone per sempre l’esistenza.

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La Resistenza tra pacifisti e interventisti – Lorenzo Guadagnucci

 

Pacifisti (in apparenza pochi) da una parte, interventisti (in apparenza molti) dall’altra e un clima mediatico e politico che ricorda sinistramente la primavera del 1915, il “maggio radioso” che spinse l’Italia, fin lì neutrale, a partecipare alla Grande Guerra, l’“inutile strage”, secondo la celebre definizione che ne diede papa Benedetto XV.

La divisione fra i due punti di vista si è manifestata soprattutto il 5 marzo scorso, con il corteo pacifista di Roma, il suo no all’invio di armi in Ucraina e il suo sì a una mediazione internazionale in sede Onu, ma poco compare nei flussi informativi quotidiani, dominati – nei maggiori quotidiani, nei principali network radio e televisivi – dall’opzione interventista, che pure, mentre invoca sostegno militare al governo ucraino e la necessità di “fermare Putin”, resta ambigua e silente sui passaggi cruciali indicati dallo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non si stanca di chiedere un intervento diretto della Nato, a cominciare dall’istituzione di una “no fly zone”.

Per quanto poco e male rappresentata, la divaricazione fra pacifisti e interventisti esiste e affonda le radici nella storia, non solo riecheggiando il “maggio radioso” di oltre un secolo fa, ma anche passaggi essenziali della nostra vicenda nazionale, come l’esperienza della Resistenza, evocata proprio dagli interventisti, con il governo e i combattenti ucraini novelli partigiani e i paesi fornitori di aiuti militari nei panni degli Alleati e dei loro lanci alle bande nascoste in montagna. Quest’ultimo è un accostamento – lo hanno rimarcato storici e osservatori autorevoli – che trascura una differenza non marginale fra la condizione attuale e lo scenario di 80 anni fa: nel ’43, quando cominciò la nostra Resistenza, Usa, Urss, Gran Bretagna e compagnia già combattevano da anni contro l’Asse, mentre oggi sia l’Unione europea sia la Nato dicono di non voler entrare in guerra contro la Russia (e forse la campagna interventista in corso mira in realtà a far cambiare loro idea, nonostante le conseguenze catastrofiche che ne deriverebbero, con una guerra estesa al resto d’Europa e l’uso di armi nucleari a quel punto più probabile che possibile).

Il paradosso è che proprio i principali eredi diretti della tradizione partigiana – ossia l’Anpi, la più grande organizzazione fondata dagli ex combattenti – hanno contestato il parallelismo 1943-2022 e considerano sbagliata la scelta di sostenere la resistenza armata in Ucraina con l’invio di armi. La questione resta fonte di discussioni infinite, discussioni che non raramente contengono in sé altri paradossi, se si pensa che non pochi dei convinti fautori della necessità di armare il governo e la popolazione ucraina sull’esempio della nostra Resistenza, sono gli stessi che della lotta partigiana hanno sempre parlato con sufficienza, minimizzandone sia l’importanza militare all’epoca, sia l’eredità politica e culturale a guerra finita, per non dire della poca popolarità di cui gode oggigiorno la nozione stessa di antifascismo. L’Anpi, come ha ben spiegato il presidente Gianfranco Pagliarulo, ha preso la sua posizione per precise ragioni politiche: compito dell’Italia e dell’Europa, ha detto e ripetuto, è favorire il cessate il fuoco, fermare sul nascere l’escalation del conflitto, promuovere una mediazione internazionale. L’Anpi, insomma, si richiama più agli esiti della Liberazione – il “ripudio” della guerra inserito nella Costituzione, la fondazione delle Nazioni Unite, il rigetto dei nazionalismi – che all’esperienza militare dei venti mesi passati alla macchia dai partigiani, il solo aspetto che invece sembra interessare gli odierni interventisti.

Ecco il punto. La Resistenza è stata un’esperienza umana e politica ben più larga, più profonda e anche più coinvolgente dei soli combattimenti, che pure furono il cuore della lotta partigiana, nata necessariamente – ricordiamolo ancora – nel corso di una guerra che volgeva ormai a favore degli eserciti Alleati, una guerra che ha provocato sul suolo europeo milioni di morti, da aggiungere ai milioni di ebrei, rom e avversari politici del nazismo inviati dalla Germania hitleriana alle camere a gas con la complicità dei suoi alleati.  Gli storici da tempo hanno messo a fuoco l’importanza delle varie forme di resistenza civile messe in campo nei venti mesi dell’occupazione tedesca dell’Italia: ci fu chi diede rifugio agli ebrei, chi a soldati alleati sbandati, chi disertò dagli ordini di arruolamento della Repubblica mussoliniana e chi nascose e protesse i disertori; ci furono i militari fatti prigionieri e inviati in Germania che rifiutarono, in grande maggioranza, di arruolarsi e tornare in Italia a combattere nei ranghi della repubblichina fascista; ci fu chi aiutò i partigiani, con cibo, ospitalità, informazioni, rendendo possibile l’esistenza delle bande; ci fu chi sabotò le forze di occupazione, chi non collaborò.

