La maledizione delle risorse nella Repubblica Democratica del Congo
Continua nella Repubblica Democratica del Congo la maledizione delle risorse.
Dai tempi del colonialismo belga fino ad oggi, l’espropriazione delle materie prime nei territori dell’attuale RDC (avorio, caucciù, oro, diamanti, legno, petrolio uranio, rame, cobalto, coltan) da riversare nelle economie del Nord Globale ha portato nel paese devastazione, sfruttamento selvaggio e violenza.
Per imporla si è fatto ricorso alla ferocia della dominazione coloniale, alla destabilizzazione continua del paese – sconvolto da golpe e guerre civili fomentate dall’estero – oltre che alla schiavitù del debito e dei programmi di aggiustamento strutturale imposti dal FMI.
In nome del saccheggio delle risorse è stato ucciso Patrice Lumumba.
Nel corso di un secolo e mezzo, l’estrazione di materie prime congolesi ha alimentato la crescita dell’industria mondiale della gomma, ha rifornito di uranio i primi reattori nucleari in Francia, il “progetto Manhattan” negli USA e le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki.
Più di recente il coltan e il cobalto estratti nella RDC hanno permesso un salto nell’evoluzione tecnologica dei condensatori ad alta capacità, delle superleghe, dei materiali superconduttori, delle batterie, con applicazioni che spaziano dall’elettronica, all’aerospaziale, alla metallurgia.
La transizione energetica arriva per ultima, in ordine di tempo, a determinare un aumento della domanda mondiale di materie prime critiche.
Non è lei all’origine dello sfruttamento delle risorse, che era già in atto, ma ne è diventata negli ultimi anni il principale fattore di espansione, sotto la spinta delle prospettive di crescita del mercato delle auto elettriche e delle tecnologie green.
E non si differenzia dagli altri utilizzatori finali per le conseguenze ambientali e sociali che determina, dalla distruzione irreversibile di territori naturali, alla delocalizzazione ed espropriazione delle comunità, al moderno schiavismo, alla destabilizzazione di intere regioni da parte di bande armate, coinvolte nel commercio illegale di minerali o legate agli interessi delle compagnie estrattive.
Proponiamo oggi un articolo di Jonas Kiriko, giornalista investigativo congolese, che descrive le conseguenze della crescita della produzione di cobalto sulle riserve naturali protette della RDC. Per approfondire i temi degli sgomberi delle comunità e della militarizzazione dei territori ai fini dell’estrazione dei minerali di transizione, consigliamo:
Amnesty International, DRC: Powering Change or Business as Usual? Forced evictions at industrial cobalt and copper mines in the Democratic Republic of The Congo, settembre 2023, pp. 100. (Ecor.Network)
La corsa verso le “nuove energie” sta spogliando le risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo
di Jonas Kiriko (*)
Il ronzio dei macchinari, i mucchi di terra, i villaggi di fortuna, i veicoli che vanno e vengono, il fango nella stagione delle piogge: questa è l’atmosfera che si respira quando si viaggia verso la riserva naturale di Basse Kando dal villaggio di Kisanfu nel sud della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
È [un’atmosfera] ben lontana dalla vegetazione impenetrabile, dagli animali selvatici erranti come antilopi nere, elefanti e ippopotami nel fiume Kando. [Questo] era lo scenario negli anni ’80 e ’90 nella riserva di Basse Kando, come ricordava un ottuagenario che viveva nel villaggio di Kisanfu. Oggi c’è l’occupazione illegale di vaste aree di territorio all’interno dell’area protetta da parte delle comunità che sono state delocalizzate per far posto alle concessioni minerarie che hanno distrutto il loro habitat. La causa principale è la corsa al cobalto, un minerale critico per la “nuova energia”, utilizzato nelle batterie e nei veicoli elettrici.
La Repubblica Democratica del Congo fornisce circa il 70% della domanda mondiale di cobalto e le sue riserve sono state occupate da compagnie minerarie nazionali e internazionali dall’inizio degli anni 2000. I minatori artigianali che si sono uniti alla corsa e le comunità sfollate ricorrono al bracconaggio e alla produzione di carbone nelle aree protette, ha spiegato Christian Bwenda, coordinatore dell’ONG ambientalista PremiCongo.
Le concessioni minerarie
Si stima che il 77% della riserva di Basse Kando sia attualmente destinato alle concessioni minerarie. Basse Kando è un’area protetta di 17.500 ettari, secondo il Decreto del 1957 che l’ha istituita, e si estende su una porzione del territorio di Lubudi e Kolwezi nella provincia di Lualaba. Questo decreto è stato modificato nel 2006 senza menzionare i limiti della riserva, e le autorità minerarie hanno concesso licenze nella zona per anni.
