«La libertà è terapeutica»
Un breve racconto con altre due parole per introdurre una discussione su «Praticare la differenza» di Assunta Signorelli (*)
Ecco le istruzioni per il nuovo ALIENOMETRO.
A-LI-E-NO-ME-TRO.
Elegante, di poco ingombro, un moderno apparecchio che può venire collocato ovunque.
O-vun-que.
Da tempo l’alienometro è usato negli uffici e nei locali pubblici. Sopra l’interruttore notate una scala graduata da zero a dieci. Il numero su cui si arresta la lancetta corrisponde al vostro indice mentale. Il numero zero corrisponde al perfetto equilibrio. Ogni valore sopra lo zero deve essere considerato come deviazione dalla normalità. Tuttavia, da zero a tre non c’è alcun pericolo.
Da quattro a sette, invece, significa che le persone devono ricorrere alla loro terapia preferita.
Una persona il cui indice superi il sette è da considerarsi potenzialmente pericolosa. Per LEGGE è obbligata a denunciare il proprio numero e riportarlo al più presto SOTTO il sette. Se la terapia non funzionasse questa persona deve ricorrere all’Alterazione chirurgica o può sottoporsi alla terapia dell’ACCADEMIA.
Se l’indice arriva a dieci le terapie correnti sono inutili, la persona deve immediatamente subire un’operazione chirurgica o entrare nell’Accademia.
Questo è l’inizio di un lungo racconto, “L’accademia”, scritto da Robert Sheckley negli anni ’50 quando, per dirne una, la lobotomia era praticata su milioni di persone.
Lo spunto iniziale di Scheckley è la tipica ossessione statunitense per “l’igiene” mentale e la conseguente diffidenza verso tutto ciò che si discosta da una presunta normalità. Oggi NON abbiamo gli alienometri fra noi ma negli ultimi 50-60 anni il tentativo di psichiatrizzare TUTTO si è allargato dagli Usa al resto del mondo, trovando molti ostacoli (la prassi di Basaglia… per dirne una) ma anche vincendo battaglie importanti. E QUESTA E’ LA PRIMA DOMANDA PER ASSUNTA SIGNORELLI: a che punto siamo con le nostre battaglie?
Mi fermo con la fantascienza anche se mi piacerebbe un’altra volta parlarvi di due romanzi: “Follia per sette clan” di Philip Dick e “Sul filo del tempo” di Marge Piercy dove fra l’altro c’è una frase che mi piace moltissimo: «Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo».
Seconda domanda per Assunta. Le statistiche ma anche la nostra esperienza di ogni giorno ci mostrano vertiginosi aumenti di vecchie o nuove forme del malessere psichico. Da un lato questi allarmi servono a lanciare altri farmaci, cure, psicoterapie ma anche ad allargare il controllo sulla vita privata… Dall’altro il malessere esiste, cresce ed è evidente: come possiamo affrontarlo non in solitudine?
La terza domanda la ricavo ancora da un libro, cioè “La danza immobile£ di Manuel Scorza che scrive: «Lenin aveva torto… non è l’imperialismo la fase suprema del capitalismo, è la schizofrenia di massa». E’ così?
Due parole sul libro di Assunta Signorelli.
Sui muri dell’ex manicomio di Trieste ancora si legge una scritta del 1972: «la libertà è terapeutica». Commenta Assunta: «spero che resista alle intemperie perché, nella sua semplicità, definisce senza equivoci la missione di chi, a vario titolo, opera nel mondo dei servizi sociali e sanitari».
A quasi 40 anni dalla legge 180, frutto (un po’ tradito) della rivoluzione avviata da Franco Basaglia, il libro di Assunta è fondamentale per almeno 4 motivi.
Lei è stata a Trieste, nel cuore del cambiamento: può dunque offrire testimonianze di primissima mano.
Ha poi affrontato, con ruoli dirigenti, l’applicazione della riforma (sabotata in 100 modi) anche in territori difficili. Qui racconta nei dettagli una sconfitta a Cosenza, culminata con 500 poliziotti in tenuta antisommossa che il 17 marzo 2008 deportarono tutte le persone in cura: e molti si chiesero se vi fosse più follia in chi ordinò quel blitz o fra le persone ricoverate.
Il terzo motivo per cui il testo della Signorelli è imprescindibile sta nella sua volontà e capacità di scavare nelle differenze di genere e dunque nei rapporti fra le donne e il potere psichiatrico, con il nodo della famiglia – più spesso luogo di violenza che di mediazione – irrisolto.
Infine la scrittura della Signorelli è appassionata quanto chiara, senza inutili tecnicismi. Anche se «Praticare la differenza» raccoglie testi scritti in diversi contesti (con qualche ripetizione inevitabile) non ci sono cadute di interesse.
Una persona pacata e saggia come Norberto Bobbio scrisse «la distruzione del manicomio fu forse l’unica rivoluzione compiuta del secolo scorso» e Assunta Signorelli è la persona con la grinta giusta per spiegare come avvenne… e cosa resta da fare.
(*) Il libro di Assunta Signorelli – «Praticare la differenza. Donne, psichiatria e potere» (Ediesse, 2015) – è stato presentato a Imola il 18 novembre, alla sede di «Trama di terre», con una ricchissima discussione (conto di darne conto qui, appena riesco a riscrivere gli appunti presi) su salute mentale e resistenza delle donne. Dopo questa mia breve introduzione le donne del Csi (Centro studi e ricerche in salute internazionale e interculturale di Bologna) hanno spiegato il loro lavoro. Ah, chi fosse interessato a sapere qualcosa di più sul racconto di Sheckley… qui in “bottega” vada a Gli alienometri che è anche una proposta di “pubblica lettura”. (db)