Ercole Ongaro, in un libro di qualche anno fa, Resistenza nonviolenta 1943-1945 (I libri di Emil, 2013), ha individuato dieci forme di Resistenza, sostenendo che la lotta armata fu “contingente”, legata cioè alle circostanze di guerra, e che la “memoria fertile” è l’altra, la resistenza civile, perché mette in primo piano il protagonismo dei cittadini, la loro capacità di lottare e  di opporsi all’oppressione e alla violenza senza introdurre sulla scena altra violenza. Fra le dieci forme di resistenza Ongaro ha incluso anche la nascita del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, chiamato a svolgere un ruolo politico, a coordinare le iniziative, a concepire e gestire strategie più ampie, più complesse, più proiettate nel futuro della “semplice” lotta armata.

Pensiamoci. Forse oggi in Ucraina c’è bisogno proprio di questo: di intelligenza politica, di pensiero, di iniziativa diplomatica, di una regia internazionale che impedisca ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi: un imbarbarimento bellico che renderà sempre più difficile un’intesa diplomatica fra le parti;  un’escalation militare senza ritorno. Si prospetta una carneficina che va invece evitata: salvare vite  umane dev’essere un obiettivo primario; sale di giorno in giorno il numero delle vittime militari e civili di guerra, ma dovremmo avere imparato dalla storia che il compito precipuo in situazioni di crisi dev’essere la “conta dei salvati”, per riprendere il titolo del libro di Anna Bravo (Laterza, 2013) dedicato ai tanti che nel ’900 hanno “tramato per la pace” restando ingiustamente ai margini dei manuali di storia, ancora pieni di leader politici e militari descritti come strateghi ed eroi in combattimento, a dispetto delle macerie e dei cumuli di morti rimasti sul terreno.

Dell’esperienza della Resistenza, allora, è oggi necessario studiare e aggiornare le forme di azione e opposizione non armata e riprendere l’ispirazione che portò alla nascita del Cln, cioè la priorità da attribuire alla politica, alla diplomazia, rilanciando le Nazioni Unite e aprendo la strada a una Conferenza internazionale sulla sicurezza in Europa. Lo scomposto interventismo di questi giorni, l’informazione ossessivamente emozionale tracimante da tutti i media stanno depoliticizzando la guerra in Ucraina e così proseguendo continueranno a parlare solo le armi. Non è per questo modo antico e barbaro di “gestire” i conflitti e rispondere alle aggressioni militari che combatterono i nostri partigiani e agirono i nostri resistenti non armati; forse siamo ancora in tempo a fare tesoro della loro complessa esperienza e del loro prezioso insegnamento.

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meglio morti che russi ? – Enrico Euli

 

Nei primi anni ’80 -quando ci trovavamo a Comiso a lottare contro l’installazione dei Cruise- circolava un libriccino della CND (Campaign for Nuclear Disarmament) che si intitolava ‘Protest to survive’.

I suoi promotori, tra cui personaggi famosi come E.P.Thompson e B. Russell, proponevano uno slogan che icasticamente sentenziava: ‘Meglio rossi che morti !’.

I loro avversari, favorevoli al rischio nucleare pur di salvarsi dal rischio comunista, si opponevano esclamando, altrettanto iperbolici: ‘Meglio morti che rossi!’.

Quel che mi colpisce ora, in questa guerra -a differenza di altre, passate ed in corso- tanto propagandata e sbandierata, è il riproporsi di un conflitto morale e politico di questa natura.

Zelensky e i tanti autoproclamati pacifisti che oggi esaltano la libertà e i diritti dei popoli anche a costo di fare la guerra, di armare e riarmarsi, ricordano quei guerrafondai di allora.

Gente che usa il liberalismo e l’idealismo a corrente alternata e solo quando gli fa comodo.

Abbiamo rivissuto nei due anni appena trascorsi lo stesso tipo di dilemma, ma i sedicenti pacifisti armati di oggi l’avevano risolto esattamente all’opposto: il virus pandemico faceva loro scegliere ed imporre a tutti noi il valore supremo della vita, della salute e della sopravvivenza a discapito della libertà e dei diritti personali e sociali.

Allora bisognava essere ‘realisti’, ora gli stessi ci richiamano all’idealismo per valori che dovrebbero indurci a giustificare e reclamare la guerra.

Allora, la responsabilità morale risiedeva nel proteggere e vaccinarsi per salvare vite umane; ora, invece, risiede nell’assumere il ruolo di combattenti che fanno (fare) la guerra in nome della pace.

Allora la libertà si poteva sacrificare per sopravvivere, ora si sacrificano vite e salute per gli ideali di patria, democrazia, giustizia.

Le cose non sembrano tornare per via logica; ma ritrovano un senso nel cogliere la matrice comune che sta al fondo di entrambe le scelte: lo Stato e le sue istanze di controllo, ordine, dominio su tutti noi.

Lo stesso Stato che ci ha imposto vaccini e pass su pass, obbligandoci ancora oggi a rinunciare a quei pochi brandelli di libertà che ci restavano, ora è lo stesso a volerci far credere che solo la guerra potrà salvare la libertà nostra e degli ucraini.

E, così come per il Covid, quasi tutti dietro a seguirlo.

E, così come per il Covid, quasi tutti a condannare chi non si allinea sul fronte contro il comune nemico e continua a chiedere equidistanza, ascolto, alternative, mediazioni.

 

Entro poco finirà la fase maniacale. Degli ucraini e dei loro ‘Vinceremo!’.

Degli occidentali e delle loro trombe pacifistiche che chiedono la guerra e accolgono milioni di profughi senza sapere che cosa sarà di loro (ma si può già immaginare, purtroppo).

