La marcia delle donne su Versailles
ovverossia il sequestro del Re e l’avvio della fase più acuta del processo rivoluzionario
di Mauro Antonio Miglieruolo
5 ottobre 1789: In questa data le popolane parigine danno luogo a una “marcia senza precedenti”. Sotto una pioggia battente affrontano impavide il lungo percorso che da Parigi porta alla Reggia di Versailles. Sono armate di fucili, forconi (forconi veri, non metaforici) e soprattutto sdegno. Dopo un giorno di assedio Luigi Capeto, insieme alla vituperata moglie austriaca, è costretto a tornare a Parigi, a Les Tuiliries, non più sovrano assoluto, ma re costituzionale dei francesi.
Si tratta di un classico punto di non ritorno. Il popolo prigioniero dell’assolutismo regio ribalta la situazione e si fa custode del despota. La rivoluzione inizia a assumere quei caratteri radicali che porteranno il Capeto e la moglie sul patibolo (il secondo monarca a patirlo, dopo il re inglese) e i Giacobini a diventare arbitri della rivoluzione.
La marcia ha inizio con un assembramento di donne che si forma davanti all’Hôtel de Ville nel primo mattino del 5 Ottobre 1789, per chiedere pane e migliori condizioni di vita. Sono donne provenienti dal Faubourg Saint-Antoine e le Dames de la Halle, negozianti e merciaie, alle quali si aggiungono rapidamente popolane bene intenzionate a far sentire la loro protesta al Re per l’elevato costo del pane. Queste donne inferocite dal progressivo peggioramento delle condizioni di vita, decidono di dare luogo a quella che diventerà la famosissima “marcia delle donne”. La marcia ha inizio intorno a mezzogiorno e assume subito un carattere rivoluzionario. A capo della colonna di donne esasperate si pongono alcuni partecipanti all’assalto della Bastiglia, tra cui il cittadino Maillard. Dietro una folla di parigini armati di lance, falci, pistole. Le donne stesse sono armate. Si appropriano di qualsiasi cosa possa ferire, di bastoni, torce, addirittura di sassi, pensando soprattutto alla nemica pubblica numero uno, il mostro, la dissoluta Messalina francese, Maria Antonietta.
Nulla può frenare lo sdegno di quelle donne, né la pioggia che si abbatte su di loro, né la prospettiva di essere ricevute a fucilate dalla Guardia Nazionale. Sono decise e pronte persino a battersi.
Il corteo giunge intorno alle 16,30 a Versailles.
I soldati della Guardia Nazionale ed il Reggimento delle Fiandre sono schierati e pronti alla battaglia, con la schiena rivolta verso i cancelli del Cortile Reale. Tuttavia non sparano sulla folla che invade il palazzo. Una delegazione di donne viene ricevuta dal Re.
Il moderato Mounier tenta di far firmare al Re la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, unico mezzo a suo dire per placare gli animi. Il Re opta per la distribuzione gratuita di pane, ma pane non ce n’è molto da distribuire (è in quell’occasione, sembra che Maria Antonietta pronunci la frase che la renderà famigerata: se non hanno pane mangino brioches!). Intanto, su consiglio dei reazionari Saint-Priest e il conte di La Tour du Pin, prepara la fuga a Rambouillet. Ma ha fatto i conti senza la folla che ancora presidia l’uscita dalla reggia. La carrozza del Re viene circondata, i finimenti vengono tagliati e i cavalli portati via. Re e Regina sono atterriti. Mai avrebbero immaginato la folla potesse spingersi a tanto.
Ultima speranza è nel soccorso del maltempo. L’augurio è che la piaggia, caduta per tutto il 5 ottobre 1789, finisca con il debilitare i ribelli e con lo sfiancarne lo spirito. Ma hanno a che fare con donne esasperate, affamate, sdegnate dalla visione di tanto lusso opposto alla loro tanta miseria. La folla tiene duro.
Segue una notte d’angoscia e vani tentativi di trovare una soluzione diversa dalla capitolazione. Il mattino seguente i ribelli si posizionano sotto le finestre del Re. Alcuni invece si avviano verso le scale che portano all’appartamento della Regina. Una prima guardia che tenta di interporsi viene uccisa e decapitata. Una seconda subisce la stessa sorta davanti alle porte dorate della regina, che vengono attaccate a colpi d’ascia. Maria Antonietta si veste e fugge. Il coraggio (o meglio l’arroganza) mostrata fino al giorno prima è svanito. Non è più la moglie di un re per diritto divino, è una donna qualsiasi che prega per la sua vita. “Amici miei cari, – sembra abbia gridato ai suoi – salvatemi!”