Diverse società gestite da espatriati e cittadini detengono concessioni minerarie che stanno invadendo i confini di Basse Kando. Tra queste c’è la CMOC Kisanfu Mining SARL, una società mineraria di proprietà della China Molybdenum Co Ltd (CMOC). Nel 2023 il gruppo cinese CMOC è diventato il nuovo re del cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, secondo i calcoli di Bloomberg citati da Cyntia Bashizi, giornalista mineraria di Radio Okapi, un organo di stampa dell’ONU nella RDC.
“Ha detronizzato il gigante minerario Glencore, che non ha ancora reso pubblici i suoi dati di produzione. CMOC, attraverso la sua controllata Tenke Fungurume Mining e la sua nuova miniera di Kinsafu (un investimento di 1,8 miliardi di dollari), ha riferito che la sua produzione di cobalto è aumentata del 174% rispetto all’anno precedente, raggiungendo le 55.000 tonnellate nel 2023. La Repubblica Democratica del Congo è responsabile di circa il 70% della fornitura mondiale di cobalto ed è la patria dei maggiori produttori mondiali di questa risorsa molto strategica“, ha postato Bashizi sul suo account X. Nel 2020 CMOC ha anche fatto parte di un accordo che ha visto il trasferimento di attività minerarie nell’area di Kisanfu dalla società americana Phelps Dodge Congo Sarl.
L’intensificarsi della produzione
Edgard Kyusa, un residente del villaggio di Kisanfu, denuncia che i benefici di questa produzione accelerata non sono evidenti per le comunità locali.
“A Kisanfu non ci sono scuole, non ci sono ospedali, non ci sono strade, non ci sono case. Le comunità sono povere, eppure camminano e dormono sopra i minerali. Dove vanno a finire i soldi delle royalties e di altri obblighi sociali?”
Kyusa dice che se l’area protetta di Basse Kando fosse pubblicizzata, gli abitanti trarrebbero beneficio dal turismo che ne deriverebbe piuttosto che vivere sotto la maledizione dei minerali, il cui reddito va a beneficio delle autorità della capitale della RDC, Kinshasa, a scapito della comunità locale.
La riserva prende il nome dal Kando, un grande fiume che sfocia nel Lualaba (il fiume Congo) e un tempo era pieno di ippopotami e coccodrilli. Ora non ce ne sono più perché un’altra società, la MUMI (Mutanda Mining SARL), vi ha versato dell’acido, dice un venditore di carbone che vive nel villaggio di Kapaso, all’interno di Basse Kando, che ha chiesto di non essere nominato per motivi di sicurezza.
Minatori artigianali
Oltre alle grandi multinazionali, ci sono anche minatori artigianali che operano all’interno e nei dintorni della riserva. Hanno estratto l’oro nel sito del villaggio di Kawama prima del passaggio al rame e al cobalto.
L’oro veniva lavato in un piccolo ruscello chiamato Mutala, che sfocia nel fiume Kando. Secondo gli abitanti dei villaggi della zona, gli “scavatori” non hanno esitato a usare il mercurio per lavare il prezioso materiale, che ha ucciso tutta la biodiversità.
I confini della riserva di Basse Kando sono noti alle autorità che lo gestiscono, ma non sono segnalati né fatti rispettare e sono contestati dalle comunità locali e dalle compagnie minerarie. Il team di gestione è composto da 23 persone permanenti: un direttore del sito e 22 guardie. Quest’area protetta era precedentemente sotto la gestione dei funzionari del Parco Nazionale di Upemba. Oggi è sotto la direzione dell’Institute Congolais de la Conservation de la Nature (ICCN), un ente governativo responsabile della gestione dei parchi e delle aree protette nella RDC che riferisce direttamente al ministro nazionale dell’ambiente.
Felix Mbayo, direttore provinciale dell’ICCN in Katanga, ha confermato l’aumento della presenza di compagnie minerarie a Basse Kando e l’incapacità dell’ICCN di cacciarle dall’area, che non è stata smantellata come area protetta.
“Abbiamo cercato di allertare i nostri superiori senza successo. Gli operatori hanno ottenuto il permesso dal Ministero delle Miniere. Non siamo in grado di farli andare via, al nostro livello“, ha detto, indicando che sono protetti al più alto livello. “Sta a voi giornalisti aiutarci in questa lotta“.