Finirà. Ed inizierà, dolorosamente, quella depressiva: gli ucraini (combattenti o meno) capiranno sulla loro pelle che cosa significhi subire un massacro.

L’attore Zelensky e il pugile Klitsckho (sindaco di Kiev) la smetteranno di agitare la lingua e i pugni.

Hanno portato la loro nazione alla distruzione e alla morte, anziché difenderla dalla guerra.

Che cosa significa difendere un popolo se non evitargli la distruzione delle case, gli esodi di massa, le stragi di fragili esistenze abbandonate?

Ed invece, difendere significa ancora solo contrattaccare, respingere, violentare ed uccidere a propria volta.

E questi sarebbero quindi, alla fine, ‘i nostri valori’ ?

Perchè gli ucraini hanno preso questa strada senza prospettive e senza speranza?

Perchè spinti da altri, perché invasati di potere, perché votati ad un nazionalismo machista, mitomanico e megalomane.

Ma anche noi europei, quando assisteremo alla loro disfatta militare capiremo di aver solo coperto il nostro vuoto politico, le nostre collusioni e la nostra viltà.

Solo questo sta dietro il nostro tifo per la causa ucraina, di cui -sinceramente- non ci importerebbe un bel nulla (come è stato finora, d’altronde), se non fossimo alla canna del gas (russo) e presi per le palle, come al solito, dalla Nato.

La depressione salirà ancora nelle nostre società, cresceranno ulteriormente angoscia e panico.

La guerra economica che abbiamo intrapreso, infatti, non tarderà a trasformarsi presto in un’economia di guerra: austerità, inflazione ed immiserimento per la maggioranza, risorse destinate ad una spaventosa corsa agli armamenti (spacciata per Nuova Difesa Europea), oligarchie sempre più dispotiche e prepotenti, contrasto e confrontation continua tra superpotenze imperiali.

Perchè ormai lo sappiamo: al di là dei proclami e delle rassicurazioni, siamo nella merda.

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maledetta sia ogni patria – Alessandro Gilioli

 

maledetta sia ogni patria.

maledette siano le persone che di patria si riempiono la bocca, maledette quelle che davanti alle patrie si prostrano in ginocchio, maledette quelle che armano le patrie, maledette quelle che per le patrie vogliono morire o lasciano morire – e per le patrie uccidono.

maledetto sia chi non capisce ancora che ogni patria è una truffa

maledetto sia l’uomo e maledetta sia la donna che crede in questa entità fasulla e assassina

maledetto sia chiunque consideri una patria migliore delle altre perché è la sua, o perché ha deciso che è meglio di un’altra

maledetti siano i confini, tutti, maledette queste linee bugiarde che dividono la stessa erba che cresce uguale dalle due parti della rete

maledetto sia chi benedice le guerre per le patrie, maledetto sia chi le assolve

maledetti di più siano i potenti e i ricchi che in nome della patria mandano altri a morire e soffrire, maledetto sia chi fabbrica le armi, maledetti siano i maschi che ne ricavano piacere sessuale, maledette le femmine che imitano i maschi, maledetto sia chi in fondo al cuore davvero non vuole pace

maledetta sia ogni patria.

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Quanto è grande e dove arriva il cuore dell’Europa? – Alessandro Portelli

 

(da il manifesto 16.03.2022)

 

…Fin da bambino mi hanno insegnato orgogliosamente che- a proposito di Crimea – Camillo Benso di Cavour diceva che gli servivano solo un migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace (poi l’ha ripetuto Mussolini; ma l’origine è nel Risorgimento).

Più recentemente, nel 1996, un giornalista chiedeva al Segretario di Stato Usa Madeline Albright: “Ci dicono che in Iraq sono morti mezzo milione di bambini. Cioè, più che Hiroshima. È un prezzo che valeva la pena?” E lei: “È un scelta molto difficile, ma sì – pensiamo che ne valga la pena“. E, a differenza di Canfora che può solo esprimere un’opinione discutibile, Madeline Albright il potere di fare uccidere quei bambini e bambine ce l’aveva, e lo usava.

Dunque, quale “concezione dello stato” alimenta questa visione? Né Cavour né Albright appartenevano alla sinistra autoritaria, erano più o meno liberal democratici. Allora – e qui mi rifaccio anche ad alcune delle cose che Manconi diceva alla Casa della memoria poco tempo fa, parlando di “violenza come ordinaria, come fattore normale di un esercizio normale del potere”. in un’istituzione dello stato democratico – nella frase “sinistra autoritaria” il termine su cui ragionare è il secondo: il problema non è tanto la sinistra quanto l’autorità, il potere. Se uno apprezza il potere autoritario e crede di essere di sinistra, credo che abbia sbagliato collocazione – e che piuttosto abbia interiorizzato la visione e la pratica del potere delle classi dominanti. Una sinistra cinica e autoritaria (ed è bene che lo diciamo con chiarezza) è una sinistra subalterna che nega la sua stessa natura; per il potere in tutte le sue forme, compreso quello liberale e democratico, invece, il cinismo è intrinseco a tutta la sua storia.

Perciò spero che mi si perdonerà se adesso dico una parola che non ho trovato in nessun reportage o editoriale dei migliori giornali italiani: “Yemen”. Non lo dico per “parlare d’altro”: parlo di adesso e di qui, perché bambine e bambini (e persone adulte) laggiù stanno morendo in questo momento, e a ucciderli sono anche armi da noi prodotte e fornite. In quale “zona oscura” sono finiti? Eppure ci riguardano direttamente.

