La mafia almeno paga: ovvero…

cultura, economia e lavoro con diverse gradazioni di grigio.

103esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Fabrizio De Andrè disse queste parole provocatorie circa 30 anni fa: «la mafia almeno dà lavoro!». Lavoro sporco, spesso sporchissimo: ma lo dà.

Il mio amico M. direbbe che sono eresie. Però lui stesso sostiene che l’economia “vera” funziona come la mafia, seppure in modo più morbido. In poche parole M. è convinto che l’economia funzioni perché c’è “il nero”. Tutto si regge sul lavoro nero quindi. Poi ci sarebbe da affrontare il discorso del lavoro ombra ma lasciamolo a Ivan Illich, per non dilungarci troppo. Magari appuntiamoci il titolo del suo libro («Lavoro ombra» appunto) e ricordiamone in breve la tesi: l’economia anche in Occidente si regge sul lavoro “non pagato, non documentato”. Per capirci: quello che fanno le donne, le mamme, le casalinghe. Il discorso di Illich è più “profondo” sebbene collegato a quello che cercherò di fare qui.

Negli ultimi giorni osservo (anche dal di dentro) i meccanismi di un osservatorio culturale e artistico. Se vuoi farti pagare come artista devi essere sostenuto dalla mafia! Sembrerà una provocazione – un po’ lo è – ma se ci pensate bene alcuni film hanno spiegato questo meccanismo: a esempio quello ispirato alla vita del rapper Tupac, morto ammazzato più di vent’anni fa (*). Per rimanere più vicino a noi: tutti gli artisti sedicenti alternativi, attori o scrittori, secondo voi come fanno ad arrivare a certi livelli? Alcuni nomi noti potrei farveli e sono sicuro che qualcuno si indignerebbe e si scandalizzerebbe; allora non faccio nomi… ma li penso (ve li farò parlandone a voce, se capiterà). Di un “immaginario” AC a esempio mi hanno detto che ha un manager parecchio ammanicato e vagamente losco per cui è riuscito a entrare nei circuiti che contano.

Perché dico queste cose? Da mesi sento ripetere in Umbria che una grossa cooperativa “culturale” di Perugia non paga nessuno: né fornitori, né lavoratori né collaboratori… ma ovviamente percepisce finanziamenti europei, regionali e ministeriali. Scendiamo più ai nostri livelli. Diversi esercizi culturali come pure ristoranti noti “sottopagano”: alcuni loro operai vanno via esasperati e minacciano o attuano denunce. Sono realtà commerciali ma anche con finalità culturali; non parliamo dell’ orientamento politico (credo si si intuisca ma non importa al momento).

Sto leggendo il «manifesto dell’osservatorio degli editori indipendenti», pubblicato nel 2013. C’è scritto quello che molti di noi sanno: il monopolio delle grandi case editrici è di tipo mafioso cioè ostacola direttamente e indirettamente ogni tentativo di piccole e medie case editrici di farsi spazio nel mercato librario. Per essere concreti: spesso i grandi editori e distributori comprano gli scaffali delle librerie e anche se non hanno novità impongono loro titoli (anche di bassa lega) per evitare di perdere visibilità, soffocando le possibilità dei piccoli e piccolissimi editori di farsi vedere e quindi di sopravvivere. Ovvio che c’è la complicità di alcuni librai ma pesano particolarmente i grandi distributori.

Non bisogna andare lontano nel tempo: un anno fa alcuni scrittori, fra cui ricordo Maurizio Maggiani, scrissero una lettera aperta in cui si indignavano per le condizioni di lavoro quasi da schiavitù dei lavoratori della Grafica Veneta (**) una tipografia che stampa molte opere delle maggiori case editrici. Per andare nel terra terra: poco tempo fa ho conosciuto Librìdo – una bella libreria (e anche bar) di Genova – che mi ha pagato per uno spettacolo a prescindere dal numero di persone che fossero arrivate. Sembra normale … e non lo è. Mi capitò – più volte – una cosa del genere con un’altra donna, titolare di un ristorante sul lago Trasimeno. E mi chiedo: sarà che la speranza del riscatto viene dalle donne? Oppure da un altro modo di concepire il valore da dare a sé e agli altri? Fino a quando diremo a un artista “Ti pago in base alle persone che vengono a bere o a vedere il tuo spettacolo” è chiaro che siamo in un ambito riprovevole del valore dell’arte e anche di chi organizza. Tanti anni fa una signora acquistò un mio libro e mi disse: «Lo compro per dare valore a me stessa, perché lo psicologo mi ha detto che per valorizzarmi devo dare valore agli altri». Purtroppo questo concetto – soprattutto fra chi si reputa sensibile alla cultura, e si presenta come alternativo al sistema, o appartenente a partiti o movimenti teoricamente vicini al popolo e ai lavoratori – non passa. Quindi devo pensare che qualcosa non va, o che ci sarebbe bisogno di una cura psicologica a base di “valore da dare agli altri e a sé stessi”. Ovviamente qui si tratta di fiducia e di coraggio nell’osare. Se manca alla base bisogna curare “la radice”… Altrimenti come faremo a opporci davvero alle mafie?

Nell’immagine (ripresa da Wikipedia) graffiti ad Harlem per ricordare il rapper “Tupac”

DUE NOTE DELLA “BOTTEGA”

(*) All’anagrafe era Lesane Parish Crooks (New York, 16 giugno 1971 – Las Vegas, 13 settembre 1996) ma cambiò il suo nome in Tupac Amaru Shakur. Fu conosciuto anche con gli pseudonimi di 2Pac e Makaveli. Su di lui esistono vari film ma Angelo Maddalena probabilmente si riferisce a All Eyez on Me diretto da Benny Boom.

(**) cfr Rabbia e vergogna per i miei romanzi stampati dagli schiavi, Grafica Veneta: lo sdegno non basta… e «Pakarta»

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – uno di questi lunedì. [db]

 

Redazione
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