Ha suggerito che il Ministero delle Miniere, che rilascia i permessi di esercizio, collabori con il Ministero dell’Ambiente, che sovrintende alle aree protette, al fine di prevenire più situazioni di questo tipo. Un funzionario provinciale del Ministero delle Miniere, che ha chiesto di non essere nominato, ha detto che i permessi minerari vengono rilasciati nella capitale Kinshasha e che i funzionari locali sono semplicemente tenuti ad attuare le loro istruzioni.
I parchi nazionali
Anche i parchi nazionali sono nel mirino degli operatori minerari. Secondo Antonio Longangi, responsabile delle comunicazioni del Parco Nazionale di Upemba a Haut-Lomami, una delle più antiche e grandi aree protette della RDC, sono state intraprese azioni per recuperare l’integrità del parco in risposta ai titolari delle concessioni minerarie che non esitano a ricorrere alle milizie per raggiungere i loro obiettivi.
“Abbiamo adottato varie misure, come la chiusura della concessione mineraria di Kitembwe e l’istituzione di posti di pattugliamento in tutto il parco. Ma i gruppi armati coinvolti rimangono una minaccia. Nel 2023 abbiamo avuto diverse scaramucce che hanno ferito le nostre guardie ecologiche, e una è stata addirittura uccisa proprio l’anno scorso“, ha detto Longangi.
Upemba e Kundelungu, un parco nazionale istituito nella provincia dell’Haut-Katanga nel 1970, sono i principali fornitori di carne selvatica per i grandi centri urbani. Questa carne è presente nel menu della maggior parte dei ristoranti delle province di Haut-Katanga e Lualaba. Nei grandi mercati come Mzee Laurent, Désiré Kabila e Kenya, intere sezioni sono riservate alla carne selvatica.
Vicino alle varie zone di provenienza di carne selvatica ci sono le concessioni minerarie detenute dalla Thermo Metals Processer (una società indiana) adiacente a Kundelungu; e dalla Lida Afriming (una compagnia mineraria cinese del cobalto) vicino al Parco Nazionale di Upemba. Vicino al villaggio di Lutandula, anch’esso fornitore di carne selvatica del parco di Kundelungu, ci sono le concessioni minerarie detenute dalla Da Tong Mining e dalla Da Fei Mining, entrambe società cinesi, e dalla Chemical of Africa SA, una società indiana situata a fianco del Parco Nazionale di Kundelungu.
Gestito dal 2017 dalla Forgotten Parks Foundation attraverso una partnership pubblico-privata con l’ICCN, il parco di Upemba rimane il più grande datore di lavoro della regione con il 95% delle guardie ecologiche provenienti dalle comunità circostanti, ha affermato Longangi. Ciò include il personale civile che, in gran parte, è locale.
“Le 200 guardie, provenienti dalle comunità vicine, beneficiano di un incentivo che consente di immettere fondi nell’economia locale, oltre alle provviste che otteniamo localmente. Direttamente e indirettamente, le operazioni al Parco Nazionale di Upemba hanno un impatto positivo sulle comunità locali in termini di opportunità economiche e professionali“, ha detto, aggiungendo che non pensa che l’invasione del parco da parte delle comunità possa essere giustificata.
Commercio di carne selvatica
I proprietari di concessioni private concesse nella zona per l’estrazione mineraria, l’agricoltura e le tenute agricole limitano l’accesso a queste aree in concessione, riducendo così lo spazio di caccia per le comunità. Così il parco è diventato un’alternativa per i cacciatori.
Nestor, un cacciatore della comunità di Mufunga Sampwe, ha detto che le concessioni sono il motivo per cui entra nel parco. “Il poco spazio lasciato alle comunità non ha più animali. Inoltre, l’estrazione artigianale di minerali non è autorizzata perché molti spazi appartengono ai titolari delle concessioni, quindi si rischia di perdere la vita o di essere imprigionati“, ha detto.
Maloba Madeleine vende carne di animali selvatici dal 1972. “Ci sono kasha, mupenge, makaka, samba [nomi locali per le antilopi], scimmie, ecc. Questa carne proviene da Kyubo nel territorio di Mitwaba [situato tra i parchi di Kundelungu e Upemba], e proviene anche da Mitandula, Lubanda e Vuwa nel territorio di Kasenga nel parco di Kundelungu“.
Una volta ucciso, l’animale viene affumicato e poi trasportato in moto o in veicoli per rifornire la vivace città di Lubumbashi, capitale della provincia dell’Haut-Katanga.