Capiamoci: la questione non è “questa sì, quella no” secondo la logica binaria che domina il discorso in atto; la questione è se la nostra umanità è abbastanza vasta da poter avere empatia con tutte e due. Siamo capaci? Perché se no, l’indifferenza per lo Yemen segna un cerchio di fuoco attorno al valore di parecchi (non tutti!) dei proclami di solidarietà per l’Ucraina (e viceversa). Forse il problema è che lo Yemen non sta “nel cuore dell’Europa”, né geograficamente né sentimentalmente. E allora la domanda è: quanto è grande, e fin dove arriva il nostro cuore?

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Alla ricerca di una via d’uscita dalla guerra – Francesco Pallante

 

Sul piano teorico, la guerra in Ucraina può avere quattro vie d’uscita.

La prima è la vittoria dell’aggredito sull’aggressore: dunque, dell’Ucraina sulla Russia. Sarebbe bello potesse accadere. In questa guerra, ma non solo: sarebbe bello se tutte le guerre di aggressione si concludessero sempre con la vittoria dell’aggredito sull’aggressore. Nessuno vorrebbe più indossare i panni dell’aggressore. Nessuno muoverebbe più guerra ad altri. Purtroppo, accade di rado: di solito l’aggressore si prepara adeguatamente e aggredisce quando ha ragionevole certezza di vincere. Non è accaduto in Vietnam. Non è accaduto in Afghanistan (né ai russi, né agli americani). Ma è quel che tutti gli esperti militari dicono accadrà in Ucraina. Si può far pagare a Putin un prezzo molto alto, ma è impossibile che, alla fine, la Russia perda la guerra contro l’Ucraina.

Più realistiche sono le altre vie d’uscita. Le tratto in ordine inverso di auspicabilità.

La più terribile, e definitiva, è l’olocausto nucleare che potrebbe scaturire dall’allargamento del conflitto alla Nato o all’Unione europea. Di fatto, le due ipotesi sono equivalenti, dal momento che – in base all’art. 42, comma 7, del Trattato sull’Unione europea – «qualora uno Stato membro [dell’Ue] subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite»: «un obbligo pattizio – ha scritto Michele Vellano, professore di Diritto dell’Ue – che lega gli Stati membri dell’Unione europea in modo persino più stringente rispetto a quello contenuto nell’art. 5 del Trattato Nato», il quale dispone che ciascuna Parte contraente assisterà la Parte o le Parti attaccate «intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata». Insomma: basta che un Paese Nato o Ue si ritrovi, anche accidentalmente, coinvolto nel conflitto, perché a cascata lo siano immediatamente tutti gli altri, sino agli Stati Uniti. A quel punto, il ricorso all’atomica da parte di uno dei due schieramenti diverrebbe una prospettiva concreta e da lì all’estinzione dell’umanità sarebbe un passo. Che alcuni Paesi, tra cui la stessa Ucraina, spingano perché la situazione arrivi sulla soglia di questo rischio è semplicemente sconvolgente.

Meno terribile, ma altrettanto inaccettabile, sarebbe la sconfitta dell’Ucraina da parte della Russia. Significherebbe darla vinta all’aggressore. Accettare che il, pur altamente imperfetto, tentativo di regolare l’uso internazionale della forza da parte dell’Onu subisca un altro colpo: forse mortale, dopo tutti quelli sferrati dall’Occidente negli ultimi trent’anni. Ciò che risulterebbe sancito in via definitiva è che, grazie al diritto di veto, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu non solo sono al riparo dalla giustizia internazionale, ma, più radicalmente, sono al di sopra delle regole del diritto internazionale. È chiaro che dietro la regola giuridica del veto c’è la tremenda concretezza dell’arsenale nucleare. Ma altro è usare l’arma nucleare come deterrente che impedisce di subire attacchi, altro è usare l’arma nucleare come patente che consente di sferrare attacchi. Il passaggio dall’una all’altra prospettiva, già avviato dagli Usa e dalla Gran Bretagna con la guerra all’Iraq nel 2004, comporterebbe uno spaventoso salto verso l’ulteriore sdoganamento della violenza a vantaggio dei più forti.

Rimane l’ultima via d’uscita: che la Russia e l’Ucraina si siedano a uno stesso tavolo e negozino un accordo di pace. Non una mera tregua, ma un vero accordo di pace, suscettibile di offrire una soluzione duratura alle ragioni della loro contrapposizione. Questo significa che la Russia non solo non verrà punita per aver scatenato le ostilità, ma addirittura ne trarrà vantaggio? Sì, purtroppo significa questo. In una negoziazione, se reale, qualcosa si ottiene, qualcosa si cede. Ma è ingiusto, si dirà: così l’aggressore ne uscirà premiato. Sì, è ingiusto. Ma, qual è l’alternativa? Come visto, posto che l’Ucraina non può vincere, le alternative al negoziato sono la completa distruzione dell’Ucraina da parte della Russia e la completa distruzione del pianeta da parte delle potenze nucleari. Difficile sostenere che siano alternative migliori di un accordo di pace…

