La lotta mapuche nell’insurrezione cilena

Intervista a Rubén Collío, rappresentante della comunità mapuche di Tranguil e compagno di Macarena Valdés, attivista mapuche uccisa nel 2016 nella lotta contro l’installazione di una centrale idroelettrica sul fiume Tranguil.

di Gianpa L. e Susanna De Guio da DesdeAbajo

Sono passati più di quaranta giorni consecutivi di proteste in Cile e la mobilitazione non accenna a scemare. Iniziata con il reclamo degli studenti per l’ennesimo aumento del biglietto della metro a Santiago, dal 18 ottobre si è estesa a tutto il territorio nazionale, moltiplicando le rivendicazioni e portando in piazza ampi settori della società.

Fin dall’inizio delle proteste, in tutte le manifestazioni sventolano numerose le bandiere del popolo nazione mapuche; sui muri le invettive contro la polizia e i politici si mescolano alle frasi in mapudungun [lingua mapuche].

Allo stesso tempo, fin dai primi giorni di mobilitazione, da diversi punti del Wallmapu – il territorio mapuche, che si estende verso sud tra Argentina e Cile – sono partiti messaggi di solidarietà alle proteste del popolo cileno.

Che cosa significa per il popolo mapuche la rivolta cilena dell’ultimo mese l’abbiamo chiesto a Rubén Collío, rappresentante della comunità mapuche di Tranguil e compagno di Macarena Valdés, attivista mapuche uccisa nel 2016 nella lotta contro l’installazione di una centrale idroelettrica sul fiume Tranguil.

Come si inserisce la battaglia del popolo mapuche nelle mobilitazioni che stanno mettendo a dura prova il governo cileno?

In quest’ultimo mese il popolo cileno fortunatamente, e finalmente, si è svegliato, ha iniziato a reagire a un’anestesia, un sonno collettivo in cui è stato immerso durante tutto il periodo post-dittatura. Sono arrivate le nuove generazioni portando aria nuova, con più coraggio e senza paura, con le idee molto più chiare, con l’obiettivo di difendere i loro diritti e la forza per poterlo fare. In molti luoghi attualmente si incomincia a comprendere la lotta del popolo mapuche: finalmente la gente si sta rendendo conto che ad essere terrorista e violento non è il mapuche, che c’è stata una enorme quantità di montature che la stampa ha occultato tutto quel che stava succedendo, i massacri, l’usurpazione dei nostri territori, e che lo Stato cercava di delegittimare le giuste rivendicazioni del nostro popolo. C’è uno svegliarsi delle coscienze che noi abbiamo cercato di stimolare negli ultimi tre anni, è qualcosa di positivo e giusto. A Santiago e lungo tutto il territorio cileno si stanno organizzando assemblee, a Concepción, a Temuco, a Talcahuano, a Rancagua, a Valdivia, a Chiloé, a Puerto Mont, e in tutte c’è partecipazione mapuche perché siamo presenti in tutto il territorio e oggi più che mai ci sentiamo orgogliosi di dire che siamo mapuche, che ci riconosciamo come mapuche, e che affrontiamo chiunque voglia cercare di calpestarci.

Come valutate questa ondata di repressione e violenza che viene denunciata quotidianamente dai manifestanti in Cile?

Noi avevamo già la certezza che polizia e militari siano responsabili di repressione, violenza e sistematica violazione dei diritti umani. Non è niente di nuovo per noi sapere che i nostri telefoni sono sorvegliati, è da 140 anni che viviamo in uno stato di emergenza, di persecuzione, e di resistenza, perché così è stata la nostra vita come popolo, di tutti quelli che si azzardano a sentirsi mapuche, a dichiararsi apertamente mapuche e difendere la loro terra. Veniamo perseguitati, incarcerati, siamo vittime di montature come è successo per esempio al lonko Curamil: nonostante abbia ricevuto il Goldman Prize per la difesa dell’ambiente, oggi si trova in carcere a causa di una montatura giudiziaria. Allo stesso modo sono state create false accuse ad altri compagni. Vengono accusati pubblicamente di essere terroristi, addirittura assassini, e vengono incarcerati, processati tramite la legge antiterrorismo. Anche dopo che la loro innocenza viene provata, continuano a essere stigmatizzati, non c’è nessun responsabile per tutti gli anni che hanno passato in carcere ingiustamente.

Quali sono i rischi e quali le potenzialità di questa mobilitazione?

Il capo dei carabinieri ha detto apertamente che non ci saranno sanzioni per chi violerà i diritti umani, che danno libertà assoluta e appoggio incondizionato agli agenti. Ha dichiarato che se cercheranno di obbligarlo, lui non lascerà comunque che nessun carabiniere venga processato, nessuno verrà punito o sospeso. Questo è uno dei rischi che si sono visti quando i carabinieri e i militari sono stati dispiegati nelle strade, fuori controllo, ammazzando una quantità di persone, appiccando gli incendi di edifici e supermercati che erano solo un modo per incenerire cadaveri di persone che avevano proiettili in corpo. Un altro rischio è che la mobilitazione si spenga, che la gente smetta di manifestare prima di ottenere un cambio significativo e reale, per esempio una nuova Costituzione. La Costituzione di questo paese deve essere modificata, perché è stata creata durante la dittatura. Deve essere eliminata la proprietà privata dell’acqua, che è un diritto umano, mentre in questo paese, unico caso al mondo, l’acqua è un bene di mercato, è un bene commerciale. Se hai abbastanza soldi, puoi comprare un fiume, farlo seccare completamente e lasciare che la gente muoia di sete. Inoltre deve essere riformata la AFP per creare un sistema pensionistico giusto e solidario, per evitare che si speculi sulla pelle dei nostri anziani, che muoiono di fame perché le pensioni sono indegne. Deve migliorare il sistema sanitario, il sistema educativo, tante cose devono essere migliorate e tutto passa per la richiesta di una nuova Costituzione politica. Ovviamente devono entrare nella carta costituzionale anche il riconoscimento dei popoli originari e la restituzione della terra al popolo mapuche. Noi esigiamo che si dichiari uno Stato plurinazionale e multilinguistico, oltre che federale. Questo è quello che stiamo chiedendo in tutte le mobilitazioni come popolo mapuche.

Articolo e foto riprese da l’America latina

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