“Siamo in costante contatto con i cacciatori. Quando hanno un prodotto, ci chiamano o semplicemente si presentano senza chiamare perché sanno dove trovarci. Lo vendiamo per circa 5.000 franchi congolesi [circa 2 dollari]. Non vendiamo a peso perché, quando asciughiamo la carne, il peso diminuisce“, ha spiegato Madeleine. Questa carne viene venduta senza alcuna restrizione da parte dei servizi statali, hanno detto lei e altri venditori.
Secondo Longangi di Upemba, gli incidenti che coinvolgono i bracconieri vengono segnalati regolarmente. “Ogni settimana registriamo almeno un incidente. Con l’aumento dei pattugliamenti, stiamo finalmente diventando in grado di rilevare e rispondere ai movimenti illegali in settori chiave del parco. Le specie bersaglio sono principalmente facoceri, antilopi e piccoli roditori“, ha detto.
Ha aggiunto che la redditività economica della carne selvatica, le credenze tradizionali, il bisogno di sussistenza e la mancanza di alternative economiche sono le ragioni principali del bracconaggio all’interno del Parco Nazionale di Upemba.
C’è una forte domanda di carne selvatica nelle grandi città, e questo incoraggia i bracconieri a entrare nel parco e uccidere gli animali. Il bracconaggio rimane la principale minaccia per la biodiversità del Parco Nazionale di Upemba. Nel 2022, ad esempio, sono stati registrati 51 episodi legati al bracconaggio e sono stati arrestati 32 bracconieri. Ciò include il bracconaggio sia per la carne selvatica che per l’avorio, guidato da pratiche culturali e da una domanda di mercato esterno sempre più crescente.
Il valico di confine
Il punto di ingresso e di uscita nel sud del paese è il posto di frontiera con lo Zambia di Kasumbalesa.
Secondo un agente del dipartimento delle dogane e delle accise di stanza a Kasumbalesa da quasi 10 anni, che ha chiesto l’anonimato, ogni anno in questo luogo avvengono arresti e sequestri che coinvolgono trafficanti di fauna selvatica.
“Nei mesi di luglio e agosto del 2023 abbiamo sequestrato un carico di avorio. Il proprietario purtroppo è sfuggito alle nostre ispezioni. L’avorio veniva tagliato a pezzetti e nascosto in un sacchetto di farina di mais. Riso e mais arrivano abitualmente dallo Zambia alla Repubblica Democratica del Congo. Questo movimento inverso ha attirato l’attenzione delle nostre ispezioni“, ha spiegato.
Le frodi al posto di frontiera vengono effettuate in diversi modi, anche attraverso agenti (polizia, servizio di migrazione, esercito) assegnati alla dogana che ricevono una percentuale o una quota in base al valore delle merci trafficate. Nel tentativo di capire la portata del traffico fraudolento al valico di frontiera, questo giornalista di Oxpeckers ha finto di essere un trafficante, proponendo di contrabbandare avorio e una pelle di leone in Zambia. Tre persone sono state contattate per fornire assistenza, una delle quali lavorava presso la Direzione generale delle dogane e delle accise (DGDA), un’altra nel servizio di migrazione e un’altra nelle forze di sicurezza. Il primo ha chiesto un compenso di 500 dollari per facilitare l’operazione e gli altri due hanno chiesto tra i 200 e i 300 dollari.
“Portatemi questi oggetti stasera, perché il nostro contatto [un ufficiale di polizia congolese] è già pronto per questo scopo. Non dimenticare la mia quota“, ha suggerito il proprietario di un bar non lontano dal posto di frontiera, che avrebbe fatto da intermediario in questa operazione. Il giornalista non ha perseguito l’accordo.
Vi sono anche casi di frode che coinvolgono la gerarchia della DGDA. A Oxpeckers è stato detto che in questi casi, è lo stesso vicedirettore di questo ente pubblico a dare l’ordine di non trattenere i veicoli coinvolti nei magazzini per i normali controlli e procedure. Un’ex guardia di uno dei magazzini della Pacific Trading – una società responsabile all’epoca della gestione del parcheggio dei veicoli di importazione ed esportazione al posto di frontiera di Kasumbalesa – ha rivelato:
“Ci siamo occupati del parcheggio dei veicoli e della sicurezza per il carico durante le formalità doganali. Questo può richiedere almeno tre giorni di parcheggio, dato l’elevato numero di veicoli che passano attraverso questo valico di frontiera. Si chiama checkpoint “Whiskey“.
