La macchina organizzativa
di Lucia Pepe
Già dalla prima mattina cominciano chiamate e messaggi della cosiddetta macchina organizzativa, cambi di orari si susseguono: sbarco previsto per le 11; aggiornamento: sbarco previsto alle 17, no alle 16,
finché arriva il definitivo: 19.30 al porto di Palermo. Si attendono un centinaio di persone, le prime notizie sulla nazionalità dicono che saranno ghanesi, senegalesi e nigeriani.
Arrivi al porto e vedi tutti che corrono a destra e sinistra, si montano tendoni con strumenti medici all’interno, gazebi, panche, si preparano scorte di acqua e cibo… come se stesse arrivando un ospite inatteso ma che si vuole accogliere nel modo migliore. Sono pochi questa volta, circa cento, e per lo più uomini maggiorenni. Li vediamo arrivare su una motovedetta della guardia costiera, tutti seduti vicini sulla prua, non salutano, non sorridono non piangono, ci scrutano… Sulla banchina vedono uomini con sfavillanti divise rosse, altri con pettorine blu e uomini coperti dalla testa ai piedi con mascherine, guanti e tute bianche integrali degne di uno sbarco lunare.
Cominciano i triage: una tenda per donne e bambini e una per gli uomini, nell’aria si sentono domande poste in diverse lingue e non sono solo domande di interesse medico: «hai qualche dolore?», «da quanti giorni hai la tosse?», «respira profondamente», «c’è qualcuno della tua famiglia con te?» ma anche «Benvenuto qui siamo a Palermo in Sicilia, un’isola nel sud dell’Italia».
Le donne sono una decina, giovani e belle. Vengono individuati anche alcuni minori. Alla fine del triage la “macchina organizzativa” prevede anche il passaggio attraverso gli impiegati della questura per l’identificazione e l’attesa di pullman per il trasferimento presso centri di prima accoglienza o di accoglienza straordinaria in città e dintorni.
Chissà cosa penseranno stanotte, finalmente in un letto dopo giorni di faticoso viaggio, di paure, di incertezze; chissà se riusciranno ad addormentarsi subito per la troppa stanchezza o se il pensiero di ciò che si sono lasciati alle spalle e di ciò che sperano per il futuro li terrà svegli ancora una notte.
Io quella sera dopo aver finito il mio “compito” sono tornata a casa, ho fatto una doccia e sono uscita un po’ con alcuni amici; nella notte poi ho ritrovato in sogno alcuni volti incontrati sulla banchina del porto.