Se tutto questo è vero, allora ne deriva che aver inviato e continuare a inviare armi all’Ucraina è stato ed è un terribile errore: un errore le cui conseguenze paghiamo tutti, sotto forma di aumento del rischio dell’olocausto nucleare; e pagano in particolare gli ucraini, sotto forma di prolungamento delle sofferenze causate dal conflitto. Si badi: non è che non bisogna inviare armi agli ucraini per permettere ai russi di vincere più in fretta. Questa è la risibile caricatura della posizione pacifista tracciata dai fautori della guerra. Il punto è che non bisogna inviare armi agli ucraini affinché la pace possa farsi strada nel più breve tempo possibile. Ogni giorno in più di guerra rende la pace più difficile. Cinico e vile non è chi preme per l’entrata in campo della diplomazia, bensì chi alimenta la guerra fornendo armi che altri saranno poi chiamati a impugnare senza alcuna chance di successo.

Dunque, che fare? Cessare immediatamente di soffiare sul fuoco, pur mantenendo immutato il giudizio morale di inappellabile condanna nei confronti della Russia, e avviare un’iniziativa diplomatica straordinaria. Chiunque lo facesse sarebbe nel giusto; e, nel caso dell’Italia, anche nell’alveo della Costituzione, che impone di non risolvere le controversie internazionali tramite la guerra. L’immobilismo diplomatico del Governo italiano lascia senza parole. È chiaro, in ogni caso, che solo una forte e autorevole iniziativa può avere qualche possibilità di successo. Quella a cui stiamo assistendo è una guerra europea ed è, dunque, all’Europa che anzitutto spetta farsene carico. Anziché cogliere l’occasione per rilanciare la corsa agli armamenti – siamo al riarmo della Germania, come tra le due guerre mondiali! –, occorre reagire rilanciando la vocazione di pace che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni avevano immaginato per l’Europa. Chissà, forse dall’immane tragedia in atto potremmo avere la sorpresa di veder finalmente scaturire l’embrione di un’Europa non limitata a moneta e mercato, ma impegnata a costruire un mondo multipolare di pace.

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La guerra di Putin e le colpe dell’Occidente – Domenico Gallo

 

Secondo Karl Schmidt, «una dichiarazione di guerra non è altro che l’identificazione di un nemico». Dopo la scomparsa del nemico storico, costituito dall’Unione sovietica, c’è voluto un po’ di tempo per gli Stati Uniti e l’Occidente per identificare nella Russia il nuovo nemico, in sostituzione di quello che si era dissolto. È un processo che è durato una ventina di anni e alla fine Biden ha chiuso il cerchio identificando definitivamente la Russia come il nemico. Questo processo è iniziato il 12 marzo 1999 con l’ingresso, o meglio con l’estensione, della NATO in Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria in aperta violazione degli accordi presi con l’ex Unione Sovietica da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, come risulta dal documento datato 6 marzo 1991 recentemente pubblicato da Der Spiegel. È proseguito il 29 marzo 2004 con l’estensione della NATO a Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia. Quindi la NATO si è estesa nei Balcani con l’adesione di Albania e Croazia (4 aprile 2009), del Montenegro (5 giugno 2017) e della Macedonia del Nord (27 marzo 2020). Adesso la tempesta è scoppiata intorno alla possibilità di estensione della NATO e dei suoi dispositivi militari nel territorio dell’Ucraina, paese tormentato da accadimenti violenti conseguenti alla c.d. rivoluzione di Maidan del 2014, che hanno portato al distacco della Crimea, annessa alla Russia per volontà dei suoi abitanti, e allo scoppio di una sanguinosa guerra civile dalla quale sono nate le due Repubbliche separatiste del Donbass.

L’invito a entrare nella NATO e il rifornimento di armi e sostegno economico sono stati un buon viatico per riattizzare il conflitto del Donbass, mai sopito, e per spingere l’Ucraina a non accettare la soluzione di pace prospettata dagli accordi di Minsk II del 2015. Accerchiare la Russia con le basi e i dispositivi militari USA e soffiare sul fuoco della guerra civile del Donbass si è rivelato un buon metodo per stimolare una reazione, anche militare, della Russia, guidata da un leader che ha fatto la sua fortuna soffiando sul fuoco del nazionalismo. È stato proprio il nazionalismo, esasperato dalle minacce militari e dalle continue violazioni della tregua nel Donbass, che ha spinto Putin, il 21 febbraio, a calare la carta del riconoscimento delle Repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, strumentale all’invio in questi territori di una forza di protezione. In questo modo Putin, stracciando gli accordi di Minsk (già rinnegati dall’Ucraina), ha messo la comunità internazionale di fronte al “fatto compiuto” della disgregazione di una parte dell’UcrainaNon v’è dubbio che si tratta di una grave violazione del diritto internazionale, il quale esclude che le frontiere possano essere modificate con la forza.

Tuttavia, la mossa di Putin inserisce l’intervento militare della Russia nei confini ristretti delle due repubbliche e lo limita alla difesa di questi territori da una controffensiva dell’esercito ucraino, smentendo gli annunci catastrofici di USA e NATO. Siamo in presenza di un atto grave, che tuttavia lascia intravedere una soluzione meno catastrofica di quella data per certa da Biden e dalla sua intelligenceL’azione della Russia si potrebbe fermare qui se non ci sarà una reazione militare dell’Ucraina sul fronte del Donbass. Per quanto si possa condannare l’azione di forza della Russia, adesso si è creato un “fatto compiuto” di fronte al quale non vi è alcuna soluzione di tipo militare. Come la Siria non può pretendere di portare le armi contro Israele per recuperare le alture del Golan, così l’Ucraina non può pretendere di recuperare manu militari i territori perduti del Donbass.