“Tuttavia, ci sono merci che passano senza alcuna formalità o verifica del contenuto. Ricevi una chiamata dal tuo superiore che ti informa che ci sono istruzioni da parte della DGDA di non trattenere i veicoli per le normali procedure. Questo è chiamato attraversamento ‘diretto’. La maggior parte si tratta di frodi doganali“. Oggi, questa azienda gestisce solo veicoli che importano merci in collaborazione con il dipartimento doganale.
Piccoli commercianti e corrieri che attraversano il confine a piedi contrabbandano piccole quantità in diversi lotti. Ad esempio, tagliano l’avorio in piccoli pezzi facilmente occultabili. L’osservazione sul posto ha indicato che molte donne commettono questo tipo di frode.
Misure di mitigazione
Longangi ha osservato che il settore minerario ha messo gli occhi su altre aree protette nella RDC, come il Parco nazionale di Virunga nell’est del paese e la Riserva naturale di Okapi nel nord-est. Tuttavia, ha detto che i funzionari del parco di Upemba rimangono fiduciosi nel desiderio delle autorità di porre fine allo sfruttamento illegale dei minerali nelle aree protette. Propongono di riformare il settore minerario per proteggere le aree protette e facilitare la collaborazione nell’ambito della Green Alliance, un approccio di economia verde che concilia lo sviluppo con la protezione dell’ambiente.
PremiCongo, che lavora per la conservazione delle open forests [foreste con densità di chioma fra il 10 e il 40%, NdT] del Katanga, vuole che il governo rimuova le concessioni nella riserva di Basse Kando, dato l’avanzato degrado della sua biodiversità. L’organizzazione raccomanda inoltre che le imprese con sede a Basse Kando paghino una sostanziale compensazione finanziaria all’ICCN, che dovrebbe utilizzare il denaro esclusivamente per migliorare la gestione delle aree protette del paese, in particolare ripristinando le guardie e le infrastrutture minime in ogni area protetta. Molte comunità locali non si preoccupano della conservazione di questi parchi, ed è per questo che li invadono, ha spiegato Ngoy Bupe Don, un capo tradizionale di Kyubo. La sua tesi è stata sostenuta da Stephan Banza, di un’organizzazione ambientalista civica di Lubumbashi, che ha affermato che i parchi devono garantire la sicurezza e i mezzi di sussistenza delle comunità locali se vogliono prosperare.
Santuario di Mikembo
In risposta al degrado delle foreste, alla scomparsa di specie selvatiche a causa del bracconaggio e alla scomparsa del legname a causa dello sfruttamento eccessivo, una persona ha avviato un progetto per ripristinare la foresta e le specie selvatiche in via di estinzione. Si tratta del Santuario di Mikembo, situato a circa 30 km dal centro della città di Lubumbashi. La foresta è stata completamente protetta tra il 2005 e il 2006. Le sue specie animali, tra cui giraffe, zebre, kudu, antilopi, facoceri e specie di rettili, tra cui serpenti velenosi, sono state introdotte nel 2011.
Il professor Jonathan Ilunga della Facoltà di Agronomia dell’Università di Lubumbashi conduce ricerche lì dal 2010. “Questa è una foresta in rigenerazione e abbiamo visto una crescita sostanziale delle piante in un periodo di 10 anni. Si tratta di un vero e proprio modello di riforestazione e ripristino della biodiversità“, ha affermato.
(*) Tratto da Oxpeckers. Qui l’originale in inglese. Traduzione di Ecor.Network.
Jonas Kiriko lavora come giornalista investigativo nella Repubblica Democratica del Congo, specializzato in temi legati all’ambiente, all’agricoltura e all’acqua. Questa indagine fa parte della serie Oxpeckers #PowerTracker intitolata “Il costo umano dell’energia in Africa” ed è stata prodotta in collaborazione con il Center for Advanced Defense Studies (C4ADS).
* Trova lo strumento #PowerTracker e altre indagini qui.
Immagini tratte da:
Amnesty International, DRC: Powering Change or Business as Usual? Forced evictions at industrial cobalt and copper mines in the Democratic Republic of The Congo, settembre 2023, pp. 100.
Kandoriver – shimane – 2014 (cropped), by Nesnad. Licenza CC BY SA 3.0.
Jonas Kiriko, ‘New energy’ rush is stripping DRC’s natural assets, Oxpeckers, febbraio 2024.
Gazelle in Virunga National Park, by Radio Okapi. Licenza CC BY 2.0.
Elephants are in danger, Forgottenparksfoundation.
From Kigezi to Virunga, by flöschen. Licenza CC BY 2.0.
Salvataggio di una giraffa al Mikembo Sanctuary, National Geographic.
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