Seguono ore drammatiche, nel corso delle quali, senza l’intervento del generale La Fayette, che gode di un certo prestigio tra i rivoluzionari, la situazione sarebbe certamente precipitata. La Fayette arringa le esasperate parigine che rispondono con il grido “A Parigi! A Parigi!”, reazione che sbalordisce La Fayette. Comprende che le cose sono andate troppo avanti per poterle dominare con una manciata di belle parole. Il popolo esige che il re torni a Parigi, che si assuma le responsabilità di sovrano e risolva i problemi momento. Allo sbalordimento di La Fayette corrisponde lo spavento dei sovrani. È stato raggiunto un nuovo punto di non ritorno. È il popolo ora a comandare, a guidare le mosse del re. Lo stesso popolo impone alla regina di affacciarsi e rendere conto del suo operato. Del suo disprezzo, della sua dura ostilità. “La Regina al balcone!” si grida. Si chiede. Viene imposto.
A Maria Antonietta sembrano mancare le forze. Madame de Stael, lì presente, annota: “Tutte le sue paure le si leggevano in volto!”
È a quel punto che mostra di possedere una tempra e una intelligenza ben diversa e superiore da quella del tremebondo Luigi XVI. Nonostante la paura e il parere contrario degli astanti, decide di affacciarsi. Prende in braccio i bambini e compare sul balcone. Ma neppure questo artificio, farsi schermo dei figli, le è concesso.
“Via i bambini” le si impone.
Maria Antonietta allora manda via i bambini e resta sola di fronte alle sue vittime. È a quel punto, con una mossa spiazzante, oltre a esibire la sua forza d’animo (la mostrerà anche in presenza della ghigliottina), mostra anche di quanto residuo prestigio goda ancora la monarchia; e quanto spazio di manovra abbiano i costituzionalisti (è l’ottusità di quest’ultimi, l’ottusità di tutti i reazionari, che apre la strada al fortunato periodo Giacobino). Incrocia le mani sul petto e si inchina a coloro che la odiano. Fa atto di sudditanza. Accetta di essere regina in nome del popolo, non di Dio, come si è sempre reputato. Il gesto è di tale portata da cambiare radicalmente gli umori di coloro che assistono. Questa regina, con queste intenzioni, può (ancora per poco) essere accettata(1). L’intenzione di eliminare Madame Deficit, come è soprannominata la regina, detta anche spregiativamente “l’Austriaca”, viene momentaneamente accantonata e addirittura qualcuno acclama: “Lunga vita alla Regina!”
Non appena rientra però il grido torna a levarsi sempre più insistente: “A Parigi! A Parigi!”. Maria Antonietta a quel punto si convince che non ci sia altro da fare e lo confessa a Madame Necker, alla quale dice pure che saranno preceduti dalle teste delle guardie di scorta sulle lance. Segue la decisione del re, anche lui convinto non ci sia altro da fare. I tempi in cui la loro volontà era legge sono tramontati. Ora è la volontà del popolo a prevalere. Preverrà ancora per qualche tempo, fino al Termidoro, quando la borghesia prenderà risolutamente nelle proprie mani le sorti della rivoluzione, portandola rapidamente al definitivo declino.
Inutile dire di quel che seguì. Del triste e lungo corteo che accompagnò, quali effettivi prigionieri, i reali a Parigi; dire del successivo sviluppo della rivoluzione e della miseranda fine di Luigi XVI.
A noi basta affermare dell’analogo rivolgimento che si pone agli uomini di oggi e si pone con maggiore urgenza di allora. Nell’89 a muovere quel popolo e muovere quelle donne era stato il disgusto per l’insensibilità e l’avidità della classe dirigente, che aveva prodotto il dissesto finanziario della Francia (e qui ci siamo anche noi); ma c’era anche stata la fame, che tra noi oggi è di alcuni, non ancora della maggioranza degli italiani. Vogliamo aspettare che lo diventi?
***
(1)Prezioso insegnamento. Gli avvenimenti, specialmente nei periodi rivoluzionari, offrono alle forze in campo, continue occasioni per dare una svolta decisiva agli avvenimenti. L’insegnamento di quel gesto, presentare al popolo una nuova monarchia in funzione di una rinnovata classe dominante, in modo da far sembrare che tutto sia cambiato sebbene tutto sia ancora come prima, per fortuna non viene recepito dai monarchici. La rivoluzione può continuare a crescere senza che la reazione possa interporre validi ostacoli. A un certo punto sarà il loro stesso riferimento, la monarchia, a rendere impossibile ai moderati di frenare il movimento. Analoghe occasioni la storia offre ai rivoluzionari. Non coglierle al volo equivale a compromettere le possibilità di dare sbocchi positivi ai processi in atto. In Russia la presa del Palazzo d’Inverno un mese prima non sarebbe stato possibile. Un mese dopo non sarebbe stata più possibile.
***
Presento oggi quella che avrebbe dovuto essere la scordata del 5 ottobre. La presento includendola nei post dei quali sono piacevolmente in obbligo per il mercoledì; nonché per richiamare all’attenzione di tutti lo sciopero delle donne (siamo in tema) del 25 novembre 2013. Trascrivo i link dove reperire maggiori informazioni:
http://www.scioperodelledonne.it/
http://scioperodonne.wordpress.com/
Come avrete notato il tema è ricordato con un apposito richiamo alle ore 23.59 di ogni giorno.
Mam & DB
**