La lunga marcia dei senza terra
Recensione al volume di Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia
di David Lifodi
Ha senz’altro ragione Frei Betto quando definisce il Movimento Sem Terra (Mst) come il “seme di altri mondi possibili” nella sua prefazione al libro La lunga marcia dei senza terra (Emi 2014), curato da Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia. Il pregio del volume delle tre autrici risiede, principalmente, nel documentare la vita quotidiana e la storia del Mst sotto molteplici aspetti in un contesto comprensibile non solo ai militanti stretti, ma aperto anche a coloro che vogliono approfondire la storia dei movimenti brasiliani dal punto di vista sociale.
Su un dato tutti concordano: i senza terra rappresentano l’alleanza di classe tra contadini e lavoratori nel più grande paese dell’America Latina e, al tempo stesso, in loro si riconoscono le maggiori esperienze di lotta di tutto il continente. Esempio di dignità, coraggio e coerenza, i contadini senza terra sono i portavoce di quel riscatto sociale a cui aspira l’intero continente latinoamericano e, contemporaneamente svolgono un importante ruolo di coscienza critica della sinistra brasiliana. È così che, in un contesto in cui la lotta per la terra e per una riforma agraria purtroppo ogni giorno sono più lontane, i Sem terra hanno il merito di indicare al Brasile la strada da seguire in un mondo comandato dagli squali dell’alta finanza, presenti in gran misura anche nel Congresso e al Planalto, dove la presidenta Dilma Rousseff ha sciaguratamente spalancato le porte a ministri noti per essere sacerdoti del neoliberismo estremo e a personaggi storicamente nemici dei contadini senza terra. Il volume è caratterizzato da una prima parte in cui le autrici mettono in risalto le lotte del Mst e i numerosi lutti che hanno dovuto affrontare (in particolare le stragi di Felisburgo e di Eldorado dos Carajás, solo per citare due tra le più drammatiche) avvalendosi di commenti di personalità di prestigio, dal geografo sociale Bernardo Mançano Fernandes a fondatori storici del movimento (sorto nel 1984), quali João Pedro Stedile (figlio di piccoli agricoltori di origine italiana) passando per esponenti storici della Teologia della Liberazione: personalità come dom Pedro Casaldáliga, Leonardo Boff e Tomas Balduino hanno svolto il ruolo di padri nobili del Mst. I congressi dei Sem terra sono stati caratterizzati da parole d’ordine poi trasformate in obiettivi programmatici del Mst, dallo storico La terra a chi la lavora al sempre attualissimo Senza riforma agraria non c’è democrazia. E del resto, come potrebbe esserci democrazia in un paese come il Brasile, caratterizzato dalle fortissime disuguaglianze sociali? Eppure la costruzione del Mst si è basata sul lavoro militante casa per casa e nell’organizzazione delle famiglie per realizzare le occupazioni. “È negli accampamenti che la vita delle persone cambia sul serio”, scrive Ademar Bogo. “Avviene una trasformazione profonda nella coscienza delle persone. Tutti quelli che, nel corso della vita, sono stati comandati dai padroni, repressi dalla polizia, condannati dalla giustizia, abbandonati davanti agli ospedali, ora sono lì a stabilire le proprie leggi, a fissare gli orari, a organizzare il pronto soccorso, a occuparsi dei malati, a garantire l’ordine senza rompere l’armonia interna dell’accampamento”. Ed è in questo contesto che, “il movimento che porta vita al continente nella lotta contro il latifondo” si caratterizza per un lavoro di forte coscientizzazione sociale all’insegna della mistica. Non è un caso che la scuola nazionale dei Sem terra sia intitolata a Florestan Fernandes (1920-1995), difensore dell’insegnamento pubblico, gratuito e di qualità per tutti nonostante fosse figlio di un’immigrata portoghese analfabeta. La scuola dei Sem terra si propone un doppio compito: da un lato formazione tecnica, universitaria e politica, dall’altro alfabetizzazione negli accampamenti. Scrive Stédile: “Se si dà a un contadino solo la terra, continuerà ad essere ignorante e manipolabile. Garantire ai poveri soltanto la possibilità di lavorare per sé stessi non risolve né il problema della povertà né quello della disuguaglianza. È per questo che l’Mst lotta, perché i contadini abbiano diritto alla terra e accesso alla scuola, è questo che li libera, che offre loro la conoscenza e li fa diventare cittadini”. Qui per il Mst sta il popolo, che impara a vedere il mondo sotto un’altra prospettiva, che non è quella propugnata da agrobusiness e transnazionali, a cui ormai ha aperto da tempo anche il Partido dos Trabalhadores. In più di una circostanza, mostrando una maturità ed una lungimiranza politica fuori dal comune, il movimento ha sempre dichiarato il suo impegno all’insegna della ricerca di un progetto per l’intero paese: le accuse ai presidenti Lula e Dilma di aver tradito al popolo a causa della mancata realizzazione della riforma agraria non hanno comunque impedito alla maggior parte dei militanti del Mst di impegnarsi per favorire la vittoria del Pt, consci che l’avvento delle destre sarebbe molto peggio. Come ha scritto il sociologo Usa Immanuel Wallerstein, il Mst “ha sostenuto Lula nel 2002 e, malgrado le promesse non mantenute, ha appoggiato la sua rielezione nel 2006. Lo ha fatto con piena coscienza dei limiti del suo governo, nella convinzione che l’alternativa sarebbe stata evidentemente peggiore. Ma lo ha fatto anche esercitando una costante pressione sul presidente, incontrandolo, presentando denunce pubbliche e organizzandosi per combattere le sue politiche errate”.
La lunga marcia dei senza terra, conclude Frei Betto nella sua prefazione, “non è solo un importante documento storico. È un interessante racconto di come persone e famiglie impoverite, sprovviste di beni essenziali come terra e abitazione, siano capaci di trasformarsi in soggetti della storia e in interlocutori che nessun governo o forza politica ed economica può permettersi di ignorare”.
La lunga marcia dei senza terra. Dal Brasile al mondo
Di Claudia Fanti, Serena Romagnoli, Marinella Correggia
Emi, 2014, Bologna