La lunga marcia di Capo Giuseppe e …
… e dei Nasi Forati. Un libro di Daniele Cazzola.
recensione di Giuseppe Callegari, al libro di Daniele Cazzola, Edizioni Chillemi, 2022
La lunga marcia di Capo Giuseppe e dei Nasi Forati
Daniele Cazzola, Edizioni Chillemi, 2022
“Capo Giuseppe” – ma il suo vero nome era Hin-Mut-Too-Yah-Lat-Kecht – dei Nasi Forati fino alla fine della sua vita ha cercato la mediazione, la pace e il vivere insieme ed ha così supplicato il presidente degli Stati Uniti: “A causa dei bianchi non possiamo continuare a vivere come abbiamo fatto finora. Chiediamo solo la possibilità di vivere come le altre persone. Pretendiamo di essere riconosciuti come persone. Chiediamo che la stessa legge sia applicata nello stesso modo per tutte le persone. Se un indiano infrange la legge, la legge lo punisce! Se un bianco infrange la legge, venga ugualmente punito! Lasciate che io sia un uomo libero, un uomo che si possa muovere liberamente“.
Purtroppo non ha avuto riposta fino alla sua morte e addirittura successivamente sono stati fatti centinaia di film, esportati in tutto il mondo, in cui gli indiani sono descritti come bestie ululanti incapaci di parlare e stupratori di donne. Non è stato sufficiente distruggerli fisicamente, bisognava sputare anche sulla loro immagine, dissacrare la loro storia perché solo il questo modo il progresso avrebbe vinto.
Spero che Capo Giuseppe abbia trovato un po’ di pace con il film Indians di Richard T. Heffron e che possa ritenersi soddisfatto della dettagliata ed esaustiva pubblicazione di Daniele Cazzola “La lunga marcia di Capo Giuseppe e dei Nasi Forati”, edita nel 2022 da Chillemi.
Il racconto può essere diviso in tre parti: un’introduzione sull’origine di questo popolo, suoi usi e costumi e primi incontri con gli uomini bianchi. Poi c’è il cuore della pubblicazione costituita dalla dettagliata descrizione della grande fuga e infine significative e toccanti descrizioni e testimonianze dei personaggi che parteciparono e furono testimoni degli avvenimenti.
Nella prima parte si pone l’accento sul desiderio di una convivenza pacifica con l’uomo bianco e addirittura su una sorta di sottomissione culturale spirituale perché i nativi credevano che la religione dell’uomo bianco fosse responsabile del suo grande potere. Infatti “avendo visto molti bianchi leggere la Bibbia, gli indiani si convinsero che il potere dei bianchi venisse emanato dal libro, perciò credevano contenesse magia”. Fu per tale ragione che cominciarono le conversioni e fra queste quella del padre di Capo Giuseppe, Tuekakas, che battezzò i suoi figli e uno di questi si chiamava Hin-Mut-Too-Yah-Lat-Kecht (Tuono che romba nelle Montagne), il futuro Capo Giuseppe. Particolarmente suggestiva la leggenda della nascita del popolo dei Nasi Forati: “Molto tempo fa, quando solo gli animali popolavano la terra, un mostro con un vorace appetito dimorava nella valle di Kamiah, presso la biforcazione del fiume Clearwater in quella località ora nota come lo Stato dell’Idaho. II mostro si cibava di animali, e questi vivevano nel terrore di essere divorati. Un giorno Coyote, capo degli animali, con uno stratagemma indusse il mostro ad ingoiarlo. Una volta nel corpo del mostro, gli tagliò il cuore con il suo coltello di pietra. Coyote ridusse il corpo del mostro in pezzetti e li sparse sulla terra: dove questi caddero, sorsero le tribù indiane. Ma Coyote dimenticò un posto: la terra natale del mostro. Quando la volpe glielo fece notare, Coyote spruzzò quella bella vallata con le gocce di sangue del mostro. In questo modo vennero creati i Nee – Mee – Poo, cioè il vero popolo la tribù dei Nasi Forati”. Per quanto riguarda il nome, secondo Cazzola, ci sono due versioni, ma quella più accreditata, condivisa anche da Capo Giuseppe in un’intervista, è che alcuni trapper franco-canadesi (cacciatori ed esploratori che percorrevano le montagne del Nord America) diedero questo nome perché videro nei villaggi indiani delle donne che portavano al naso degli ornamenti di conchiglie, un’usanza comune per gli indiani di fiume.
E un fiume in piena è la parte centrale della pubblicazione che racconta con dovizia di particolari la fuga dei Nasi Forati: quasi 2.800 chilometri, passando per territori aspri e impervi che ora si trovano negli stati dell’ Idaho, del Montana, del Wyoming. Purtroppo la loro Odissea non prevede l’attracco ad Itaca, infatti vengono sconfitti e fermati a Bear Paw, 60 chilometri dal confine canadese.