Quest’ulteriore azione della Russia ha messo sul tappeto i nodi politici reali che alimentano il conflitto e che solo la politica può sciogliere attraverso un negoziato in buona fede fra tutte le parti coinvolte. Per avviare il dialogo, bisogna liberarsi di alcuni idoli mentali che hanno avvelenato le relazioni fra le parti alimentando lo scontro. Innanzitutto va rigettato il mantra che la scelta della porta aperta della Nato nei confronti di Ucraina e Georgia rappresenti “un principio irrinunciabile”, perché ogni Stato sovrano ha diritto di scegliersi le alleanze che vuole. La pretesa della Russia di escludere la Nato dall’Ucraina sarebbe irricevibile perché espressione della volontà di stabilire una sua zona d’influenza in Europa. In realtà più che alla Russia andrebbe attribuita alla Nato la pretesa di stabilire una sua zona d’influenza in Europa, avendo inglobato nel suo dispositivo politico e militare tutti i paesi dell’Europa dell’est.

Ma il problema è un altro, dove sta questo principio irrinunciabile di cui farneticano Blinken e tutti gli alleati della Nato in coro? Ogni paese è sovrano quando è libero di fare le scelte di politica estera e militare che ritiene più opportune. Però da quando è stata stabilita la Carta delle Nazioni Unite, alla sovranità degli Stati sono stati tolti gli artigli nell’interesse superiore della convivenza pacifica fra le Nazioni. Non solo è stata espunta dalla sovranità la facoltà di muovere guerra ad altre Nazioni, ma gli Stati membri devono astenersi anche dalla minaccia dell’uso della forza (art. 2, comma 4). È alla luce di questo principio, veramente irrinunciabile, che bisogna valutare la “libertà” dell’Ucraina di aderire alla Nato in quanto Stato sovrano. Nessuno Stato è libero di minacciare i propri vicini. L’estensione del dispositivo militare della Nato ai confini della Russia, a qualche centinaio di kilometri da Mosca, è la realizzazione di una minaccia in senso obiettivo. Come ha osservato Raniero La Valle: «è in gioco il diritto del popolo russo a non avere sulla porta di casa missili nemici capaci di raggiungere Mosca in trenta secondi».

Se si vuole arrestare questo processo prima che il conflitto degeneri in una guerra generalizzata, bisogna respingere la prospettiva che l’Ucraina possa diventare la lancia della NATO nel costato della Russia, bisogna ragionare in termini di sicurezza collettiva e affrontare i conflitti sul territorio avendo come obiettivo finale la convivenza pacifica, mettendo al centro i diritti dei popoli più che le prerogative della sovranità.

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Fermare la guerra. 12 proposte – Giovanni Scotto

 

Questo documento è un contributo a una piattaforma di azione per cittadini, forze politiche e società civile, e un insieme di richieste a istituzioni nazionali e internazionali.

 

Premessa

Bisogna fermare la guerra, e trasformare il sistema che l’ha creata. Occorre oggi dare la possibilità concreta di convivenza pacifica e lo sviluppo di tutti i popoli in tutti questi paesi, senza affidarsi soltanto alla logica della “pace negativa”, delle alleanze militari e delle corse agli armamenti. Chi si ispira ai valori della pace e della nonviolenza deve lavorare a una pace positiva in Europa: diritti per tutti, giustizia per tutti, sviluppo per tutti, libertà per tutti, memoria di tutti.

Noi proponiamo i seguenti punti di azione e chiediamo l’attivazione immediata di cittadini, società civile, Enti locali, istituzioni statali ed europee:

