«La Lega di Salvini. Estrema destra di governo»
Gian Marco Martignoni sul libro di Gianluca Passarelli e Dario Tuorto
Ancorchè inscritta in un contesto internazionale segnato dall’avanzata delle forze reazionarie e di destra (a fronte dell’annichilimento di quanto prima si connotava come sinistra, in tutte le sue varianti) l’affermazione della Lega di Salvini – il 4 marzo 2018 all’interno dello schieramento del centrodestra e poi come forza trainante dell’esecutivo gialloverde – merita di essere studiata nei minimi dettagli. E’ infatti il partito più longevo del parlamento: nelle sue oscillazioni elettorali ha di volta in volta rappresentato l’insofferenza, il risentimento e le aspirazioni dell’area più ricca del Paese nei confronti dello Stato e sopattutto di “Roma ladrona”. Ora che il suo bacino d’influenza è andato ben oltre le (ex) regioni rosse e nei proclami la Lega si dichiara un partito a vocazione nazionale, non più animato da pulsioni secessioniste, si tratta di comprendere se questa ambizione è realisticamente lineare oppure potrà incontrare qualche ostacolo a partire dall’attuazione del programma di governo.
Il libro «La Lega di Salvini. Estrema destra di governo» di GianLuca Passarelli e Dario Tuorto (il Mulino: pag 168, euro 15 ) ha il pregio di indicare i limiti che si prospettano al discorso propagandistico della Lega, analizzando il passaggio cruciale del testimone intervenuto fra il “carismatico” Umberto Bossi e il “popolare” Matteo Salvini, essendosi eclissata nello spazio di un mattino la figura più governativa e paludata di Roberto Maroni, mentre anche Forza Italia declinava. Se il terremoto giudiziario che ha investito la Lega e conseguentemente la successiva scelta di privilegiare la comunicazione via social hanno determinato la riduzione del numero delle sezioni del 69% – passando da 1451 a 437 – la reazione del nuovo corso si è fondata sulla costruzione di una “egemonia culturale” volta a criminalizzare il fenomeno migratorio e l’accoglienza “buonista”, a partire dal netto ripudio dello jus soli. Una battaglia spregiudicata, condotta all’insegna dell’apparente buon senso, con messaggi banali ma efficaci perchè assertivi, studiati per un Paese fondamentalmente poco istruito e popolato – Tullio De Mauro docet – da una massa di analfabeti funzionali. Brilliamo come la nazione dove la percezione delle cose è la più lontana dai fatti. Il che spiega paradossalmente perchè un partito di sistema come la Lega, che è stato al governo più volte in questi ultimi decenni e governa alcune importanti Regioni, «possa presentarsi come una forza anti-sistema» cavalcando uno specioso antieuropeismo e proponendo una misura (anticostituzionale e generatrice di diseguaglianze) come la Flat Tax, combinata con l’ennesimo condono fiscale. Una misura quella della flat-tax – sottolineano Passarelli e Tuorto – che risponde agli interessi rapaci di una borghesia del Nord da sempre violentemente «mercatista e protezionista, antistatalista, individualista e antisolidale», quindi disponibile a tutto, in una chiave decisionista, per conservare quella rendita di posizione messa a repentaglio da una competizione internazionale che vede purtroppo il nostro Paese arrancare. Anche ad allearsi con quel ceto politico trasformista che nel centro-sud d’Italia vede già sotto la lente della magistratura alcuni “nuovi” presunti pezzi da novanta, provenienti dalla destra di Alleanza Nazionale, fra i quali spicca l’ex sindaco di Reggio Calabria Peppe Scopelliti, recentemente condannato da una sentenza della Corte di Cassazione.
Fra l’altro il sostegno esplicito accordato da Confindustria alla Lega è la plateale conferma di come l’opportunismo costituisca uno dei tratti dominanti dell’antropologia italiana. In questa logica Matteo Salvini – che fin da giovane ha fatto della politica la sua professione – è la testa d’ariete di un progetto sciovinista e retrogrado sul piano sociale e civile, ove in nome dell’antipolitica (come delegittimazione di tutto e di tutti) appare per una bizzaria della storia come «il castigatore della vecchia classe politica». Nella realtà concreta però la Lega non ha uno straccio di proposta per affrontare la storica divaricazione nord-sud del Paese. Pertanto la «nazionalizzazione del suo messaggio» è solo una mossa tattica che risulta in palese contraddizione con la proposta dell’autonomia differenziata per dieci Regioni a statuto ordinario Proposta che sulla scia dei vittoriosi referendum consultivi promossi nel 2017 dalla Regione Lombardia e dalla Regione Veneto costituisce una minaccia per l’uniformità nazionale della legislazione sui diritti civili e sociali.