La cronistoria di Cazzola inizia abbracciando un arco di tempo che va dal primo al 15 giugno 1877, con scaramucce, trattative, vendette e ritorsioni e naturalmente la continua fuga. Nei giorni successivi c’è una prima vittoria militare dei Nativi che, giova ricordarlo e sottolinearlo, in battaglia non erano guidati da Capo Giuseppe, ma dal fratello Ollokot e soprattutto da Capo Specchio. Giuseppe era un uomo saggio che organizzava la vita del villaggio. In pratica, uno statista che non disdegnava di combattere quando c’era la necessità. Ma era soprattutto un uomo di mediazione e di pace e se il Premio Nobel fosse una cosa seria quello per la pace dovrebbe essergli assegnato alla memoria.
La cronologia storica termina il 5 ottobre con la resa di Giuseppe che Cazzola rende in modo commovente. “Nel pomeriggio, Giuseppe montò sul suo cavallo e guidò cinque guerrieri a piedi verso il posto dove Miles e Howard erano in attesa. Vestito di indumenti logori il capo smontò lentamente da cavallo, con molta dignità, quindi stese il braccio e presentò il suo fucile come segno di resa”.
Un aspetto interessante della pubblicazione è che non viene sviluppata una logica manichea per la quale c’è il buono e il cattivo, che attualmente si coniuga col mantra: “C’è un aggressore e un aggredito”, ma esistono molte tonalità capaci di esprimere la complessità del tema. Infatti, partendo dal granitico assioma per il quale i Nativi sono stati espropriati delle loro terre, l’autore ci racconta anche le loro scorribande, le loro razzie, i loro saccheggi, i loro omicidi. D’altro lato, viene evidenziato il rispetto del generale Howard e di parte della popolazione bianca per i Nasi Forati. Non a caso Capo Giuseppe si lamentò perché nelle stazioni ferroviarie, durante i suoi tanti trasferimenti, gli doleva il braccio per le molte mani che doveva stringere. Nello stesso tempo, si stigmatizzano gli spergiuri del governo americano e dei suoi funzionari che firmavano trattati e molto rapidamente li rinnegavano, causando morti e distruzione. E costoro sono diventati i paladini della libertà, anche se continuano nel loro sporco gioco di distruggere le differenze che trovano sulla loro strada. Hanno addirittura scoperto l’espediente della guerra umanitaria, molti ci credono e nessuno ha il coraggio di gridare che gli Stati Uniti d’America sono l’unica nazione al mondo che sia nata dal genocidio di un popolo.
La parte finale del libro di Cazzola, si apre con le testimonianze di alcuni Nasi Forati sopravvissuti alla battaglia di Big Hole. Straziante è il ricordo di Penahwenonmi (moglie di un guerriero Naso Forato di nome Testa Ferita): “[…] I bambini uccisi a Big Hole furono molti. Mi ero riparata sotto ad un cespuglio di salici. Accanto a me c’era una bambina che cercai di proteggere con un braccio dalla fitta sparatoria: fu colpita a morte da uno dei proiettili che rimbalzavano tra i rami come pioggia. Più in là sull’orlo dell’acqua. disteso sulle rocce del fiume, c’era il corpo di un ragazzino colpito a morte; era un nipote di Lupo Giallo. In una zona aperta un neonato piangeva appoggiato al petto della madre morta con la testa spaccata, agitava il piccolo braccio spezzato da un proiettile, con la manina coperta di sangue, appesa solo per una striscia di carne e di pelle che si muoveva avanti e indietro con il moto del braccio”.
E dopo le testimonianze delle battaglie troviamo le biografie, brevi, ma essenziali, di Capo Giuseppe, Capo Specchio, Lupo Giallo e Peo Peo Tholekt, Lucullus McWhorter, il generale Oliver O. Howard e il colonnello Nelson A. Miles.
Con sintetiche pennellate Cazzola, oltre a Capo Giuseppe, ci presenta Capo Specchio, che era il leader dei guerrieri e mutua il suo nome dal fatto che il padre era solito portare al collo un piccolo specchio che gli lasciò in eredità. Un guerriero particolarmente valoroso era Lupo Giallo che nella battaglia di Bear Paw si comportò da eroe e fu uno degli ultimi ad abbandonare il villaggio indiano. Inoltre, insieme a Peo Peo Tholekt, fu uno dei maggior informatori di Lucullus McWhorter. Costui era un storico, linguista, antropologo che ha cercato di preservare la storia e la cultura dei Nativi Americani. Nel 1881 il generale Howard pubblicò un libro con il suo punto di vista sulla lotta con i Nasi Forati, al contrario McWhorter ha voluto presentare il punto di vista dei Nativi che avevano combattuto unicamente per difendere il loro modo di vivere. Ecco allora che i Nasi Forati non sono descritti come selvaggi assetati di sangue, ma come un popolo fiero che cerca in tutti i modi di resistere all’oppressione dei bianchi che era diventata insopportabile.
La lunga marcia di Capo Giuseppe e dei Nasi Forati di Daniele Cazzola è una pubblicazione di 48 pagine e nello stesso tempo è una preziosa teca in cui conservare immagini difficilmente rintracciabili e la storia di un popolo di pace che è stato costretto a fare la guerra, che ha perso sul piano militare, ma proprio nella sconfitta ha espresso tutta la sua grandezza.
Augh!