  1. Inviare immediatamente aiuti umanitari: dentro e fuori l’Ucraina, anche per quanto possibile nelle aree occupate dalla Russia, in particolare tra cittadini e gruppi della società civile, costruendo reti con comunità locali. Accoglienza di tutti i civili in fuga dal paese, indipendentemente dalla nazionalità. Garantire trasporti celeri e gratuiti dall’Ucraina e paesi limitrofi per il ricongiungimento con familiari presenti in Italia.
  2. Dare sostegno alle comunità di cittadini ucraini residenti in Italia e nell’Unione Europea: aiuti economici, facilitazione dei ricongiungimenti familiari, sanatoria per i permessi di soggiorno, facilitazione di visti per motivi umanitari.
  3. Offrire protezione umanitaria e asilo politico a obiettori di coscienza e disertori della Russia e a tutti coloro che intendono defezionare dal sistema di guerra, anche nelle ambasciate e consolati su territorio russo. Questo punto è stato proposto dalla War Resisters’ International.
  4. Monitorare le informazioni che arrivano dai paesi in guerra, verificarne le fonti, non cadere nelle trappole della propaganda di guerra. Opporsi alla diffusione dei discorsi di odio contro il popolo e la cultura russa, sui media e nella nostra società. Riportare sui media non solo gli scontri armati ma anche i tentativi di pace e le forme di lotta nonviolente contro gli occupanti.
  5. Promuovere e diffondere conoscenze e strumenti di resistenza civile e difesa popolare nonviolenta, che hanno giocato un ruolo decisivo nell’opporsi alle invasioni, nell’abbattere dittature militari e regimi autoritari nel mondo negli ultimi decenni. Sostenere e dare visibilità alle proteste nonviolente nelle zone sotto occupazione militare da parte della Russia.
  6. Organizzare al più presto una presenza di pace della società civile internazionale in Ucraina, inclusi per quanto possibile i territori occupati dalle truppe russe, le repubbliche separatiste e la Crimea. Organizzare una presenza di pace europea anche nelle maggiori città russe.
  7. Dare visibilità, spazio mediatico e sostegno politico a persone, gruppi e movimenti attivi per la pace in Russia.
  8. Promuovere fin da subito un esteso programma di scambi accademici sul modello del programma europeo Erasmus, che coinvolga migliaia di studenti e docenti russi, ucraini e dello spazio post-sovietico. Questo punto è stato proposto dal Rettore dell’Università Federico II di Napoli.
  9. Promuovere e tutelare in tutte le forme possibili il rispetto del diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Rafforzare nell’ordinamento giuridico italiano il principio di giurisdizione universale per le violazioni più gravi dei diritti umani, anche con una Direzione nazionale e strutture investigative ad hoc su modello dell’antimafia. Sostenere la Corte penale internazionale nell’azione di indagine e di sottoposizione a procedimento penale dei presunti responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a partire dall’inizio del conflitto e, ove possibile, per gli stessi crimini commessi prima del suo inizio”.
  10. Promuovere la creazione di un gruppo internazionale di alto profilo di mediatrici e mediatori, sotto la supervisione del Segretario generale ONU, comprendente anche rappresentanti del Consiglio d’Europa e dell’OSCE, leader religiosi, personalità della politica internazionale che si sono distinte nei processi di pace, figure autorevoli in ambito sociale, culturale e accademico. In particolare andranno scelte quelle personalità che negli ultimi decenni hanno acquisito fiducia e credibilità per il loro lavoro di pace nello spazio post-sovietico. Lavorare per un immediato cessate il fuoco senza condizioni nei prossimi giorni e settimane, e per una conferenza internazionale per la sicurezza e la pace in Europa in cui affrontare i problemi profondi dello spazio europeo in una prospettiva di sicurezza comune. La NATO è parte del problema, e dovrà partecipare alla conferenza assumendosi le proprie responsabilità e cambiando il corso di azione avuto finora.
  11. Lavorare al più presto per la denuclearizzazione completa dell’Europa, con l’adesione del maggior numero possibile di stati alla Convenzione per la messa al bando delle armi nucleari. Proporre nella futura architettura di pace europea una porzione di territorio NATO denuclearizzata: Italia, Germania, altri paesi che vorranno firmare la Convenzione per la messa al bando delle armi nucleari.
  12. Accelerare fortemente i tempi della transizione energetica, aumentando entro il prossimo inverno in modo sostanziale la percentuale di energia rinnovabile nel mix energetico nazionale, e tendenzialmente azzerando le importazioni di gas e petrolio dalla Russia, e successivamente dagli altri paesi fornitori. Destinare una parte consistente delle risorse previste per le spese militari alla transizione ecologica, che oggi più che mai si dimostra una fondamentale questione di sicurezza.

 

Analisi: torna la guerra tra Stati in Europa

La guerra scoppiata il 24 febbraio 2022 con l’ingresso delle forze armate russe in Ucraina è un evento spartiacque, simile per portata alla divisione dell’Europa in blocchi nel 1945-49 e al crollo del sistema sovietico nel 1989-91. L’invasione di un paese vicino in Europa viola principi fondamentali della comunità internazionale e certifica la crisi profonda del multilateralismo nel sistema internazionale. La Federazione Russa è responsabile di questa gravissima violazione, così come della precedente annessione della Crimea.Allo stesso tempo, l’escalation del governo di Putin si innesta su una serie di nodi irrisolti negli ultimi anni, di cui la Russia non è la sola corresponsabile: l’espansione verso est della NATO, i conflitti interni agli stati emersi dalla dissoluzione dell’URSS, tra cui la situazione nel Donbass; lo status delle minoranze russe e i rapporti con la Russia; più in generale, l’assenza di un’architettura di sicurezza in grado di dare garanzie a tutti gli Stati della regione euro-asiatica, Russia compresa. Inoltre, la guerra del Kosovo della NATO contro la Serbia senza mandato ONU e l’invasione USA dell’Irak sulla base di informazioni false fornite alla stessa ONU avevano già messo in crisi il sistema internazionale del dopoguerra. In questi giorni, tuttavia, la priorità è proteggere i cittadini dell’Ucraina sotto attacco e fermare l’invasione della Russia. Allo stesso tempo occorre fare di tutto per fermare una possibile escalation: la parola deve passare al negoziato, alla politica e ai cittadini, e non essere lasciata ai militari. Siamo consapevoli, dai giorni dell’assedio di Sarajevo e del genocidio di Srebrenica, che l’attacco ai civili pone la grave questione dell’intervento armato in loro difesa. Non è possibile fingere che nulla stia accadendo quando c’è un’aggressione in corso – anche se nel mondo ce ne sono tante che i nostri governanti preferiscono igonrare. Sappiamo anche, dall’Afghanistan all’Iraq alla Libia alla Siria, che ragioni umanitarie possono diventare il pretesto per l’uso della violenza militare per ben altri fini. Gli interventi militari, anziché proteggere, molto spesso si macchiano di crimini e moltiplicano le sofferenze umane. Quasi mai le armi riescono a risolvere, in genere aggravandoli, i problemi politici da affrontare. Crediamo che sia importante non farsi paralizzare dal dilemma “armi sì, armi no” all’Ucraina. Lontani dai luoghi della guerra, ci sembra più opportuno rispondere alla domanda su cosa è possibile fare senza armi per fermare l’escalation e difendere per quanto possibile i civili: quali mezzi pacifici usare per costruire la pace. È indispensabile coltivare un modo diverso di vedere la realtà e affrontare i problemi, e non lasciare il campo alla logica delle armi.

da qui

 

 

 

Ultimatum a Putin e Zelensky: stop alla guerra – Europe for Peace

 

I pacifisti nonviolenti europei danno un ultimatum alle parti in conflitto:
– fermate immediatamente la guerra, dichiarate un cessate il fuoco, consentite il soccorso alle organizzazioni umanitarie
– iniziate negoziati a oltranza per la risoluzione delle controversie tra Russia e Ucraina

Se entro il 25 di Marzo non rispetterete questo ultimatum senza condizioni, organizzeremo carovane di pacifisti nonviolenti che da tutta Europa, con tutti i mezzi possibili, si dirigeranno verso le zone di conflitto, disarmati, per interporsi come forze di pace tra i combattenti. Tali carovane saranno identificate con una bandiera bianca e con la bandiera della pace.
Chiediamo inoltre che l’ONU ci accompagni con le sue forze di interposizione di pace così come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio del conflitto. Chiediamo che tutti i governi, in particolare quelli che aderiscono alla NATO, cessino immediatamente di alimentare il conflitto con l’invio di armi alle parti.

Campagna Europe for Peace

Info e adesioni: info@europeforpeace.eu

da qui

 

 

 

…Una notizia non confermata è diventata, nel giro di poche ore l’ennesima, goffa, montatura del battaglione Azov, ovviamente rilanciata da ansa e soci a cui ormai non dico “hanno abboccato”, perché non aspettano altro per riempire i loro spazi.

Tutto inizia il 12 marzo (quattro giorni fa).
Sui canali telegram rimbalza questo post.
https://t.me/DmitriySteshin/4246
Dove si dice di stare attenti a due PROVOKACII che starebbero preparando gli squadristi di Azov:
1. attentato contro la locale moschea
2. Dramteatr da far saltare in aria, riempendolo di civili e dare poi la colpa ai russi.

Mentre speriamo che non abbiano più ormai, visto come si stanno mettendo le cose, di attuare anche il primo piano, vediamo il secondo.

Questa è la foto di quello che resta:
https://t.me/opersvodki/1807

E questa è la comunicazione del Ministero della difesa russo, che coincide con quanto affermato quattro giorni fa:

In precedenza abbiamo saputo dai profughi scappati da Mariupol’, che nell’edificio del teatro i nazisti del battaglione Azov avrebbero potuto tenere civili in ostaggio, utilizzando i piani superiori come bocche di fuoco da cui poter colpire. Tenendo conto del pericolo di vita dei civili, e delle provocazioni già realizzate il 9 marzo nell’ospedale n° 3 di Mariupol’, l’edificio del teatro, in centro città, non è mai stato considerato come obbiettivo da colpire.

Ранее от беженцев, выбравшихся из Мариуполя, было известно, что в здании театра нацисты батальона «Азов» могли удерживать мирных жителей в заложниках, используя верхние этажи в качестве огневых точек. С учетом потенциальной опасности для жизни мирных граждан, и уже реализованной 9 марта националистами провокации с больницей №3 в Мариуполе, здание театра в центре города никогда в качестве цели для поражения не рассматривалось»
https://t.me/readovkanews/28486

E anche se avessero voluto fare i cinici, e tirare giù un palazzo in centro mentre ci sono combattimenti in corso nei paraggi, con una tale deflagrazione (non quella della foto…) il rischio di ammazzare tutti, soldati russi e ucraini, sarebbe stato troppo forte. Anche se avesse voluto, in tali condizioni un palazzo in tale posizione non sarebbe potuto essere bombardato.
https://t.me/readovkanews/28481

Quindi niente attacco aereo, come sostenuto dagli squadristi di Azov. Combattimenti per strada non possono averlo ridotto così, neanche a colpi di mortaio, resta valida un’unica ipotesi, coerente peraltro con la disposizione e la formazione delle macerie: tritolo fino alle fondamenta e fatto saltare completamente.

Versione CHE E’ STATA APPENA CONFERMATA anche dagli abitanti del posto.
https://t.me/readovkanews/28493

Ma chiedere deontologia all’ansa è come chiedere a un pollo di fare la marcia reale, come diceva il mio povero nonno. come del resto la prima pagina della stampa di oggi, con la foto del massacro di Doneck e le didascalie sotto di attacchi russi ai civili.

A proposito di altre accuse false, parliamo di Chernigov. I civili sparati mentre erano in coda per il pane. A CHERNIGOV I RUSSI NON CI SONO! Sono fuori città, bloccano le vie d’accesso, ma non hanno ancora attaccato e non hanno per il momento alcuna intenzione di farlo.
https://t.me/mod_russia/13271

da qui

Redazione
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